Pubblichiamo con grande piacere un articolo inviatoci da Marco Marazzi e originariamente apparso sul suo blog.
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Rumore di fondo
E’ da tempo che sto cercando di fare chiarezza sul TTIP, il trattato su commercio e investimenti che la UE sta negoziando con gli USA. Mai, infatti, un trattato commerciale ha destato così forti preoccupazioni e emozionato le folle in Europa (molto meno negli USA, in verità…).
Quando la UE negoziò l’accesso della Cina nel WTO non ricordo tutte queste manifestazioni di piazza, non ricordo tutti questi attacchi alla Commissione. Eppure quel negoziato ha avuto un impatto (sia positivo che negativo) sulle economie dei nostri paesi molto maggiore di quello che avrebbe il TTIP, come spiego qui di seguito. A volte sembra quasi che il dibattito sia incentrato su una specie di voto di fiducia agli USA: ci piacciono o non ci piacciono? E’ stata addirittura lanciata una iniziativa (“no-TTIP”) che cerca di impedire una prosecuzione dei negoziati.
La curiosità quindi aumenta, anche perchè la stampa italiana si concentra solo su uno dei possibili aspetti del TTIP: l’apertura totale agli OGM o alla carne agli ormoni, che è una delle varie “leggende” prive di fondamento che girano intorno ai negoziati. Forse è necessario a questo punto dimenticare tutto il battage pubblicitario pro e contro TTIP e cercare di spiegare che cosa ha spinto qualche anno fa l’amministrazione Obama e i paesi UE ad avviare i negoziati.
Premetto che io sono un grande sostenitore del libero scambio, purchè questo sia effettivamente libero, cioè non vi siano elementi che falsano la concorrenza e rendono artificialmente un prodotto più competitivo. Quando ciò accade, è giusto porre ostacoli all’importazione di quel prodotto. Questi sono i principi alla base del WTO, che sottoscrivo in pieno. Ma gli accordi del WTO si fermano quì, e non è sufficiente. Anche se, come ci insegnano tutti i trattati di commercio internazionale e come dimostrato empiricamente, un paese aperto nel medio-lungo termine sarà sempre più ricco e più sviluppato di uno chiuso , l’apertura di un paese al commercio internazionale può creare vincitori e vinti.
Vincitrici per esempio sono le aziende meglio posizionate ad esportare verso altri paesi, e i consumatori che beneficiano di prodotti a più basso prezzo (ci sono dati che dimostrano per esempio che l’entrata della Cina nel WTO ha contribuito a ridurre l’inflazione negli USA), o di migliore qualità (più della metà del parco automobilistico cinese è costituito da automobili importate o comunque prodotte localmente da aziende europee o americane).
Vinti sono i settori che vengono esposti alla concorrenza straniera e non riescono a competere sui costi o a compiere quel salto tecnologico necessario per restare al passo. In un mondo “perfetto”, dove è facile per l’imprenditore e soprattutto per la manodopera muoversi dal settore non più concorrenziale a quello concorrenziale, questo non pone problemi. Ma in un mondo imperfetto dove la mobilità non è completa o è ostacolata da rigidità amministrative o dalla presenza di confini, o da motivi linguistici, è necessario intervenire in supporto non tanto delle aziende, ma dei lavoratori che non riescono a spostarsi verso i settori più competitivi, almeno finchè quegli ostacoli non saranno eliminati del tutto. Chi critica accordi bilaterali come il TTIP quindi, non dovrebbe concentrarsi sugli aspetti tecnici dell’accordo, ma sulle misure prese simultaneamente per favorire quella mobilità dei capitali e della manodopera necessaria a compensare gli effetti degli accordi.
Aggiungo, anche, che sono un convinto multilateralista e che preferirei che ogni ulteriore apertura nel commercio internazionale o sugli investimenti esteri fosse negoziata nell’ambito dei vari “rounds” del WTO. Purtroppo, però, questi sono bloccati da tempo immemore e il mondo sembra indirizzarsi verso quel famoso “piatto di spaghetti” di accordi bilaterali, sempre più complessi.
Nessun accordo bilaterale è mai stato così ambizioso quanto quello tra UE e USA. Perché riguarda un’area che rappresenta il 50% del volume totale del commercio internazionale. Perché si concentra su uno degli aspetti più ostici: le cosiddette barriere non tariffarie ovvero regolamentazioni non fiscali che ostacolano il commercio. Tra queste rientrano per le esempio le barriere tecniche al commercio, ma anche le misure sanitarie e fitosanitarie.
I benefici derivanti da un’abbattimento di queste sono meno ovvi ai consumatori in generale. E’ facile per tutti comprendere che se un paese abbassa i dazi su alcuni prodotti diventa più facile esportare in quel paese. E’ meno intuitivo che un paese può frapporre ostacoli (magari anche in buona fede) all’importazione di beni da un altro paese attraverso requisiti tecnici dei prodotti o addirittura del processo produttivo, o l’adozione di controlli che hanno come fine almeno dichiarato la protezione del consumatore.
Operazione Trasparenza
Nel gennaio di quest’anno, anche in risposta a varie sollecitazioni relative ad una maggiore “trasparenza” dei negoziati, la Commissione ha pubblicato una serie di documenti che descrivono la posizione negoziale della UE su tutti i capitoli dell’accordo. Sono documenti interessanti, che tutti dovrebbero leggere prima di prendere una posizione pro o contro.
Da questi documenti emerge che il TTIP si propone non solo di abbattere quei dazi ancora imposti dagli USA su alcuni prodotti (alcuni tipi di formaggi per esempio, o anche i prodotti della ceramica) – in realtà su gran parte dei prodotti i dazi reciproci sono già molto bassi,la media e’ il 4% – ma ha un’ambizione molto più grande: raggiungere una “convergenza” dal punto di vista regolatorio e degli standard che faciliti il commercio bilaterale.
Ottimo intento, dico io: le aziende esportatrici, da cui dipendono 30 milioni di posti di lavoro nella UE, non saranno più costrette ad adottare due standard diversi per i propri prodotti, spendendo il doppio. Si stima, infatti, che il 75% dei benefici del TTIP per le economie UE e USA deriveranno proprio dalla maggiore convergenza su standard tecnici e sugli aspetti regolatori e che tali benefici andranno soprattutto ai seguenti settori: automobilistico, chimico, cosmetico, farmaceutico, alimentare e quello delle apparecchiature elettriche. Tutti settori, badate bene, nei quali le aziende UE sono molto attive, con l’Italia tra i primi posti nel settore alimentare e delle apparecchiature elettriche. A tal proposito, va ricordato che uno studio IFO ha collocato su una scala progressiva i benefici previsti del TTIP sia in termini di aumento di esportazioni che minore disoccupazione per tutti i paesi UE. L’Italia si colloca circa a metà della scala, non male quindi.
I capitoli del negoziato sono vari e spaziano dal settore automobilistico a quello farmaceutico a quello dei cosmetici. Su insistenza soprattutto francese, il settore culturale è stato escluso dalle trattative e quindi, tra l’altro, sarà possibile per un paese membro UE continuare a fornire sussidi al settore audiovisivo o a film di interesse culturale. Nel settore dei servizi, che riguarda circa il 60% dell’economia e dell’occupazione in Europa, la UE si pone l’obiettivo di assicurare alle imprese dei paesi membri lo stesso trattamento negli USA e l’eliminazione di ogni tetto al numero di società UE operanti negli USA (tetti che ancora esistono), nonchè facilitare il reciproco riconoscimento nelle professioni, per esempio quella degli architetti, contabili, avvocati. Non ci sarà invece liberalizzazione nel settore della sanità, dei servizi sociali e forniture idriche, dove quindi sarà permesso ai paesi UE e agli USA favorire rispettivamente società europee o americane.
Leggendo tra i documenti della Commissione si nota quanto l’attenzione sia orientata sui settori regolati da normative simili sulle due sponde dell’Atlantico, ma nei quali l’obiettivo di protezione del consumatore viene raggiunto con soluzioni tecniche diverse. Lo sforzo è quello di riavvicinare i processi e soluzioni tecniche, senza incidere sul risultato di tutela del consumatore, che comunque resta l’obiettivo finale in entrambi gli ordinamenti. Ovviamente, questo riavvicinamento non sarà possibile per tutti i prodotti in quanto per alcuni i regimi regolatori possono essere completamente incompatibili o troppo diversi.
Il settore degli autoveicoli per esempio, che rappresenta il 18% del volume totale dell’interscambio UE-USA, è quello che potrebbe tendenzialmente beneficiarne di più. Altro esempio menzionato dalla Commissione è quello dell’industria pasticciera. Le aziende europee fanno dolci e paste che esportano in tutto il mondo, ma non negli USA perchè esistono procedure diverse sulle due sponde dell’Atlantico per la produzione della crema. Il TTIP dovrebbe consentire il reciproco riconoscimento delle procedure adottate per produrre la crema. Lo stesso problema si presenta, per esempio, agli allevatori di ostriche europei i quali non possono esportare negli USA perché, mentre in Europa i controlli di sicurezza impongono solo un test sull’ostrica stessa, negli USA vanno testate le acque in cui le ostriche sono coltivate. In questo caso specifico, forti di studi scientifici che ritengono entrambi i metodi di verifica validi, si cercherà di trovare un compromesso per il quale sarà sufficiente superare il test negli UE o negli USA. E ancora, le creme che proteggono dai raggi UV possono essere vendute nella UE solo dopo aver passato alcuni test, ma devono ripeterne altri, onerosi e lunghi, negli USA prima di essere vendute nel paese. In questo caso i negoziatori UE puntano ad accordarsi su uno scambio reciproco dei risultati dei test e velocizzare l’iter autorizzativo per la vendita negli USA.
Anche nel settore degli apparecchi medicali, si punta ad un’armonizzazione delle procedure da seguire e dei moduli da presentare per l’autorizzazione alla vendita, mentre in quello farmaceutico la priorità consiste nel rendere disponibili più medicinali possibili, anche attraverso il reciproco riconoscimento delle ispezioni GMP (Buona Pratica di Fabbricazione), che vengono effettuate in ogni sito produttivo dei medicinali in questione e semplificare il procedimento di autorizzazione dei generici.
E’ chiaro che l’armonizzazione normativa incontrerà, anzi ha già incontrato, ostacoli nel suo percorso. Per esempio, sui cosmetici, l’obiettivo dichiarato della UE è di “persuadere” il proprio partner che i test sugli animali (vietati da tempo nella UE) non sono necessari. Quello USA, invece, è di garantire l’accesso dei cosmetici di produzione americana al mercato nonostante l’esistenza del divieto di test sugli animali nella UE. In questi settori, l’accettazione automatica della posizione dell’uno o dell’altro è impossibile, mentre è più probabile che si avvi un processo di cooperazione e contatti continui tra i vari enti regolatori al fine di giungere ad un set di regole comuni più avanti nel tempo. L’importante appunto è continuare questo dialogo.
Nel settore degli appalti pubblici, invece, sono possibili notevoli sinergie. Entrambi gli ordinamenti sono orientati a proteggere la concorrenza nel settore e ad evitare discriminazioni nella concessione di appalti pubblici (cosa che invece, non dimentichiamocelo, non avviene in molti dei cosiddetti BRICS). Insieme, gli USA e la UE rappresentano già il piu’ grande mercato per gli appalti pubblici del mondo. L’obiettivo dei negoziati è di consentire alle società UE e USA una maggiore penetrazione per i propri prodotti e servizi e a tal scopo concordare requisiti reciproci di trasparenza e regole che evitino ogni discriminazione diretta o indiretta. Ciò premesso, sempre in base ai documenti pubblicati dalla Commissione, sia gli stati UE che quelli USA avranno libertà di stabilire che cosa includere nel concetto di “servizio pubblico” e quindi anche di stabilire se alcuni servizi devono essere forniti solo dal pubblico e non dal privato.
Altro settore importante dove i negoziatori si ripromettono di fare progressi è quello delle norme di origine e cioè l’insieme di regole che permettono di stabilire se un determinato bene è stato prodotto in un paese o un altro e quindi può beneficiare del trattamento preferenziale offerto dal trattato. Un settore controverso sembra essere per ora quello delle indicazioni geografiche: quelle indicazioni che servono a identificare i prodotti provenienti da una certa regione o zona geografica, proteggendone quindi l’origine contro imitazioni o copie. La posizione UE su ciò è molto chiara: vanno riconosciute.
C’è poi il capitolo delle regole sulla concorrenza che verrà aggiunto ai negoziati. Con l’avanzare prepotente sui mercati internazionali delle società di stato provenienti soprattutto dai BRICS, che beneficiano di pesanti vantaggi e sussidi statali, diventa urgente adottare valori comuni nell’adozione e applicazione delle regole sulla concorrenza a livello globale. Su questo punto, USA e UE hanno una visione comune; un accordo teso a combattere queste storture nel mercato globale avrebbe effetti positivi per le aziende europee e americane.
Infine, uno dei punti che hanno attratto maggiori critiche è la nota clausola di risoluzione delle controversie relative al trattato, che prevede un arbitrato ICSID. Questa istituzione arbitrale internazionale, legata alla World Bank, viene di sovente scelta come sede di risoluzione delle controversie per accordi sugli investimenti o commerciali e prevede la possibilità per l’azienda di uno degli stati contraenti di ricorrere in arbitrato contro il governo di un altro stato contraente non solo nel caso in cui alcune normative adottate dallo stato contraente sono in violazione di obblighi del trattato, ma anche quando, per esempio, tali normative hanno causato un danno economico all’azienda straniera perchè non è stata trattata in modo equo relativamente alle aziende domestiche.
Il timore delle frange più critiche dell’accordo è che le multinazionali americane finiranno per avere la meglio in queste controversie. Su questo punto va notato che clausole simili esistono già in vari trattati conclusi dalla UE con altri paesi, incluso per esempio nello UE-Canada Free Trade Agreement. D’altro lato è anche vero che le clausole ICSID sono più comuni in casi in cui l’ordinamento giuridico di uno degli stati contraenti è ancora in fase di sviluppo o non è garantito il livello di indipendenza della magistratura in uno degli stati contraenti, mentre sia la UE che gli USA hanno un sistema giudiziario avanzato e sofisticato. La UE ha comunque risposto alle critiche chiarendo che intende proteggere all’interno dell’accordo il diritto dei paesi membri UE di legiferare entro le proprie competenze e quindi adottare normative che possono essere in contrasto anche con gli interessi economici di un’azienda USA.
Quindi?
Il TTIP è un accordo ambizioso, tecnicamente complesso da negoziare e quindi anche da comprendere appieno. I suoi critici si concentrano solo su alcuni aspetti, sui quali peraltro la Commissione ha già fornito chiarimenti e dimenticano “the big picture”. L’ambizione di abbattere le barriere non tariffarie tra le due aree mi sembra legittima e utile alle aziende esportatrici di entrambi i paesi. L’idea di uniformare gli standard tra due mercati importanti come gli USA e la UE è fondamentalmente corretta e, se avrà successo, potrà anche costituire un vantaggio concorrenziale notevole, in quanto con ogni probabilità i BRICS dovranno adeguarsi a quegli standard se vorranno vendere in questi mercati.
Di recente, i negoziati hanno subito un’accelerazione recente anche per il maggior supporto fornito dal governo tedesco, ma restano nodi essenziali da risolvere. L’operazione trasparenza da parte della UE, anche se tardiva, è benvenuta e non ha quasi precedenti e dovrebbe fugare più di qualche dubbio su una posizione negoziale UE che è stata coordinata con i governi attraverso il ruolo del Consiglio e che è indubbiamente tesa a trovare un giusto compromesso tra esigenze di tutela dei consumatori e fornire maggiori opportunità di mercato per le nostre aziende in una fase economica complessa.
Marco Marazzi
1 comment
Ottimo articolo, molto illustrativo e molto equilibrato, offre una panoramica sommaria degli scopi e dei contenuti dell’accordo.
Le diffidenze sono comprensibili e talvolta giustificate, perchè stiamo parlando di accordi in cui entrano in gioco grandi interessi economici e laddove ci sono interessi alcuni prevalgono ed altri soccombono. E’ stato vero ed è vero anche in ambito intra europeo, quindio figuriamoci su scala euro-americana.
Questo però dovrebbe solo stimolarci ad essere parte attiva nel trattato, ad essere propositivi ed a controllare che i nostri interessi nazionali non vengano compromessi, pur restando nell’ambito degli obiettivi dell’accordo.
Questo forse è il solo punto del documento che sarebbe stato interessante trattare ma che non viene menzionato : cosa sta facendo l’Italia all’interno del trattato ? Quali sono i temi specifici sui quali abbiamo divergenze con gli americani o con gli altri europei ?
Il documento è un ottimo spunto per l’approfondimento e per la divulgazione di questi temi su base non generalista (sono troppi) ma nei diversi contesti, presso i portatori di interesse.