Il Governo ad inizio agosto ha approvato un Decreto Legislativo con il fine di rendere completo l’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 343/2016 dell’Unione.
Il decreto, sostanzialmente, chiede agli inquirenti coinvolti nel processo ed alle altre autorità pubbliche di non utilizzare un linguaggio colpevolista nelle dichiarazioni pubbliche, e soprattutto gli impone di parlare dei procedimenti in corso solamente nelle sedi giuste, cioè il tribunale. I talk show ed alcuni politici e giornalisti italiani non credo andranno molto d’accordo con questa nuova regola.
Ma cosa intende il decreto per linguaggio colpevolista? Viene ricompreso in uno degli articoli del decreto tutto il linguaggio che rende l’indagato, l’imputato o l’indagato de facto come colpevole prima di una sentenza passata in giudicato. Qualsiasi commento sulla presunta volontà criminale, o sulle motivazioni che avrebbero spinto il soggetto a commettere un reato, sarebbero da omettere.
Il decreto limita, inoltre, la diffusione delle notizie sui processi in corso, affermando che le informazioni al pubblico dovranno essere fornite solamente se strettamente necessario per motivi connessi all’indagine stessa o per l’interesse pubblico. E, dovranno essere date solamente tramite comunicati stampa istituzionali o conferenze stampa.
E se ci fosse una violazione o una dichiarazione sulla colpevolezza di una persona sottoposta a procedimento penale? Gli autori del pregiudizio saranno passibili di esposti e sanzioni, e dovranno rettificare quanto detto entro 48 ore.
In caso di mancata correzione l’imputato potrà fare ricorso al tribunale civile (come previsto dall’art. 700 c.p.p.) per ottenere un provvedimento d’urgenza finalizzato all’ottenimento della rettifica. A ciò, ovviamente si aggiungono le possibili sanzioni penali e deontologiche ed un eventuale risarcimento del danno.
Bisogna scandalizzarsi per queste modifiche?
Assolutamente no, ed etichettarle come “bavaglio” da parte di alcuni esponenti del mondo giuridico, come Nino di Matteo (consigliere del Csm), è tendenzialmente un errore, perché è un modo per evitare la c.d. gogna che deriva dal processo mediatico, che colpisce sia l’imputato che il giudice.
Ci sono state altre critiche, l’Associazione Nazionale Magistrati ha definito queste modifiche come una “ingessatura eccessiva potenzialmente lesiva del diritto a una corretta informazione”; anche gli avvocati penalisti, in sede di audizione hanno espresso alcune perplessità sull’efficacia delle norme, considerandole comunque un passo in avanti verso un pieno riconoscimento della presunzione d’innocenza.
Il decreto, sostanzialmente, vieta una semplice attività che tanto piace in Italia: parlare costantemente di un procedimento giudiziario in corso, meglio se penale, facendo inevitabilmente titoli clickbait e facendo passare l’imputato come colpevole; tutto ciò non considerando un principio fondamentale nel nostro ordinamento, sancito anche dall’articolo 27 comma 2 della nostra Costituzione: la presunzione d’innocenza.
Difatti, il fatto che l’imputato è considerato come non colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna è un principio cardine del sistema penale italiano inserito nella nostra Costituzione fin dal principio, con il fine di garantire la tutela del singolo e della sua persona in un sistema civile e democratico.
Leggendo la relazione illustrativa, viene specificato come la direttiva lasci spazio alla possibilità che gli ordinamenti nazionali determinino delle norme più o meno restrittive sull’estensione temporale in cui operano le tutele connesse alla presunzione; questo perché la norma contenuta all’interno della direttiva è una disposizione generale che tratta il suo ambito di applicazione fissando solamente il “dies ad quem” (cioè il giorno in cui scade un termine) della definitività della decisione.
In Italia una sentenza diventa definitiva quando non viene impugnata nei termini oppure dopo aver passato i tre gradi di giudizio, passati i quali la sentenza passa in giudicato e diventa appunto irrevocabile (ma solo se c’è una conferma della Cassazione e non un ‘cambio’ di rotta).
Sui “meccanismi di correzione” inseriti nel decreto Loredana Micciché, magistrato togato del CSM, ha espresso alcune criticità, tra cui il rischio di aggravare il lavoro degli uffici giudiziari.
L’ex pm di Palermo Di Matteo ha definito tutto questo una svolta illiberale. Rendendo evidente come, molto spesso, la spettacolarizzazione della giustizia è forse uno dei pochi modi per fare audience, basti pensare ad alcuni incisi di articoli di un noto giornale italiano “Un indagato e tre ex inquisiti” oppure “Nella giunta gli archiviati del Mondo di Mezzo”. Ma non finisce qui, perché l’utilizzo della giustizia per fare clickbait arriva dai titoli, come quello di uno dei più importanti giornali italiani che afferma “La presunzione d’innocenza diventa una legge”.
Come se la Costituzione non fosse la Legge fondamentale della nostra Repubblica.