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Il caso Assange: ascesa e caduta di un ideale

Assange

Londra, 11 Aprile 2019. Un uomo viene trascinato fuori da un edificio da un gruppo stretto intorno a lui. L’uomo urla una serie di parole poco comprensibili. Ha un aspetto trascurato, capelli grigi uniti ad una folta barba simile a quella di un guru ed un indice alzato verso un punto indefinito. All’interno del complesso da cui è stato espulso, nell’unica stanza occupata, a testimoniare la sua presenza sono rimasti solo un gatto ed un portatile. E feci sulle pareti. Non sta a noi giudicare. Quasi sette anni in isolamento, esclusa qualche visita saltuaria di Yoko Ono o Pamela Anderson, comprometterebbero la salute mentale di chiunque. Quel che a noi interessa non è il gossip. Ad essere rilevante è che tre anni dopo il guru, Julian Assange, verrà trasferito negli Stati Uniti dove affronterà un processo dall’esito scontato per rispondere della diffusione di segreti di stato.

Facendo un breve riepilogo, Assange è un attivista australiano di posizioni anti-autoritarie e “post-capitaliste”. Quindici anni fa ha fondato una organizzazione no profit chiamata Wikileaks che dalla sua creazione ha portato allo scoperto diversi scandali politici e violazioni dei diritti umani in teatri di guerra, principalmente ad opera degli Stati Uniti. Gli scoop sono emersi non per investigazione diretta di Assange, ma grazie all’aiuto dei cosiddetti whistleblowers (“fischiatori”, in italiano), ovvero persone interne agli apparati istituzionali e militari che, per coscienza o per colpire determinati bersagli, hanno fornito a Wikileaks copie digitali di documenti riservati. Solo in un caso Assange sarebbe intervenuto di persona aiutando il soldato Manning ad acquisire la password per accedere al materiale governativo, atto incluso tra i capi di imputazione.

L’arresto è stata prontamente condannato non solo da ONG come “Amnesty International”, ma anche da stati non propriamente democratici come Cina, Russia e Venezuela i quali hanno approfittato del pessimo tempismo del tribunale per porre false equivalenze sulla libertà di espressione, immediatamente condivise dai loro simpatizzanti nel Primo Mondo. Superando le conseguenze propagandistiche dell’avvenimento, non ci si può esimere da un giudizio di merito. Il trattamento riservato a Assange è davvero la testimonianza di un doppio standard dell’Occidente sui diritti umani?

Cominciamo con lo sfatare un grande mito: le ragioni che spinsero Julian Assange a cercare rifugio nell’ambasciata dell’Ecuador non erano legate alla sua professione, ma ad una vicenda personale. Nel 2010 venne denunciato per stupro ai danni di due donne in Svezia (nella fattispecie aver sesso consenziente con entrambe a pochi giorni di distanza evitando mediante alcuni espedienti l’uso del preservativo da loro richiesto). Per non affrontare il processo l’attivista sarebbe fuggito in Inghilterra e due anni dopo, una volta che il ricorso contro l’estradizione nel paese scandinavo era stato respinto, si sarebbe barricato all’interno della sede diplomatica. Ovviamente non mancano le teorie secondo cui il tutto sarebbe stata una montatura atta ad incastrare una figura scomoda, ma ciò finora è rimasto nel reame delle congetture. Comunque le denunce vennero archiviate alcuni anni dopo per insufficienza di prove connessa alla lunga latitanza del ricercato.

Sempre nel 2012 il ricercato fece discutere per aver girato e diretto nella sua nuova abitazione un talk show chiamato “World of Tomorrow”, durato una singola stagione ma che ebbe tra i suoi ospiti capi di stato di paesi in via di sviluppo come il socialista Rafael Correa, il Presidente ecuadoriano che gli aveva concesso asilo, e intellettuali del livello di Noam Chomsky e Slavoj Žižek (ai quali Assange è strettamente legato per il comune disprezzo verso il modello neoliberale sviluppatosi in Occidente e l’avversione alla politica estera americana). Il programma fu prodotto e sponsorizzato da RT, canale di propaganda del governo russo censurato nei paesi dell’Unione Europa a seguito dell’invasione dell’Ucraina e che negli anni ha fatto da megafono anche a tesi e personaggi dell’estrema destra europea e statunitense. L’apparente elasticità della piattaforma è perfettamente inserita in una strategia di lungo corso da parte di Mosca di aumentare le divisioni nell’alleanza atlantica alimentando le narrative euroscettiche ed anti-americane di entrambi gli estremi dello spettro politico. Una delle conseguenze di questa campagna mediatica machiavellica la si può riscontrare nel Donbass, dove milizie russe vicine al nazismo operano sullo stesso fronte di volontari comunisti nostalgici dell’Unione Sovietica, e di riflesso anche in Italia

Si obietterebbe che ciò non dimostra una collusione diretta e cosciente del giornalista libertario con il regime di Mosca, esattamente come sarebbe azzardato insinuare un legame tra la sua organizzazione e gruppi jihadisti asiatici solo perché i leaks del 2010 sulla guerra in Afghanistan, oltre a portare alla luce crimini dei soldati della coalizione nei confronti di civili, hanno esposto le identità di quegli afghani infiltrati nel movimento talebano per prevenire attentati, mettendone a rischio l’incolumità. “Se lo meritano”, sarebbe stato il caustico commento dell’australiano. L’informazione sopra tutto, anche la vita degli informatori. Ma ciò non prova niente, al di fuori della spregiudicatezza dell’uomo che si sente investito dal compito di combattere e vincere il Sistema.

Invece la collaborazione di Assange con l’intelligence del Cremlino non è una illazione, ma è un fatto dimostrato dall’inchiesta di Robert Mueller sulle interferenze russe alle elezioni americane, così come è un fatto la scelta di non pubblicare documenti dannosi sulla Russia nello stesso periodo

Un copione molto simile è seguito nelle elezioni francesi del 2017 che vedevano contrapporsi il liberale europeista Emmanuel Macron e la nazionalista filo-russa Marine Le Pen. A due giorni dallo spoglio conclusivo Wikileaks diffuse circa 20.000 emails dello staff elettorale di Macron che provocarono qualche trambusto prima di essere coperti dal silenzio elettorale. Alla fine lo scoop si rivelò una bolla di sapone e Macron poco dopo la sua elezione accusò Putin nel loro primo incontro formale di aver condotto una intromissione nella politica transalpina.  

Assange stesso non ha mai nascosto opinioni simpatetiche nei riguardi di Vladimir Vladimirovich, come quando si scagliò contro i “Panama Papers” definendoli una montatura dei servizi segreti americani per screditare il Presidente russo o arrivò a sostenere quest’ultimo. Già questo pone una sottile distanza morale con Edward Snowden, probabilmente il più celebre tra i  whistleblowers, il quale pur ricevendo asilo in Russia (a quanto pare su suggerimento dello stesso Assange) non ha risparmiato critiche perlopiù indirette alla corruzione ed il dispotismo dominanti nella Federazione. Persino Wikileaks è stata oggetto di contestazioni da parte del loro ex-collaboratore per la menzionata linea di diffondere integralmente le loro “soffiate” senza interessarsi nemmeno di censurare nomi ed informazioni sensibili di privati cittadini presenti nei files rilasciati.

Una trasparenza assoluta, quindi. In contrasto con l’inevitabile segretezza che ha accompagnato l’attivista fin dalla giovinezza e fu tra le ragioni del dissidio con il socio Domscheit-Berg che nel 2011 abbandonò l’organizzazione di cui era portavoce criticandone la metodologia esclusiva. Il fine giustifica i mezzi? In genere sì, purché i mezzi non corrompano il fine ed esso sia ben delineato. Purtroppo, come spesso accade con le Utopie rivoluzionarie, anche Wikileaks ha scelto di concentrare i propri sforzi nella pars destruens della propria missione, lasciando alla pars construes la consistenza di un abbozzo che altri hanno potuto ridisegnare per i propri scopi.

Così Assange, da alfiere della Società Aperta, ha finito per rendersi strumento di chi la libertà mira ad eroderla un pezzo dopo l’altro.

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1 comment

Davide 29/09/2022 at 12:34

Ascolta,coglione,già il fatto che questo è sito se ne occupi ora e basta(che coraggio) la dice lunga sulla democraticità della nostra informazione,la libertà d’informazione in Venezuela e di gran lunga maggiore che qui,in Russia e comunque maggiore e in Cina ,se guardiamo al mainstream,più o meno paragonabile
Assente è un eroe,
Fate pena ,eschifo.

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