Attualità

I gilet gialli che ci stiamo cucendo addosso

Mia mamma diceva che lo faceva volentieri, che era portata. Si era nei primi anni Settanta, e appartenevo ad una normalissima famiglia dove lavorava il marito e la moglie stava a casa. La nonna paterna, con cui abitavamo,  aveva sette tra sorelle e fratelli. Il nonno paterno altri quattro. Ma tutti costoro avevano generato pochi figli, e quasi tutti maschi, alcuni di loro nemmeno sposati. Non ho mai capito bene se questo “lo faccio volentieri” fosse un modo per far buon viso a cattivo gioco oppure c’era del vero. In ogni caso, io ero bambino, la vedevo ogni tanto partire, accompagnata con la Simca da mio padre, con borse e fagotti. Andava ad assistere qualche zia o parente ancora più lontano, nei momenti in cui la loro salute peggiorava ed erano allettati. Si alternava con qualche vicina di casa o, occasionalmente, con un’infermiera che faceva il secondo lavoro. Le sarebbe piaciuto avere un’attività, un impiego, come quella cugina acquisita meno che quarantenne che di lì a poco sarebbe diventata una baby pensionata, sopravvissuta peraltro fin quasi alla pandemia che ci sta affliggendo. Le sarebbe piaciuto, questo lo so di sicuro, ma non era proprio una cosa che stava nel mondo reale. In quegli anni le donne, anche quelle che un po’ avevano studiato, oltre a casa, marito e figli, dovevano “per contratto” occuparsi degli anziani.

Che è cambiato in mezzo secolo? Dati Censis pre-Covid:  in Europa per tasso di occupazione femminile nella fascia 20-64 anni siamo al 53,1%: penultimi, appena sopra la Grecia e circa 30 punti sotto la Svezia. Nelle  donne della fascia 15-24 anni il tasso di disoccupazione è al 34,8%. Al Sud, non ne parliamo. Svimez nel 2019 spiegava come Il tasso di occupazione femminile nelle regioni meridionali fosse distante 30 punti dalla media europea, dietro anche a quello della Guyana Francese (teatro della prigionia e della fuga di Papillon, se serve ricordarlo).  Tutto questo, naturalmente, prima della pandemia.

Le persone non autonome e non autosufficienti sono, già adesso, oltre 4 milioni. Certo il mondo è cambiato, ci sono le badanti (cioè donne e madri di altri Paesi che fanno ciò che facevano, in esclusiva,  donne e madri di questo Paese fino a tre decenni fa) che però costano, e non tutti possono o, peggio, potranno permetterselo. Perché bisogna tenere conto che la durata della vita media si è di molto allungata, ma non altrettanto è cresciuta la qualità dell’invecchiamento. Quindi una non ottimale condizione fisica, psichica, psicologica e sanitaria rischia di accompagnarci per tempi decisamente più lunghi rispetto al passato. Quando la badante non si trova, o non ci si può permettere, indovinate un po’ su chi grava gran parte dell’onere dell’assistenza?

Sono nato nel 1964, l’anno principe dei baby boomers. Quell’anno nacquero in Italia 1,035 milioni di bambini, che adesso si sono trasformati un po’ in pensionati ma in buona parte ancora in contributori fiscali (perché il lavoro lo hanno quasi sempre avuto) e previdenziali. Nel 2019 i nati sono stati 439 mila, facendo guadagnare all’Italia, per il quinto anno consecutivo, il “premio” del più basso tasso di natalità d’Europa, nonostante l’immigrazione. Non c’è da stupirsene, visto che il tasso di fecondità è ormai all’1,29, diretta conseguenza del fatto che il primo figlio viene partorito oltre i 32 anni. Se qualcuno si interroga sulle cause di questo bel primato, sarà utile sapere che il tasso di fecondità è maggiore dove ci sono percentuali più alte di occupazione femminile, confermando un dato noto in letteratura da decenni, e cioè che se le donne lavorano nascono anche più figli. Se non lavorano, nisba.

Messi insieme un po’ di dati su donne, lavoro e anziani, e risparmiando quelli su altri fenomeni socioeconomici tipo il debito pubblico, il livello di istruzione, l’onere pensionistico, produttività, investimenti in ricerca, composizione della ricchezza privata e via dicendo, mi chiedo se risulta evidente solo a me che non c’è più tanto tempo:  la qualità e la quantità della spesa pubblica va buttata per aria e ripensata nel profondo. Analogamente non si può pensare ad un sistema produttivo e imprenditoriale zavorrato da una parte del proprio passato e delle tecniche di sopravvivenza. Non è che si possa cincischiare ancora per molto: una parte del Paese vive al di sopra delle possibilità del Paese medesimo, costringendo l’altra parte ad indebitarsi e a perdere potere d’acquisto (e tempo materiale).

Che sia facile certamente no, ma non mi pare che ci possiamo più permettere di mantenere tali e quali i meccanismi redistributivi, a costo di prevedere che un’ aliquota di cosiddetti diritti acquisiti vada rimessa in discussione, insieme a tanto altro. Al netto della pandemia, che ci ha colti già in sostanziale recessione (e significherà almeno un quinquennio perduto) dopo vent’ anni di stagnazione non possiamo proprio permetterci di lasciare fuori dalla creazione di ricchezza, latu sensu, decine di milioni di donne e di giovani pretendendo di mantenere inalterato il livello dello stato sociale e, anzi, volendolo potenziare.

Mi sbaglierò, ma se gli italiani non assumeranno velocemente la postura e la visione quantomeno dell’homo erectus,  abbandonando quella dell’australopiteco populista che una classe politica globalmente al limite del ridicolo ha incoraggiato, il rischio non sarà “solo” il default finanziario, quanto la deflagrazione violenta del conflitto intergenerazionale tra garantiti, non garantiti, inclusi ed esclusi. Hai voglia di gilet gialli!

2 comments

Dario Greggio 27/09/2020 at 16:54

troppo tardi, per fortuna ;)

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Franco Puglia 28/09/2020 at 18:51

Ciao Lorenzo, si è chiaro a molti tra noi che la nave è in rotta di collisione con un iceberg di proporzioni tali da affondarla senza misericordia, con noi a bordo.
Le donne: certo, più donne al lavoro potrebbero fare più figli, a certe condizioni, perché la famiglia avrebbe un reddito commisurato ai figli da crescere, visto che oggi sono sempre di meno le famiglie disposte a crescere numerosi figli in condizioni di povertà.
Ma aggiungo: che siano femmine o maschi, i PRODUTTORI DI REDDITO SONO TROPPO POCHI.
Dalle mie analisi dei dati ministeriali di qualche anno fa i contribuenti IRPEF erano solo 12 milioni, escludendo statali e pensionati la cui IRPEF è formale, in quanto proviene dai versamenti fatti all’INPS e allo Stato da quei 12 milioni.
E qui, sebbene sia vero che la spesa pubblica va radicalmente ricostruita, anche questa ha uno zoccolo duro non comprimibile; serve più gente al lavoro, MOLTA di più.
Ma per FARE COSA? E qui entriamo in crisi, perché è venuto a mancare quel MERCATO che sostiene lo sviluppo, perché in Occidente abbiamo toccato il tetto, e gran parte del lavoro produttivo è ormai stato trasferito a paesi più poveri di noi.
Ed i fantomatici investimenti in infrastrutture, tra le altre cose a debito, danno lavoro in prevalenza ad alcune categorie, e sono A TEMPO. Terminati i lavori quelle infrastrutture NON producono nulla, in sè: facilitano le cose a chi ha una produzione continua da sostenere. Butta male, molto male. Franco Puglia

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