Tra poco più di un mese saranno passati diciannove anni da che è morto Indro Montanelli. Approfitto della circostanza per dire la mia sulle polemiche di questi giorni scatenate dalla richiesta di un gruppo di – fantomatici – democratici di sinistra soprannominati sentinelli, fiancheggiati da esponenti del Pd milanese, di rimuovere la statua a lui dedicata nei giardini di Porta Venezia.
Il 2 giugno del 77 Indro Montanelli veniva gambizzato da un commando di brigatisti mentre passeggiava in Piazza Cavour. Questa la cronaca dell’accaduto contenuta nel diario di Biazzi Vergani: “tre terrosti lo seguivano; probabilmente lo stavano pedinando da giorni. Uno ha estratto una lunga pistola calibro 7,65 e gli ha sparato otto colpi, ferendolo alle gambe. “Vigliacchi” ha gridato Montanelli mentre, aggrappandosi alla cancellata del giardino si accasciava. I tre sono fuggiti e Montanelli, per fortuna, non è riuscito ad estrarre la pistola, che portava legata a un’ascella”. (…) Montanelli è stato colpito da 4 pallottole; tre sono uscite senza ledere parti vitali. La quarta dovrà essere asportata”. Le pallottole avevano seguito un percorso intelligiente, entrando nelle sue gambe filiformi da fenicottero, avevano sfiorato l’aorta femorale, ma non l’avevano lesa. In serata la rivendicazione: siamo le Brigate rosse del gruppo Alasia. Abbiamo colpito il servo delle multinazionali. Commenta Montanelli: “questi poveri diavoli meritano più disprezzo che odio. Hanno piena la testa di parole di cui non sanno il senso. Comunque se credono di tappare la bocca al Giornale si sbagliano”.
Dieci anni dopo Montanelli perdonò e andò a trovare in carcere due dei suoi attentatori affermando, nel suo stile, che “a guerra finita coi nemici si brinda”.
È legato a questo fatto di cronaca, oltreché per i suoi indiscutibili meriti giornalistici, la decisione dell’amministrazione meneghina dell’allora sindaco Albertini di erigergli una (brutta) statua di ottone e di intitolargli i giardini di in cui essa si trova. Una forma di risarcimento postumo. All’epoca nessuno ebbe alcunché da obiettare. Oggi invece la si vorrebbe eradicare, con la motivazione che Montanelli sarebbe nientemeno che “un pedofilo e uno stupratore”, rispolverando un episodio di guerra risalente a più di 80 anni fa. Un episodio noto e stranoto della vita di Montanelli, che viene tirato fuori periodicamente al fine di screditarlo; lo aveva fatto qualche tempo fa anche un gruppo di pseudo femministe, con la stessa motivazione, imbrattando la statua di vernice rosa.
Non indugerò oltre su questo (se n’è parlato e scritto abbastanza) se non per ricordare qualche banale verità. Il più eminente storico italiano del colonialismo, Del Boca, che proprio con il giornalista toscano ingaggiò una lunga diatriba sull’uso dei gas nella guerra d’albissinia (Montanelli aveva sempre negato, basandosi su ricordi anedottici, infine ammise che aveva ragione lo storico e si scusò pubblicamente), intervistato dal tg2, ha liquidato così la questione: “nell’atmosfera dell’epoca queste cose erano inevitabili, era una tradizione da rispettare – Montanelli non poteva rifiutarsi a meno di violare l’etichetta indigena, scrive Granzotto nella sua biografia -. Ne abbiamo parlato a lungo proprio perché lui sapeva che io ben conoscevo i costumi eritrei e quindi non mi scandalizzavo di certo. Tra l’altro, ho avuto l’impressione che il matrimonio non sia mai stato consumato”. I fatti del passato vanno contestualizzati; e di certo non si possono giudicare con i canoni morali di oggi. Senza contare che, seguendo questa china, si salverebbero in pochi. Ghandi e Churchill ad esempio – ha scritto Massimiliano Panari su La stampa – erano razzisti conclamati. “Ma ciò non annulla il contributo straordinario che con le loro azioni, in ambiti differenti, hanno apportato alle collettività di cui sono stati le guida”.
Montanelli era un uomo complesso, figlio del suo tempo; era stato come tutti gli italiani, almeno fino al 1940, un fervente fascista e probabilmente sì, era anche larvatamente un po’ maschilista (nel 72, in una trasmissione tv definì quella ragazzina un “animaletto docile”, definizione assai riprovevole). Non esistono altre versioni dei fatti – a parte quelle del giornalista di Fucecchio, che, lo sappiamo, aveva la tendenza a imbellettare i racconti del suo passato – per cui è difficile persino stabilire come andarono veramente le cose.
Ma questa vicenda ovviamente è solo un pretesto, una piccola macchia in una vita che è un esempio di probità e dirittura morale, adoperato per lordare la memoria del più grande giornalista di destra; la cui unica colpa sarebbe giustappunto quella di essere di destra, e perciò ipso facto un reazionario.
L’appello dei cosidetti sentinelli, imbevuti come sono di ideologia politicamente corretta, si conclude con l’esortazione a rimuovere la statua ed erigerne altre a personalità “più degne”, in ossequio alla furia iconoclasta esportata da oltreoceano di abbattere monumenti.
Nessuno più di Montanelli è “degno” di avere un monumento che ne onori la memoria, con buona pace delle prefiche moraliste e dei latori del pensiero unico.
2 comments
:)
“aLbissinia”
[…] torrenziale, incisiva; una scrittura senza fronzoli, meno sberluccicante rispetto a quella di un Montanelli ma quantunque nitida ed elegante. I suoi incipit folgoranti, i reportage dell’Italia del boom […]