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Speaker's Corner

I gay non vanno curati, vanno zittiti.

ragazzogaymilanoCome prevedibile,  l’incontro intitolato “Difendere la famiglia per difendere la comunità”, tenutosi lo scorso sabato 17 gennaio presso il Palazzo della Regione Lombardia a Milano, non ha mancato di far parlare di sé.

Infatti, già da qualche settimana, l’evento era finito nel mirino della stampa, che non aveva esitato a definirlo con veemenza un ‘convegno omofobo‘. Tra le altre cose, il fatto che sulla locandina figurasse il simbolo di EXPO aveva suscitato un’ondata di sdegno di alcune associazioni LGBT e di una parte del PD, che si erano attivate – invano – presso la Regione, affinché il logo venisse rimosso.

L’indignazione sorgeva dalla circostanza che tra i promotori del dibattito figurasse l’organizzazione Obiettivo Chaire, la quale si prefigge come scopo quello di accogliere ed accompagnare, attraverso un percorso pastorale, tutte quelle persone che vivono un disagio identitario legato alla propria sfera sessuale, nell’ottica di quel che richiede anche il catechismo della Chiesa cattolica.

Il riferimento all’omosessualità come disagio identitario ha scatenato le dure reazioni di coloro che hanno intravisto, tra le righe della locandina, un tentativo di celare, all’interno di un convegno in difesa della famiglia tradizionale, la volontà di instaurare un dibattito su “come curare i gay”.

Effettivamente, visitando il sito dell’organizzazione si scopre che tra gli obiettivi dichiarati dalla stessa, figura «l’accompagnamento spirituale, psicologico e medico a coloro che liberamente ne fanno richiesta; l’attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di prevenire l’insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani».

Inoltre, come si evince da un opuscolo diffuso da Obiettivo Chaire nel 2005 – ABC per capire l’omosessualità – la presa di posizione dell’associazione è evidente: “il fatto che l’omosessualità non compaia più nell’elenco dei disturbi dei manuali diagnostici non significa però che essa non costituisca un disordine”.

I Sentinelli di Milano, con il sostegno di numerose associazioni, movimenti e partiti del centrosinistra, hanno organizzato, per lo stesso giorno, un presidio per manifestare contro il convegno, denominato “L’unica malattia è l’omofobia”.

Gli organizzatori del convegno, dal canto loro, si sono difesi dichiarando di non aver mai sostenuto che i gay vadano curati. L’equipe di Obiettivo Chaire, semplicemente, riconosce l’esistenza di persone con tendenze omosessuali che vivono tali pulsioni in maniera problematica e sentono di aver bisogno di un sostegno esterno, e tale sarebbe da qualificare l’accompagnamento pastorale offerto dall’organizzazione cattolica. Apparentemente, dunque, si tratterebbe di un’opera caritatevole, almeno negli intenti. Nessun riferimento –  in teoria – alle famigerate terapie riparative, ovvero a quelle tecniche psicoterapeutiche, contestate e non riconosciute dalla quasi universalità della comunità scientifica, intese a cambiare l’orientamento sessuale di una persona dall’omosessualità originaria all’eterosessualità, oppure ad eliminare o quantomeno ridurre i suoi desideri e comportamenti omosessuali.

Ad ogni modo, proseguivano i promotori dell’organizzazione, in nome della libertà di opinione – di cui tanto sentiamo parlare in questi giorni – non poteva essere contestato il loro diritto ad organizzare un convegno a favore della famiglia tradizionale e dei suoi valori, posto che la Regione aveva, in altre occasioni, dato la propria autorizzazione allo svolgimento di iniziative promosse da associazioni gay. Sacrosanto, verrebbe da dire.

Senonché, l’ipocrisia, i pregiudizi e l’intolleranza sottesi all’iniziativa, sono emersi sabato, durante il convegno. Un giovane studente universitario, dichiaratamente gay, ha preso la parola , domandando alla platea “Quanti di voi sanno se vostro figlio è ‪‎omosessuale? Cosa ne pensate delle teorie riparative?”.

Nemmeno il tempo di finire la domanda, ed il ragazzo era già stato prelevato forzosamente ed allontanato dalla sala, tra i fischi e le grida roboanti dei “paladini della famiglia”, tra cui quelle di Ignazio La Russa, che apostrofava il giovane urlandogli: ‘Culattone!

Insomma, non una bella figura per coloro che hanno difeso la legittimità del convegno in nome della libertà di manifestare civilmente la propria opinione. Forse costoro credono che la stessa libertà non vada riconosciuta agli omosessuali. Forse, allora, bisogna concludere che i gay non sono da curare ma che, in ogni caso, vadano zittiti ed esclusi. Se questa non è omofobia

4 comments

Davide Sguazzardo 20/01/2015 at 10:14

Attenzione sul convegno di sabato c’è stata una campagna di menzogne di Repubblica fomentata da associazioni gay, indecente.
Mi sono scaricato l’audio da radio radicale e quello che ha fatto sto studente è insistere dal pubblico per fare una domanda sul palco in un convegno dove non era previsto l’intervento del pubblico. Si sente come questo abbia alzato la voce dalla platea e si sia diretto verso il palco con tutta la platea che inveiva contro un disturbatore che voleva imporre il suo privilegio di parlare dal palco. L’errore è stato del moderatore che gli ha concesso il microfono. Infatti ha iniziato a polemizzare e rubare tempo per rimanere al microfono a fomentare la platea. Si sente che l’intervento è stato costruito per far gazzara, tra l’altro con domanda fuori tema sulle teorie riparative (argomento di repubblica per screditare gli organizzatori), tutto pro Iene che stavano riprendendo. Pensate che un minuto dopo era già tutto sulla pagina di repubblica così preparata da scrivere un articolo in un minuto.
Non voglio difendere gli organizzatori o gli oratori intervenuti, ma porre l’attenzione come certe parti cerchino l’omofobia anche dove non c’è

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Axel 20/01/2015 at 11:44

Sinceramente ho qualche dubbio che sul convegno vi sia stata una campagna di menzogne, soprattutto perché era talmente ignobile il proposito che ne stava alla base che la semplice verità era sufficiente a screditarlo. Il suo commento, gentile signor Sguazzardo, è perfettamente in linea con l’oggetto dell’articolo. “L’errore è stato del moderatore che gli ha concesso il microfono”. Ecco, in questa semplice frase sta il senso di quanto scritto. Siamo alle solite: il ragazzo era un provocatore, intervento costruito, polemizzare e rubare tempo… Polemizzare? rubare tempo? Certo, ma come si permette una persona in disaccordo di esprimere il suo dissenso?! Lesa maestà disturbare i grandi “scienziati” che prendevano parte all’illustre consesso. Certo molto meglio lasciar parlare i vari La Russa che sanno senza dubbio esprimersi in modo più appropriato. Sul cercare “l’omofobia anche dove non c’è” meglio stendere un pietoso velo, visto che a quanto si può leggere tra le righe (e non) il convegno ne era velatamente intriso. E’ inutile, questo Paese non ha speranze finché esisterà la cultura del “se l’è andata a cercare”. Ciò vale per le ragazze in Siria, per un ragazzo che chiede la parola per esprimere un dissenso, e via discorrendo. Non siamo noi omofobi, sono loro che sono omosessuali. E questo è il triste destino per una società che ancora si scandalizza per un bacio in pubblico o perché un giocatore di Football chiede al suo compagno di sposarsi sulla cupola di San Pietro. Come se ciascuno non avesse il diritto di credere, di avere una religiosità da vivere (sempre a fatica) con la propria condizione. E sia. Colpa di Repubblica, complotto. Tutti pronti a cercare le oscure menti che progettano disegni e sabotaggi del nostro sacrosanto equilibrio quotidiano. Quindi meglio prenderli di forza questi “pericolosi dissidenti” e spostarli nel solito stanzino accanto alla sala per le altrettanto solite procedure. La colpa è sua, è un disturbatore, un provocatore e intanto una platea gioca con i destini sociali e i diritti civili delle persone sentendosi superiore o migliore. Bell’esempio davvero. C’è da esserne fieri. Saluti.

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Franco Puglia 20/01/2015 at 20:39

Se non erano previsti interventi del pubblico, come spesso accade nelle conferenze, nessuno può arrogarsi il diritto di fare un intervento, perchè anche altri avrebbero diritto di intervenire e replicare.

Mi pare di capire che questo intervento abbia fatto degenerare l’incontro stimolando il peggio che alcuni degli intervenuti erano in grado di dare, a cominciare da La Russa.

Chi ha organizzato l’incontro aveva ogni diritto di caratterizzarlo in funzione delle tesi che sostiene, che possono essere meno condiscendenti ad alcune rivendicazioni degli omosessuali di quanto non lo siano le tesi di altri soggetti, in genere e più spesso collocati politicamente a sinistra.
Ciascuno ha il diritto di fare il convegno che vuole senza essere necessariamente e magari strumentalmente contestato.
Questo tema, come altri, è fortemente divisivo.
Io non so se posso essere definito omofobo, ma ammetto che alcune manifestazioni omosessuali mi mettono a disagio e non considero gli omosessuali “normali” più di quanto io non consideri normale chi è cieco, zoppo o comunque portatore di altre forme di handicap.
Questo non significa che si debbano curare o che abbiano bisogno di assistenza psicologica, salvo casi particolari.
Detto questo io non discriminerei mai gli omosessuali in quanto tali, ma allo stesso modo in cui non iscriverei un cieco ad un corso di arti figurative non mi sento di riconoscere alle coppie omosessuali uno status analogo a quello della famiglia eterosessuali in rapporto ai minori.
Su altri diritti parificati tra coppie gey a non sono perfettamente daccordo. Trovo provocatorio come le vignette di Charlie Hebdo voler chiamare matrimonio il riconoscimento dell’unione civile di una coppia omosessuale. Gli omosessuali sono stati troppo a lungo discriminati ed aggrediti e la loro rivoluzione per vedere riconosciuti i loro diritti li ha portati, come accade sempre in questi casi, ad ogni forma di eccesso.
Ricordo ancora le femministe d’epoca che volevano far sparire il seno e buttavano via il reggiseno.
Non molti anni dopo si è passati al silicone …

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Davide Sguazzardo 20/01/2015 at 15:28

“Difendere la famiglia per difendere la comunità” sarebbe l’ignobile proposito del convegno?

Era un convegno non un dibattito; se ad un convegno io insisto per salire sul palco e fare una domanda con la platea in disaccordo nel darmi questo privilegio, e una volta salito faccio un intervento invece di una domanda, l’errore è del moderatore che mi da il microfono. Ascolta l’audio integrale

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