A un mese e mezzo dalle prossime elezioni politiche, i partiti ancora brancolano tra coalizioni instabili e mutevoli, posizioni incerte, tentativi di formare liste esterne e programmi ancora da ultimare. Tra questi, anche Fratelli d’Italia sta definendo le sue proposte programmatiche, ma qualche possibile indizio potrebbe essere trapelato qualche mese fa e da un partito capace di rievocare un progetto politico squisitamente post-fascista in tempi di democrazia liberale ovviamente c’era da aspettarsi qualcosa di controverso e illiberale… ma forse non fino a questo punto.
Il testo è intitolato “Appunti per un programma conservatore” e va subito precisato che non è né una bozza di programma né un documento ufficiale, ma solo il frutto di un brainstorming che raccoglie contributi di iscritti e persone esterne al partito, contenente idee, proposte eventuali, speranze, punti che potrebbero finire nel programma effettivo in chissà quale forma finale e provocazioni (pag. 1). Apparentemente, a quanto riporta la stessa leader del partito Giorgia Meloni, molti in questi giorni hanno confuso e stanno spacciando questo testo e parti del programma del 2018 per il programma effettivo del 2022 che, come riportato nel link, è ancora in fase di stesura e dovrebbe essere consegnato per legge entro due settimane. Pertanto, a scanso di equivoci, quanto stiamo per vedere non dovrebbe finire nel programma ufficiale (se lo farà, chissà in che modo verrà ripensato, riproposto e declinato), ma può essere utile imbastire una riflessione perché sicuramente è indice del tipo di idee che circolano all’interno della destra italiana e di come queste possono essere rimescolate e rielaborate nelle promesse elettorali e nei progetti di governo.
Tralasciando le aberrazioni presenti nella sezione economica del documento, su cui certo si sono spesi e si spenderanno commentatori ben più esperti del sottoscritto, c’è un punto in particolare che sta facendo discutere e che fa drizzare le antenne anche a chi non mastica la materia: un piano di collocamento occupazionale obbligatorio per giovani diplomati e laureati mediato da (o interamente basato su) un non meglio specificato sistema di Intelligenza Artificiale. Detta così, la proposta può piacere o meno, ma ha un connotato neutro: in base a come si intende svilupparla può andare in qualunque direzione ed essere efficace o disastrosa, sia dal punto di vista economico che etico. Ma tutto degenera se andiamo a leggere nello specifico il testo:
Ora, è evidente quanto questo punto sia estremamente sbagliato e indigesto a un cittadino minimamente liberale o scientificamente competente. È altresì intuibile che tipo di implicazioni esso si trascini, già solo nell’idea, su molti aspetti della nostra vita, ma cerchiamo di essere analitici e proviamo a sviscerarne le storture. Questa proposta, infatti, è affetta da almeno tre ordini di problemi (e chissà quante altre criticità occulte): economico, tecnico-applicativo e, soprattutto, etico-sociale. Insomma, la domanda vien spontanea: “Cari Fratelli d’Italia – si fa per dire – ma che cazzo dite?”
Problema economico
Senza tirare in ballo le falle e le inefficienze del centralismo economico, o i teorici che più si sono battuti contro queste fantasie, siamo davanti allo stesso problema che affligge il Reddito di Cittadinanza e tanti altri provvedimenti recenti: la pretesa di risolvere a valle una deficienza che sta a monte.
Mi spiego meglio: aleggia quest’idea strampalata che potenziare i processi allocativi e occupazionali dei centri per l’impiego sia la soluzione alla disoccupazione, soprattutto giovanile, del nostro Paese, ma questo ragionamento è limitato. Perché, se è vero che gli uffici collocamento non sono bene organizzati e sono pessimi nell’incrociare inoccupati (offerta di lavoro) e imprese (domanda di lavoro), tra i motivi di questa mancanza ci sono indubbiamente una sostanziale inadeguatezza delle strutture impiegatizie e un pericoloso impigrimento dei loro dipendenti e del loro funzionamento, ma soprattutto un’impalcatura economico-produttiva stantia, antimoderna e poco flessibile, dovuta a una mentalità incapace di decollare e alle politiche economiche, fiscali e occupazionali della recente storia repubblicana che non consentono al Paese di trasformare le microimprese, le nanoimprese e le PMI (complessivamente il 90% del tessuto produttivo) in grandi imprese. Insomma, non è agendo solo sui centri per l’impiego (la valle) che si risolverà il problema occupazionale, ma anche liberando ed efficientando i meccanismi alla base della nostra rigida e vincolata economia di mercato (il monte).
Problema tecnico-applicativo
Chi ha scritto questo scempio palesemente non ha la benché minima idea di cosa sia l’Intelligenza Artificiale. Lo dico senza mezzi termini.
Innanzitutto quello che viene proposto è “virtualmente” realizzabile già solo con un database a supporto dei centri per l’impiego o di altre strutture deputate. In secondo luogo, è una proposta che pare miope negli obiettivi: adoperare un’AI capace di fare un matching esatto tra dati che non possediamo è un’assurdità in termini. Vuol dire matchare perfettamente il rendimento, gli indirizzi di studio, le aree di competenza e le preferenze professionali di una massa abnorme di studenti (tra scuole secondarie di secondo grado e università), senza contare le personalissime intenzioni di carriera, che possono deviare dalla propria formazione, e le eventuali competenze acquisite al di fuori, come corsi, hobby o altre esperienze lavorative. Non abbiamo semplicemente tutte queste informazioni, ma solo una parte di esse.
E un’AI di questo tipo che funzioni bene dovrebbe poter calcolare esattamente, minuto per minuto, tutte quelle variabili che sono e rimangono sempre in larga parte soggettive e personali, soggette alla variabilità delle preferenze, dei desideri, delle opportunità esogene e delle possibilità economiche. Sarebbe peraltro qualcosa di pericolosamente vicino, almeno concettualmente, a quella Intelligenza Artificiale generale/forte di cui parlano alcuni teorici (spesso tecno-pessimisti e catastrofisti, ma assolutamente irrealistica rispetto a cos’è davvero l’AI oggi), la quale è peraltro pura fantascienza. E non ho idea di come questo possa cozzare con misure a sostegno di privacy e sicurezza come il GDPR.
Problema etico-sociale
Veniamo dunque al più importante dei problemi. La proposta, infatti, ha un che di distopico in molti punti, tra cui, ironia della sorte, quello in grassetto. Innanzitutto è quanto di più autoritario possa emergere nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale applicata alla politica. Riprendiamo i passaggi incriminati punto per punto:
“Il giovane non potrà più scegliere se lavorare o meno […].“: ecco che lentamente entra in scena l’indole illiberale e paternalista di un partito di destra sociale come FdI. Non esiste al mondo nessuno, soprattutto in politica, che possa costringermi ad accettare un lavoro che per qualche motivo non mi è gradito o sostenibile. E se il motivo è che io percepisco un reddito minimo condizionato (come il RdC, vincolato alle opportunità di lavoro, che però, si legge negli Appunti, dovrebbe essere sostituito con un sussidio alle famiglie), piuttosto che impedirmi di rifiutare la proposta di lavoro, lasciami un minimo margine di manovra (come accade con le tre proposte di lavoro del RdC, di volta in volta meno convenienti quanto a distanza geografica) o toglimi/riducimi direttamente il reddito (come accade in parte nell’attuale RdC). Non posso pensare che uno studente si trovi ad essere assegnato dallo Stato a un lavoro calcolato da un’AI al quale non può sottrarsi, pena la perdita dei benefici e delle sanzioni (come vedremo dopo) e trovandosi pure impossibilitato a scegliere cosa fare della sua vita o almeno a valutare tra più proposte quale gli è più congeniale.
“Il giovane […] è vincolato ad accettare l’offerta di lavoro per sé […].“: come prima, con un poco elegante meccanismo top-down, qui vengono meno la libertà e l’autonomia decisionale in mano al cittadino, che nessuno può sottrargli senza essere poi tacciato di autoritarismo.
“Il giovane […] è vincolato ad accettare l’offerta di lavoro per sé, per la sua famiglia […].“: lo Stato non deve mai intromettersi nella sfera individuale e privata dell’individuo, qualunque sia il rapporto che questi intrattiene col settore pubblico, col mercato del lavoro o col resto della società, a meno di reati ecc.
“Il giovane […] è vincolato ad accettare l’offerta di lavoro per sé, per la sua famiglia e per il Paese […].“: ecco l’inghippo. Alla base di quest’ultimo punto torna ancora una volta l’idea collettivista che tutti debbano necessariamente contribuire al benessere della società, incarnata nell’entità semantica del “Paese”, e non possano semplicemente dedicarsi all’autorealizzazione individuale, la quale stessa produce un benessere più generale. L’idea che il fine sia il Paese, lo Stato, il popolo, la collettività, la società, e non l’individuo, non solo è sbagliata di per sé, perché astrae l’individuo stesso dalla sua sostanzialità e lo riassorbe in un costrutto collettivo, ma non è qualcosa che dovrebbe decidere la politica per noi. Se io decido di dedicarmi altruisticamente alla società od orientare la mia carriera a fini sociali e collettivi, deve essere solo una mia scelta autonoma, non mi può venir imposta come giusta dall’altro, in riferimento a qualche delirante criterio di giustizia platonica e oggettiva.
Inoltre, cosa forse ancor più dirimente, non dobbiamo mai dimenticarci, MAI, che non siamo noi a servire lo Stato (termine ombrello per indicare gli apparati statuali e la società civile tout-court), ma è lo Stato a servire noi: in termini lockeani, se esistono lo Stato e la società civile e non altre forme di organizzazione sociale, esistono solo perché ci sono utili e ci devono essere utili, non perchè noi siamo utili a loro. L’interazione complessa tra molteplici individui, ciascuno con i propri fini e desideri e secondo regole stabilite dal basso e dall’alto, è già il patto sociale. Se esiste lo Stato non è perché noi dobbiamo servirlo o servigli, ma è perché esso deve servire noi e servire a noi. Se smette si servirci, perde ogni senso d’esistere.
Questa pericolosa retorica, squisitamente nazionalista o populista, è figlia di decenni di soverchiamento dell’individuo in nome di beni comuni, collettività e altri fini astratti che sono solo controproducenti sia a livello logico che fattuale. Piuttosto che puntare sull’efflorescenza individuale, si torna all’idea che lo Stato, il Paese, la Nazione, siano cose di cui essere grati, a cui essere debitori, perché ci mantengono e assicurano la nostra sopravvivenza, come dei bravi genitori. Ma non è così: se una persona convintamente liberale ma povera gode e profitta di benefici welfaristici, come una borsa di studio, un sussidio o un alloggio, non è affatto contraddittorio, dal momento che lo Stato esiste proprio per questo, proprio al fine di garantire la nostra naturale libertà individuale e il miglioramento delle nostre condizioni di vita, a patto di avere un minimo di regole comuni da rispettare per la nostra pace sociale.
Che lo Stato spenda, coerentemente con le volontà democratiche, qualcosa in più per agevolare categorie in difficoltà, non è una cosa di cui essere grati ma una cosa che ci aspettiamo di default, siccome è proprio il motivo per cui accettiamo il compromesso di essere governati da delegati della cittadinanza e di non vivere nell’anarchia. Quindi è lo Stato che deve servire noialtri, non il contrario. Ed io non ho alcun tipo di dovere morale o debito nei suoi confronti, neanche quando fa qualcosa di più per me.
“Il giovane […] è vincolato ad accettare l’offerta di lavoro per sé, per la sua famiglia e per il Paese, pena la perdita di ogni beneficio con l’applicazione anche di un sistema sanzionatorio.“: ciliegina sulla torta, non ce le metti un po’ di sanzioni per punire il reo? Se è vero che i meccanismi sanzionatori sono la base di ogni positivismo giuridico, anche solo a fini di deterrenza, questo passaggio finale fa sembrare quasi tollerabile il sistema dei crediti sociali vigente in Cina, e quello, benintesi, è un sistema liberticida e autoritario.
Senza scomodare il già troppo citato Orwell, tutta l’impalcatura fin qui tratteggiata (un sistema di Intelligenza Artificiale che rintracci l’elenco dei giovani laureati e diplomati e li agganci obbligatoriamente a uno sbocco lavorativo ritenuto consono al quale non possono sottrarsi perché sarebbe disonorevole e vilipendioso per la Patria, pena sanzioni durissime) è quanto di più coercitivo potesse uscire dalle menti militariste di un partito come FdI, buono solo per la coerenza identitaria dimostrata nelle idee e nei valori nel corso degli anni.
Se è vero che il potere divora il potere e ne desidera sempre di più intrinsecamente, è a queste piccole posizioni che bisogna stare attenti per salvaguardare l’equilibrio delle forze e dei poteri stessi, tra la libertà individuale e la prassi governamentale. Chi accetta questo genere di violazione top-down è complice della sua stessa disfatta e crea un precedente che lascia ulteriori margini di manovra a una destra già affamata di controllo, ordine e coercizione. Senza scadere nella fallacia della brutta china, questa proposta è qualcosa che oggi si applica alle politiche attive del lavoro e domani chissà. Ma non credo che nessuno desideri scoprirlo.
Nonostante le celeri (e giustissime) smentite giunte dai profili social della stessa Meloni sulla futuribilità di questa proposta non più-elettorale, ciò non deve farci abbassare la guardia, perché l’autoritarismo liberticida è sempre dietro l’angolo. Magari non in questa specifica forma o versione, ma in altre, camuffato da maschere di buon senso e ragionevolezza che rischiano di assuefarci a politiche invero inaccettabili per la tenuta di una vera liberal-democrazia. C’è illiberalità ogni volta che qualcuno impedisce la conquista di nuovi spazi di libertà, c’è liberticidio ogni volta che qualcuno boicotta il riconoscimento di nuovi diritti, c’è autoritarismo laddove si lascia che il governo governi noi piuttosto che creare le condizioni favorevoli perché noi stessi possiamo organizzarci e gestirci con successo senza l’aiuto dello Stato genitore. Qualcuno diceva che più un Paese è pieno di leggi, più considera i propri cittadini delle scimmie ingestibili e incapaci di darsi delle regole. La politica non deve disciplinare e direzionare i nostri comportamenti, ma fare in modo che occorra sempre meno governare i cittadini e sempre più governare i problemi che li colpiscono, in un passaggio gentile dal government alla governance.
E se questo sembra un discorso estremo ed eccessivo per un piccolo punto che alcuni potrebbero persino condividere e che peraltro non finirà neanche nelle promesse elettorali ufficiali, è proprio con questo atteggiamento accomodante che si lascia spazio allo Stato etico e paternalista. Cedere liberamente una libertà alla volta non vuol dire esprimere la propria libertà, ma lasciarsi liberare da essa. Non importa che si tratti di un punto del programma economico della Lega o di Sinistra Italiana o di un punto del programma sociale di Fratelli d’Italia o del Partito Comunista: perdiamo pezzi di libertà ogni volta che non facciamo nulla per custodirla e riaffermarla col vigore di chi sa cosa vuol dire perderla.
2 comments
Guardiamo il lato positivo della faccenda, per quanto minuscolo: la destra reazionaria sta subendo un processo evolutivo.
Una volta avrebbero detto: “il giovane è tenuto ad accettare il lavoro per Dio, la Patria e la Famiglia”.
È semplicemente una versione attualizzata della cosa