L’arrivo di Mario Draghi al vertice dell’esecutivo di Roma è stato accolto con giubilo dagli ambienti internazionali, dagli investitori, dalle istituzioni europee. E anche dalla quasi totalità della classe politica italiana. Insomma: il salvatore della patria, il Messia. Il ritorno dell’élite, invocato persino da quel “popolo” che le élite le disprezzava e ora le invoca in uno dei soliti momenti di italianissima crisi politica. Il fallimento del cosiddetto primo governo populista della Storia repubblicana – che ha preso forma in due formazioni inedite, sia con la destra che con la sinistra – non è la fine del populismo di governo. Se non altro, un certo tipo di grossolana incompetenza nella stanza dei bottoni, può salire in soffitta almeno per il momento. L’arrivo di Draghi coincide con una sconfitta sonora del Movimento 5 Stelle, che neppure troppo prematuramente e non solo al governo ha dimostrato i limiti di un’imbarazzante accozzaglia di personaggetti da operetta, cialtroncelli ambiziosi, massimi elevatori dell’invidia sociale. Analizziamo i fallimenti e le ipocrisie del M5S.
Al di là di qualche ministero conservato, il M5S è il grande sconfitto della cosiddetta crisi di governo; glielo si ricordi, mentre i suoi parlamentari si spelleranno le mani in Aula ad applaudire all’esecutivo “del banchiere”. Gli istinti antipolitici, antimeritocratici, antindustriali, anticapitalisti e antiliberali hanno esacerbato l’attuale situazione politica, economica e sociale in Italia. Agitatore della politica par excellence, al Movimento va d’altra parte riconosciuto negli anni il merito di aver canalizzato la protesta e l’odio di classe, evitando così penose e chiassose discese in piazza di forconi (o forse forchette). Si aggiunga poi l’istinto di molti italiani di non voler scendere in piazza, per poi darsi al lamento casalingo e votare per decenni una classe politica inefficiente, inaffidabile, irresponsabile.
Il M5S, di ispirazione socialista, dunque populista – nonché dagli istinti autoritari e tribali – ha coltivato il pauperismo e l’ostilità nei confronti del mercato, nonché l’iper-statalismo. Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 1° luglio 2020), ha definito i 5stelle come «una combinazione delle caratteristiche di diversi “storici” movimenti populisti (argentino, peruviano, venezuelano, boliviano, brasiliano) che hanno prosperato per decenni in America Latina. Come i loro parenti latinoamericani, sono sorti per combattere la “oligarchia”, i ricchi, i potenti […] Le loro politiche assistenzialiste, ridistributive […] di definirli “di sinistra”. Il loro antiparlamentarismo li accomuna a tanti movimenti del passato […] sia di estrema sinistra che di estrema destra.» Definizione perfetta quanto tragica, in un paese non estraneo all’estremismo e all’assistenzialismo.
Grazie al suo intrinseco istinto verso l’abuso dei soldi pubblici per comprarsi il consenso di interi settori sociali e gruppetti d’interesse, il M5S è riuscito a governare prima con il più vecchio partito in Parlamento (la Lega), poi con il più odiato e stigmatizzato dalla sua “classe dirigente” (il Partito Democratico). Ora si è dato al ménage à trois … L’accoppiata di Reddito di Cittadinanza e Quota 100 è stata deleteria in un paese abituato da decenni alle mancette ora a questo ora a quello e con una longevità sempre più pronunciata. Il RdC in particolare, «ha smentito le attese dei suoi stessi sostenitori: non è servito a sorreggere il PIL» ha scritto Dario Di Vico, «non ha spinto gli inattivi a mobilitarsi e a far crescere la quota di chi cerca veramente lavoro e […] non si è rivelato quella pietra miliare nella storia del welfare italiano».
«Bisogna sinceramente ammettere che il Premier Giuseppe Conte è uno straordinario avvocato», ha scritto beffardamente Ferruccio de Bortoli (21 aprile 2019). «Più che del popolo, delle cause impossibili. Riesce a tenersi in equilibrio nonostante le laceranti contraddizioni tra le parti della sua maggioranza.» Trovata la figura più presentabile del Movimento nato dal “vaffanculo”, il M5S ha portato avanti la grande malattia della politica italiana: lo statalismo. Elemento che è stato sottolineato anche da Luca Ricolfi che a proposito del Conte bis disse: «è il primo governo esplicitamente e risolutamente iperstatalista della storia della Repubblica. In esso, infatti, le peggiori pulsioni del mondo comunista ed ex comunista, rappresentato da PD e Leu, confluiscono e si saldano con l’ideologia della decrescita felice propria dei Cinque Stelle.» Decrescita in tutti i sensi: l’esperimento populista in un paese sull’orlo della bancarotta ha fatto danni in tutti i settori della vita pubblica, mostrando le ipocrisie pentastellate.
Dal profilo politico, innanzitutto, non ci sarebbe mai dovuto essere un governo del M5S. «Mai alleanze» è stato il mantra dei militanti pentastellati sin dagli albori. I 5stelle proposero l’abolizione dell’immunità parlamentare (che c’è ancora), il non-riscorso alla fiducia alle camere (strumento che i governi Conte hanno adoperato), il non-salvataggio delle banche (che invece è stato effettuato). Non da ultimo il “no” ai “Presidenti del Consiglio non eletti dal popolo” – quando mai in Italia i presidenti del Consiglio sono eletti “dal popolo”? D’altra parte, in merito alle promesse non mantenute ci sono l’abolizione della scorta per le autorità di competenza (Conte la scorta ce l’aveva), la riduzione delle autoblu (ancora sfreccianti per Roma), l’impeachment nei confronti di Sergio Mattarella (al Quirinale fino al 2022), l’abolizione del doppio mandato (molti parlamentari eletti nel 2013 sono stati rieletti nel 2018, Luigi Di Maio in testa), il sorteggio dei membri del CSM (che non è avvenuto) ed infine, le dirette streaming per i colloqui (non si è mai vista alcuna riunione da nessun ministero; sarebbe stato interessante vedere Vito Crimi o Danilo Toninelli a colloquio con Draghi).
Dal profilo economico, i promotori della “decrescita felice” – come la definì il comico-capo o comico-capo – avevano ripetutamente detto che non ci sarebbe stata alcuna manovra economica “dettata da Bruxelles”. Quella 2018-2019 è stata supervisionata interamente dall’UE. I 5stelle dissero poi che non ci sarebbe stata alcuna fatturazione elettronica (prontamente introdotta), così come alcun aumento delle accise sulla benzina (fatto). D’altra parte, assieme alla Lega, strillarono per l’abolizione della Legge Fornero (che è ancora al suo posto), così come per l’abolizione del Reddito d’Inclusione (idem), l’abolizione dei famosi ottanta Euro, nonché l’uscita dal global compact. Neppure la povertà, stranamente, è stata “abolita” … In compenso, chi pronunciò con vigore quella frase, ha certamente abolito la sua dal momento che, da buon antipolitico, conserva per la terza volta di fila un posto nell’esecutivo.
Dal profilo infrastrutturale, i 5stelle hanno sempre mostrato avversione nei confronti del/la TAV. Avrebbero abolito volentieri pure quella. Dissero pure che non avrebbero fatto alcuna “analisi costi benefici” della stessa, cosa che prontamente fecero. Dissero inoltre che non avrebbero fatto alcun condono edilizio (oggi consentiti in maniera maggiore rispetto al passato), così come non avrebbero portato avanti il progetto del Terzo Valico (che procede). D’altra parte, gridarono all’abolizione degli F35 (che non è avvenuta) e ordinavano ai loro parlamentari di recarsi al lavoro in autobus (una pagliacciata che è durata un paio di giorni, visti gli ingorghi del traffico nella Capitale).
Dal profilo sociale, si espressero sempre contro la vaccinazione obbligatoria (hanno cambiato idea con una pandemia che sfiora centomila morti?), idea poi abbandonata assieme alla scellerata politica anti-vaccini (il 9 marzo 2020 Beppe Grillo in persona ha scritto su Twitter: «La sfida attuale è quella di trovare un vaccino per il Coronavirus»). Idea dei 5stelle era anche la cosiddetta chiusura domenicale dei negozi (certo, in un mondo che corre sempre di veloce e si deve attrezzare alle sfide globali, è opportuno lavorare meno, no?): naturalmente, tantissime categorie continuano a lavorare anche di domenica.
Dal profilo della politica estera, tutto quello che fu promesso non è stato realizzato: non c’è stata alcuna uscita dalla NATO o dall’Euro (che non era solo la proposta dell’indossatore di felpe e orecchini assieme ai suoi ciambellani che oggi prontamente negano l’intenzione di uscire dalla moneta unica) e neppure alcun sostegno a Nicolás Maduro (che inizialmente era stato difeso dai 5stelle, forse in ossequio al modello venezuelano di decrescita che il M5S evidentemente invidiava). Forse però il più grave danno di politica estera, e questo si è materializzato eccome, è stato fatto il 23 marzo 2019, quando Governo Conte I firmò il “Memorandum of Understanding” con cui l’Italia entrava nella Belt and Road Initiative. Xi Jinping, detto “Ping” – cit. Di Maio – si sfregava le mani: un nuovo Stato – e che Stato, agli occhi dei cinesi – veniva aggiunto alla sua collezione.
Dal profilo ambientale, lasciando da parte ogni genere di complottismo che il M5S ha alimentato negli anni screditando la scienza, tutte le panzane proposte non hanno trovato realizzazione. L’ambiente è stato uno dei cavalli da battaglia dei 5stelle: lo strumento per sentirsi “alternativi”, appealing. Non c’è stata l’abolizione delle trivellazioni sull’Adriatico, l’abolizione del TAP, l’abolizione dei voli di Stato per non inquinare e fare spendere di meno “la gente”, la trasformazione dell’ILVA in una zona verde (un parco giochi?), l’abolizione degli idrocarburi in agricoltura e degli inceneritori.
In compenso i 5stelle – complici gli statalisti di destra prima e quelli di sinistra dopo – sono riusciti a incenerire il loro consenso, a gonfiare mostruosamente il debito pubblico, ad allargare il deficit, a umiliare l’Italia rafforzando la sua reputazione di fanalino di coda del mondo occidentale. Posto che non spetta al Belpaese. Grillini – e cicale – sono riusciti a prendere per il naso milioni di persone che sinceramente credevano che dal “vaffanculo”, ancora, potesse nascere una nuova e salubre offerta politica. La protesta ha dei limiti, la rivoluzione permanente che il M5S paventava non può esistere in politica. Le rivoluzioni permanenti sono state dei fallimenti eclatanti nella Storia. Nel suo piccolo, lo è stata anche quella pentastellata. Certo, per i grillini conservano qualche ministero e solidi numeri in Parlamento; la vera sfide saranno le elezioni politiche. La storia del M5S non è nient’altro che una rappresentazione dell’invidia sociale al cubo, durata quasi un decennio. Un decennio di crisi nera: sociale, economica, politica e ora anche sanitaria. Crisi che non si può curare con più Stato, più incompetenza, più tasse, più odio sociale o, verbalmente, con concetti puerili di rivoluzione continua e falsi appelli alla democrazia in Rete.
La “Realpolitik” mette a sedere chiunque: solo così si spiegano le penose retromarce e ipocrisie di 5stelle. Solo la politica può sanare la politica. L’arroganza dei dilettanti, degli scappati di casa, dei cialtroni che confondono il diritto di contare con il dovere contare a tutti i costi ed imporre la propria inettitudine, tracotanza e villania agli altri, non porta a nulla. Diffidare dunque dei venditori di fumo, dei saltimbanchi demagogici e di chi usa belle parole per accaparrarsi il consenso popolare è imperativo se l’Italia intende risollevarsi dopo oltre due decenni di semi-stagnazione. Di quelli che dicono che “uno vale uno”, dei propugnatori dell’eguaglianza assoluta nel gestire – in maniera fallimentare e fraudolenta, per altro – la macchina dello Stato non c’è alcun bisogno. Se lo ricordino i cittadini, non i sudditi di una srl, alle prossime consultazioni elettorali. Altrimenti, con rassegnazione, bisognerà applicare la cinica e utopica massima di Bertolt Brecht: «Se siete delusi dai risultati elettorali, vi suggerisco di sciogliere il popolo ed eleggerne un altro.»