Egregio Ministro Bonafede,
Mi permetto di scriverLe in merito alla situazione dell’esame di abilitazione per l’esercizio della professione forense svoltosi lo scorso dicembre e al quale ho partecipato come candidato.
Mi rendo conto come il periodo che state vivendo Lei, il Dicastero e il Governo di cui è membro non sia dei più sereni, ma mi preme, ciononostante, portare alla Sua attenzione quanto segue.
Insieme ai colleghi e agli amici di studi, ho appreso che in virtù del c.d. “D.L. Rilancio” (segnatamente, art. 254), le correzioni delle prove scritte riprenderanno «con modalità di collegamento a distanza» [sic!] per concludersi, in linea teorica perlomeno, entro la data del 30 settembre p.v.
«Con collegamento a distanza»: deus ex machina!
Fa sorridere, con un qualche accenno di amarezza, che per capire che fosse necessario riprendere le correzioni avvalendosi di strumenti che consentissero ai membri della Commissione di lavorare a distanza senza scambi di fluidi (va di moda: droplet) fosse necessario cogitare e sospendere i lavori da febbraio a maggio.
Vero è pure che il “ceto dei giuristi” sconta qualche forma di conservatorismo intrinseco, immanente, che talvolta (e nemmeno troppo poco spesso) sfocia in vere e proprie forme di insano luddismo (vedi la ritrosia alla piena realizzazione di un processo civile telematico, e la passione – al contrario – spiccatamente italica di tagliare alberi per riempire di inutili fogli i già problematicamente pieni locali dei tribunali nostrani).
E, tuttavia, non Le pare che le misure del c.d. rilancio siano sostanzialmente tardive, se non addirittura prive di effetti pratici?
Cerco di spiegarmi.
Sa meglio di me che, anche se le prove scritte saranno corrette perfettamente nei tempi (30 settembre 2020), gli orali non potrebbero iniziare meno di un mese dopo quella data (30 ottobre 2020; facciamo 2 novembre va, che è un lunedì).
Inizierebbero con il “Giorno dei Morti”: chi ben comincia…
Superstizioni a parte, lo scivolare in avanti costringerebbe sostanzialmente il 90% dei candidati ammessi a sostenere l’orale ad iscriversi in via cautelativa – e a partecipare – alle prove scritte dell’Esame del 2020.
A cascata, ciò finirebbe con il ricreare enormi afflussi nelle sedi concorsuali: sa molto meglio di me che assembramenti come questi sarebbero inaccettabili in tempi come questi.
Tempi che – a meno di non voler ingannar sé stessi – sappiamo tutti che si protrarranno per almeno altri 12/18 mesi (ad essere ottimisti, e con buona pace di focolai di ritorno).
Cui prodest?
Signor Ministro, Lei che “ci è già passato” (essendo Avvocato, oltre che DJ), sa molto meglio del sottoscritto che la strada per ottenere l’abilitazione forense in Italia sembra un rito Masai: è una piccola, ma significativa a mio modo di vedere, rappresentazione di come il nostro spirito di popolo riesca a frustrare con angosce e lasciando permeare la bruttezza anche negli inizi delle vite professionali di ragazze e ragazzi, i quali avrebbero bisogno – non dico tanto, ma quanto meno – di una leggera brezza a loro favore che possa accompagnare gli slanci e gli entusiasmi della gioventù.
Ed invece no: il freddo delle fiere in cui si svolgono le prove; la polizia penitenziaria (perlomeno a Roma) in assetto da sommossa; la fatica; i tempi morti; i ritardi nel correggere; le lungaggini; i malumori; ed anche un profondo senso di generalizzata inutilità ad un certo punto.
Anche uno sciocco esame di abilitazione per una professione (liberalizzata, non dimentichiamocelo mai) finisce con il tradursi in un tortuoso percorso ad ostacoli e volto a una non meglio precisata forma di redenzione (manco l’avessimo ucciso solo noi Gesù Cristo Nostro Signore!).
Che fare, dunque?
Ogni crisi porta con sé delle opportunità (pur non dovendoci dimenticare, certamente, quanto tragiche siano le vicende che tali opportunità hanno generato): che sia forse la volta buona per rivedere le regole di un anacronistico meccanismo di selezione degli avvocati modellato su di un’epoca che non esiste più?
La soluzione più ragionevole sarebbe quella di eliminare l’esame orale, valorizzando esclusivamente la prova scritta già svolta.
Una tale soluzione produrrebbe effetti benefici sotto almeno due punti di vista: le Commissioni avrebbero il tempo di correggere, senza affanni eccessivi, le prove scritte; si eviterebbero assembramenti inutili in sede di prove scritte durante le sessioni di esame di dicembre 2020.
E poi chissà che magari non ci si prenda gusto, e si inizi financo a prevedere due sessioni all’anno in cui potersi abilitare: non tutti i mali vengono per nuocere!
Mi consta, peraltro, che a tale soluzione siano pure giunte numerose associazioni di vario tipo e che – a vario titolo e con modalità differenti – stiano facendo pervenire le loro posizioni al Dicastero che Le fa capo, e alle sedi che ritengono più opportune.
D’altronde guardi che cos’è accaduto ai miei coetanei aspiranti medici: abilitati per decreto.
È davvero convinto che i medici siano tanto diversi dai giuristi, sub specie avvocati?
«Tanto noi [giuristi, n.d.a.] quanto loro [medici, n.d.a.] operiamo sull’uomo; varia il punto di vista ché essi lo considerano in sé, come individuo e perciò come tutto, e noi in relazione con gli altri uomini, come cittadino e così come parte; ma la materia è sempre una: la divina umanità. Il giurista pratico, che ha almeno tre incarnazioni: legislatore, giurista e avvocato, taglia, come il medico, sulla carne viva; così anche quando, anziché di me o di te si tratta del mio o del tuo, poiché, a questo mondo, non v’è un coltello per separare l’essere dall’avere», scriveva Carnelutti qualche tempo fa (F. Carnelutti, “Clinica del Diritto”, in Rivista di Diritto Processuale, 1935, I, p. 169 ss., spec. p. 169 s.).
E se lo sosteneva il Carnelutti…
1 comment
come disse William Shakespeare… ;)