Già me li immagino i funzionari di stato turchi, magari riuniti intorno ad uno di quei tavoloni da consiglio d’amministrazione, intenti a spiegare ad Erdogan che non si può proprio oscurare l’impossibile.
D’altronde l’avevano abituato bene: già dal 2007 il Presidente della Repubblica, allora primo ministro, si divertiva a bloccare e chiudere l’accesso a portali come Youtube con la stessa semplicità con la quale si spegne l’interruttore della luce del bagno.
Su e giù a suo piacimento, perché qualcosa non gli andava a genio. Allora, ad esempio, si era accorto di video offensivi nei confronti di Ataturk, padre fondatore del suo paese, e dopo il fallimento di una trattativa sulla rimozione aveva deciso di oscurare l’intero sito. Stop. Basta. Fine dei giochi. Katy Perry ve l’ascoltate sull’Ipod.
Era riuscito a ripetersi nel marzo del 2014, perché proprio non sopportava i pettegolezzi di Twitter sullo scandalo corruzione riguardante il suo governo. Che diamine, «un po’ di privacy», dichiarò.
Non fu risparmiato neppure il “piccolo” SoundCloud, chiuso un paio di mesi prima per gli stessi motivi. Niente Lady Gaga, niente David Guetta. «Complotto anti-governativo», diceva, prima di cambiare dieci ministri in pochi giorni.
Quindi, neanche una settimana dopo, rieccolo a giocare a freccette col logo di Youtube appeso alla porta: altra chiusura, altro scandalo. Quella volta era stata pubblicata una registrazione che dimostrava come il suo ministro degli esteri, il capo dei servizi segreti e un generale dell’esercito cercassero pretesti plausibili per poter attaccare la Siria, come se stessero giocando a Risiko. «Salvaguardia della sicurezza nazionale!», sbraitò in seguito.
Non più di venti giorni fa l’ennesimo epilogo: il giudice Mehmet Selim Kiraz, ostaggio di due “brigatisti” del gruppo di estrema sinistra Dhkp-C, viene fotografato con una pistola puntata alla tempia e condiviso dai social di tutto il mondo. Troppo per il governo turco, che in poche ore decide di oscurare Facebook, Twitter, Youtube e, udite udite, di minacciare anche Google.
L’enfasi da blocco facile deve quindi aver colto il presidente Erdogan anche in seguito alle affermazioni di Papa Francesco che, come l’Unione Europea, gli Usa e un’altra carrellata di nazioni nel mondo aveva parlato del genocidio armeno come del primo massacro di massa del Novecento.
Il Presidente cerca un “blocca”, un “segnala”, un “chiudi”, ma l’unica azione possibile pare un “commenta sotto lo status”, argomentato senza neanche un filo di rancore: «In Turchia lavorano 100 mila armeni. Potremmo espellerli, ma non lo facciamo». Che è un po’ come se un killer, accusato di femminicidio, rispondesse: «Ho conosciuto tante donne, ma mica le ammazzo tutte. Anche se potrei».
Eppure tutti i libri di storia parlano di due spezzoni alquanto oscuri del passato turco, o per meglio dire ottomano: nel 1894, il Re Abdul-Hamid II, chiamato “il Rosso” perché leggermente incline alla violenza, si era messo in testa di voler rafforzare il carattere islamico del suo regno, sopprimendo la minoranza armena di fede cristiana e reprimendone la conseguente rivolta. 250 mila persone furono uccise, 645 chiese andarono distrutte e chi voleva aver salva la vita doveva obbligatoriamente convertirsi all’Islam.
Molti studiosi, a onor del vero, faticano a giudicare tale punizione un genocidio, in quanto considerata non sistematica, ma soprattutto ancora arcaica nei mezzi e nei modi.
In ogni caso, il peggio doveva ancora arrivare.
Nel 1915 presero le redini del comando i Giovani Turchi, capitanati dai Tre Pascià: Ismail Enver, Ahmed Gemal e Mehmet Tal’at, soprannominato successivamente “l’Hitler turco”. Carattere mite, penserete.
Lo sbarco dei nemici inglesi nella penisola di Gallipoli e la pressione sovietica da est preoccupavano non poco gli ottomani, intenti ad appoggiare gli Imperi Centrali e a difendersi da ambo le parti. L’avvenuta indipendenza dei loro ex-territori cristiani europei (Serbia, Romania e Bulgaria) rischiava di dare maggior coraggio all’Armenia, aiutata dai russi e tentata dalle stesse suggestioni.
Fu allora che “l’Hitler turco” e i suoi compari anticiparono, per modalità e sistematicità, la tragica follia nazista protagonista della Shoah.
Il governo decise di deportare gli armeni in Mesopotamia, costringendoli a lunghi e massacranti viaggi contornati da sevizie, torture, brutali uccisioni e abusi di ogni genere.
I pochi che arrivarono vivi nei campi di concentramento furono prima lasciati morire di fame e poi sistematicamente eliminati. Stime ufficiali parlano di 1,2 milioni di persone barbaricamente cancellate dal mondo.
Si, Presidente Erdogan, cancellate. Come gli ebrei durante il nazismo, i Kulaki e gli ucraini in Unione Sovietica, i Tutsi in Ruanda e i cambogiani sotto Pol Pot.
Lo so io, lo sa lei, è scritto nella storia. Che non si può oscurare, chiudere o bloccare.