La scorsa Domenica 23 luglio si sono tenute le elezioni nazionali in Spagna, convocate circa due mesi fa dal premier uscente Pedro Sánchez dopo la batosta delle amministrative. Mai prima d’ora si era votato in piena estate, con picchi di 40 e più gradi nei collegi elettorali, così come mai prima d’ora c’erano stati così tanti voti postali (2,4 milioni).
Cosa dicevano i sondaggi
La quasi totalità dei sondaggi prevedeva una larga vittoria del Partido Popular (PP) e del suo candidato Feijóo, ex presidente della regione autonoma della Galizia per ben 3 legislature consecutive, e la nascita di un governo di coalizione con il partito di estrema destra Vox, guidato da Santiago Abascal. Al contrario, si prevedeva una netta sconfitta del Partito Socialista Obrero Español (PSOE) e del suo socio di coalizione Sumar, guidato dalla ministra del Lavoro Yolanda Díaz.
Durante la campagna elettorale ci sono stati 3 dibattiti televisivi: uno che ha visto duellare Feijóo e Sánchez, uno i portavoce dei principali partiti che si presentavano alle elezioni, ed un ultimo con ancora Sánchez, Abascal e Diaz, al quale non ha preso parte, per scelta, Feijóo. I toni della campagna sono stati abbastanza duri, con la sinistra che ha sempre attaccato il PP per i suoi patti regionali con Vox, mentre la destra ha attaccato la sinistra per, a sua volta, i patti con i partiti indipendentisti ed una gestione economica del paese, a suo dire, non eccellente.
Le accuse incrociate
Se effettivamente la gestione economica da parte del governo uscente non sia stata impeccabile (Sánchez poche settimane fa si lasciò andare alla frase “España va como una moto“), con dati sull’impiego gonfiati ed esagerazioni sul rimbalzo economico post pandemia dovuto più che altro ad una precedente caduta fragorosa, è vero che tutto sommato si sono viste situazioni peggiori. Sia il deficit di bilancio che l’inflazione sono stati tenuti sotto controllo grazie alla gestione della capace ministra dell’economia Nadia Calviño.
Sui patti con gli indipendentisti c’è poco da dire. Fu concesso l’indulto ai leader catalani, in prigione per l’organizzazione del referendum illegale del 2017, la conseguente malversazione di fondi pubblici ed il reato di sedizione. Sánchez aveva detto nel 2019 che mai e poi mai avrebbe concesso l’indulto ai leader nazionalisti, salvo poi fare il contrario 2 anni dopo.
Dall’altra parte, il PP aveva detto che avrebbe governato in solitario laddove avrebbe potuto fare a meno di Vox, cosa poi non avveratasi in Cantabria ed in Extremadura, dove pure il PSOE aveva offerto l’astensione. Oltre a ciò, si è sempre agitato lo spauracchio del partito di estrema destra accusandolo, a ragione, di essere contro la legge sul femminicidio ed alle leggi di protezione dell’ambiente.
I risultati delle elezioni
Non appena cominciato lo spoglio, domenica sera alle 21, si capiva già che la destra non aveva sfondato e la sinistra avrebbe retto. Il PP ha ottenuto 136 deputati, risultando la lista più votata nella stragrande maggioranza delle provincie. Il PSOE ha ottenuto invece 122 deputati, Vox si è fermato a 33, Sumar a 31. Il resto dei seggi è da ripartirsi tra partiti regionalisti. Nessuno dei due blocchi ha ottenuto una maggioranza chiara, non arrivando ai 176 deputati della maggioranza assoluta.
Vincitori e Vinti
Como spesso accade, per dichiarare vincitori e vinti non bisogna solo guardare i freddi numeri, ma anche quali erano le aspettative.
Il vincitore della serata è sicuramente stato il PSOE di Pedro Sánchez: non è crollato come si prevedeva, anzi è passato da 120 a 122 deputati e, come spiegherò tra poco, rimane l’unico partito in grado di formare un governo.
Il PP è passato da 89 deputati a 136, difficile definirlo perdente. Di certo non ha ottenuto quanto si aspettava, ma è andato bene anche in regioni per lui molto difficili come la Catalogna, dove è passato da 2 seggi a 6.
Vox è sicuramente il perdente di queste elezioni: si aspettavano di migliorare il risultato del 2019 (52 deputati), aveva addirittura ottenuto l’endorsement della premier italiana Meloni, ma non solo non ha migliorato i risultati, ha addirittura perso 19 deputati. Ed Abascal non ha saputo fare di meglio che incolpare il PP del suo pessimo risultato, risultando totalmente incapace di una benché minima autocritica.
Sumar ha peggiorato leggermente i risultati di Podemos del 2019, ma ha salvato comunque capra e cavoli.
Gli altri perdenti, almeno in termini di voti, sono stati i partiti independentisti catalani, nello specifico ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), passati da 13 a 7 deputati. La Catalogna ha infatti votato in chiave nazionale, dando addirittura 19 seggi al PSOE, suo miglior risultato nella regione dal 2006.
E adesso? I possibili accordi
Come detto in precedenza, il PSOE è, salvo sorprese, l’unico partito in grado di formare un governo: sommando infatti i suoi 122 deputati, i 31 di Sumar, i 7 di ERC, i 6 del partito indipendentista basco di estrema sinistra EH Bildu, i 5 dell’alto partito basco PNV, il voto del partito galiziano BNG, arriverebbe a 172 voti. Se a questi aggiungiamo i 7 di Junts per Catalunya (il partito di Puidgemont), arriverebbe a 179 voti, sufficienti per governare. Ma proprio quest’ultimo appoggio è in dubbio, sia perché Junts non è un partito di sinistra, anzi è un partito decisamente di destra, sia perché è il più duro tra gli indipendentisti catalani, e per dare l’appoggio a Sánchez potrebbe tornare a chiedere un referendum di indipendenza, cosa che difficilmente il PSOE concederà.
Dall’altra parte le speranze di formare un governo per il PP sono praticamente nulle: difficile se non impossibile far sedere allo stesso tavolo il PNV e Vox. A questi andrebbero poi sommati UPN (partito di centrodestra Navarro) e Coalición Canaria (partito regionale Canario), per un totale di 176 deputati.
La mia personale opinione è che alla fine Sánchez riuscirá a formare governo, magari con l’astensione di Junts. Ma per conoscere la fattibilità dell’operazione bisognerà aspettare ancora qualche giorno, quando verranno conteggiati i voti provenienti dall’estero. Un’altra possibilità molto quotata è la ripetizione delle elezioni, magari tra novembre e dicembre.
Considerazioni finali
Comunque la si pensi, la Spagna si è confermata essere un paese con un elettorato per lo più moderato ed europeista: all’estremismo di Vox ha preferito la moderazione del PP, un partito di centro-destra come ce ne sono tanti. A sinistra Podemos non esiste più, Sumar è un partito di sinistra come possono essere i Verdi tedeschi, sicuramente più a sinistra del PSOE, ma senza sparate in pieno stile sudamericano. Ora vedremo quale prezzo sarà disposto a pagare il PSOE pur di governare.
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uli1be