Elezioni statunitense 2016. Dopo due mandati ininterrotti di amministrazione democratica sotto la presidenza Obama finalmente giunge il ricambio delle amministrazioni. La nazione (ancora) più potente del mondo (e di conseguenza quella con maggiori responsabilità sull’andamento dei rapporti di forza mondiali) si accinge a presentare i candidati in lizza per entrambi gli schieramenti elettorali.
Deprimente la scelta delle personalità del Partito Democratico statunitense (non senza una mia personale e maligna soddisfazione): fra l’eterno riciclaggio di Hillary Clinton, la quale da anni cerca di farsi eleggere con il “fastidio” di larga parte dell’elettorato americano, e gente del calibro di Bernie Sanders (avete presente l’unico dichiarato “socialista” e “pacifista” membro del congresso che ogni volta ha votato a favore dell’aumento della spesa delle forze armate? Ecco lui).
Ancora più deprimente e preoccupante, a mio personale parere, è la lista dei candidati del GRAND OLD PARTY. Da qui si capisce che i repubblicani hanno, secondo un proverbio inglese, un vero e proprio elefante nella stanza, senza che nessuno faccia il minimo cenno di accorgersene. Vogliamo fare una piccola digressione sui nomi?
Primo fra tutti, Donald Trump! Al di là che sia un discreto uomo d’affari, questo uomo (perdonate il paragone, parafrasato dalla pagina umoristica “nonciclopedia”) sta alla politica come Manzoni sta alle patate! volete una trasposizione americana di un Silvio Berlusconi, con tanto d’ignoranza totale in politica estera e arroganza yankee? Eccolo qui! La sua a dir poco favolosa reputazione politica saltella fra una dichiarazione misogina e un “dobbiamo combattere la Cina comunista imponendo forti dazi doganali”. Quale esempio di statista! La cosa più divertente? Uno degli attuali favoriti della leadership repubblicana. No comment.
Secondo classificato (sto andando in ordine discendente): Mike Huckabee. L’America ha fatto 200 e passa anni di progresso? Tranquillo, ci pensa Mike a sistemare tutto! prendete un bigotto, un fondamentalista e un populista e ne viene fuori un cocktail chiamato Huckabee. Vincitore della frase più idiota dell’anno 2010 con “i fondatori di Wikileaks dovrebbero essere condannati a morte” (fonte: the Telegraph).
Come non accorgersi poi del rampollo Jeb Bush. Benché sia tendenzialmente un “moderato”, il poveretto manca di spessore politico. George Bush senior era un politico abbastanza autoritario e non proprio liberale in senso ampio del termine, ma era temprato da anni di esperienza in politica estera e armato di un’intelligenza pragmatica. Il figlio George Bush J. godeva della fama del padre e del forte spirito patriottico che gli valsero due elezioni consecutive. Il piccolo Jed deve fare conti con i grossolani, oltre che molti grossi, errori dei suoi familiari. Cosa lo spinge a farsi del male psicologico?
Altro colosso dell’idiozia made in New Jersey, Chris Christie. Nel 2012, favorito dall’elettorato repubblicano per sfidare l’uscente Obama, sfida che rifiutò per “tempi migliori”. Nel 2014, i “tempi migliori”, fra un’accusa di appropriazione indebita di fondi federali (Sandygate) e l’intasamento del ponte più trafficato degli Stati Uniti, volontario, per fare uno scherzetto ad un sindaco democratico. Uomo d’altri tempi.
Non possono non essere nominate le nuove chicche del partito, Marco Rubio e Ted Cruz. Chi dice che i repubblicani non prendono tra le proprie fila minoranze etniche? eccole davanti a noi! Due esempi lampanti di neoconservatori con la voglia di far menar le mani allo Zio Sam mezzo mondo. Esempio lampante che il razzismo è una costruzione sociale, gli idioti sono di tutti i colori.
E ora passiamo al male minore: Ben Carson e Rand Paul. Il primo, famosissimo medico di colore, rappresenta un vero esempio di moderazione e buon senso. Nato povero, uomo self-made, da sempre invita i giovani americani a costruirsi un futuro con le proprie forze. Sebbene ecceda ogni tanto nelle manifestazioni di fede e non sempre si esprima a favore di molte politiche progressiste (prima fra tutte l’aborto), è un uomo di sani principi con tendenze liberiste e liberali. Il problema? il più grande nella società di comunicazione di massa, cioè la mancanza di personalità comunicativa (cosa di cui invece Donald Trump eccede a dismisura): un problema che lo ha condotto in fondo alla classifica delle preferenze.
Il secondo era il mio favorito. Chi fra di noi non conosce Rand Paul, il figlio del leggendario Ron Paul. Repubblicano con la R maiuscola, Rand rappresentava la speranza di un astro nascente libertario che scacciasse una volta per tutte i neocons dalla leadership repubblicana, dopo tutti i tentativi del padre. Diverse delusioni mi si prospettavano: non solo nell’arco della sua carriera politica ha rinnegato molte delle posizioni del padre, ma informandosi bene si scoprirà che Rand Paul è leggermente più bellicoso di quanto si pensi, visto l’abbondanza di voti a favore per l’aumento del budget militare e dichiarazioni molto stile “esportatore di democrazia”. Per il resto tanto di cappello: un piano di ristrutturazione della spesa pubblica lineare e potenzialmente efficiente e una visione tendenzialmente più progressista dei suoi concorrenti. Se non fosse che si faccia mettere in ridicolo da quel “simpatico omone” di Trump.
Eccoci dunque alla conclusione. Non mi sembra di essere esagerato quindi quando dico di essere un poco disilluso. Chi non lo sarebbe? Ron Paul, quel povero cristo di un combattente, dopo 30 anni di politica integerrima, liberale e coerente giunge alla conclusione della sua vita pubblica (mi permetto di fargli anche gli auguri visto che alcuni giorni fa ha compiuto gli anni). L’altro campione di razionalità, Gary Johnson, dal 2011 ha lasciato questa lacera catapecchia di neocons e teologi per abbracciare la bandiera del Libertarian Party. Un vuoto di personalità di spicco si prospetta all’orizzonte del vecchio Elefante. Chissà se il piccolo LP riuscirà a conquistare quello spazio che per anni è appartenuto al mastodontico animale.