Serse Cosmi, allenatore del Crotone, è stato squalificato dal giudice sportivo per aver bestemmiato all’ingresso degli spogliatoi durante l’intervallo di Crotone-Torino. Costretto dunque a seguire la successiva partita Lazio-Crotone dalla tribuna, Mister Cosmi si presenta alla consueta conferenza stampa post-partita difendendo il diritto alla blasfemia.
“Fino a prova contraria penso di vivere in un Paese laico. Ci sarebbe da disquisire anche sul contenuto della norma stessa, ma non lo voglio fare perché se no entrano in mezzo tutte le associazioni clericali possibili dell’universo. O modificano le norme o le persone che stanno vicino, dentro gli spogliatoi“
Caro Serse come Immoderati non possiamo che accogliere e condividere il tuo appello. Vanno modificate queste norme tanto ipocrite quanto obsolete e non certo le persone che vivono gli spogliatoi. Ma vediamo più nel dettaglio il perché di questa squalifica e l’inquadramento della blasfemia nell’ordinamento italiano e non solo.
Il mancato diritto alla blasfemia in Italia
Secondo il comunicato del Giudice sportivo, l’allenatore è stato squalificato “per avere, durante l’intervallo, proferito un’espressione blasfema“. In tal senso, l’Art. 37 del Codice di Giustizia sportiva Figc prevede la squalifica di almeno una giornata per calciatori e allenatori che proferiscono “un’espressione blasfema in occasione o durante una gara“.
Se Cosmi si riferisce, giustamente per quello che è il suo ambito di competenza, alla modifica della suddetta norma, noi invece vogliamo andare oltre e discutere dell’Art. 724 del Codice penale rubricato “Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti” in virtù del quale:
“Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309. La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi manifestazione oltraggiosa verso i defunti“.
La depenalizzazione è avvenuta solo nel 1999. Inoltre fino ad una pronuncia della Corte costituzionale del 1995, il testo prevedeva addirittura dopo Divinità l’espressione “o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato“.
Eppure, basterebbe percorrere lo stivale da Sud a Nord e viceversa per capire quanto questa norma sia del tutto lontana dall’esprimersi comune. Pensate a quante sanzioni se passassimo una giornata in Campania o nel Lazio a caccia di “manifestazioni oltraggiose verso i defunti” così come in Toscana, Umbria, Veneto e Lombardia a caccia di bestemmie.
Giusto per divertirici proviamo a fare due conti. Immaginiamo una sanzione media di 180 euro e che questa venga irrogata dieci volte all’anno – per essere molto ottimisiti – al 50% degli abitanti delle sole regioni sopracitate per una popolazione di circa 15 milioni. Risulterebbe un ricavo di 27 miliardi di euro all’anno!
Una norma del tutto disattesa che non trova ragione di esistere ancora nel nostro ordinamento e che invece però resiste a tutela del cosidetto buon costume.
Ora, di fronte a questa ipocrisia normativa noi non vogliamo rispondere tanto per garantirci un diritto universale di bestemmiare quanto per difendere il diritto alla blasfemia quale corollario della libertà di espressione e del principio di laicità.
La blasfemia in Francia
Quanto al principio di laicità francese, ne avevamo già parlato qui. Mentre la Francia è caratterizzata da una concezione severissima del concetto di laicità, in Italia, invece, la laicità dello Stato sembra quasi solo una “formalità” costituzionale poi disattesa nella pratica.
Il sistema giuridico francese è caratterizzato dalla totale seperazione tra chiese e Stato e questo si traduce in un concetto di laicità che non rende necessario rivendicare il diritto alla blasfemia in quanto tale. Tuttavia, si ha comunque una tutela indiretta dello stesso con la libertà di espressione di cui all’Art. 11 della Dichirazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e alla legge sulla libertà di stampa.
In quest’ottica è curioso sottolineare come, secondo Liberté, Libertés, chéries, il Presidente francese Macron avesse commesso quasi un “controsenso giuridico” affermando che “La legge è chiara, abbiamo diritto al blasfemo, a criticare, a caricaturare le religioni“.
In realtà a noi sembra che volesse intedere appunto non un diritto al blasfemo in quanto tale ma la sua declinazione all’interno della più ampia libertà d’espressione.
Permettetemi di rubarvi qualche rigo per segnalare come in questo pezzo, che fa una panoramica della blasfemia in Europa, Le Monde abbia erroneamente citato l’Art 724 del Codice penale italiano. Infatti, viene riportata la versione che non è più in vigore dal 1995 quando non era ancora stata abrogata la frase “o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato“. Davvero chapeau a Le Monde per un errore che un giornale così serio non davrebbe fare. Scriveremo per chiedere una rettifica.
Ciò detto il problema di fondo rimane a casa nostra dove ad oggi nel 2021 la blasfemia è ancora punita, in Francia una legge analoga al nostro articolo 724 c.p. era stata adottata nel 1827 e abbandonata con la rivoluzione del 1830. Insomma da questo punto di vista siamo indietro di quasi 200 anni!
In conclusione, non possiamo che reiterare la necessità di un superamento della normativa italiana in vigore così da liberare il diritto alla blasfemia.