Speaker's Corner

Come il sovranismo di Giordano (non) ha distrutto Halloween

Sintonizzarsi col palinsesto serale di Rete 4 suscita sempre una sorta di timore reverenziale. Non tanto per la presenza asfissiante delle solite maschere folkloristiche alla Sgarbi, invitato col solo scopo di inscenare una finta bagarre; né per il portato intellettuale di un dibattito tra l’illustre Bello Figo e la sempreverde Alessandra Mussolini. Nulla di tutto ciò.

Quelli appena menzionati sono solo tragici esempi, sporadiche manifestazioni di una più vasta operazione di imbarbarimento che porta il marchio berlusconiano. Rete 4 si candida, senza ombra di dubbio, al ruolo di apoteosi del trash politico italiano. E il trash è una categoria dalla natura mutevole, eternamente cangiante, sempre in tensione per superare sé stessa. Perciò è facile che in quel calderone ribollente prendano vita forme inedite di trivialità, talvolta anche di discreto successo: è il caso di Mario Giordano e il suo studio di Fuori dal Coro. Dopo gli innegabili risultati di share (7.2% al debutto di settembre, 5.6% di media successiva) il direttore di Rete 4, Sebastiano Lombardi, ha deciso di aggiungere, nostro malgrado, altri 4 appuntamenti al format del giornalista piemontese.

Quest’ultimo, assestatosi da tempo su posizioni salviniane, ha eretto una vera e propria eco-chamber di matrice populista, della quale esibisce tutto l’armamentario retorico, come l’amplificazione delle news sulla criminalità straniera o il rilancio degli slogan sui ‘porti chiusi’, i quali, vorremmo sommessamente rivelare ai più disattenti, “chiusi” non lo sono mai stati. Non avremmo il tempo, e forse nemmeno la voglia, di domandarci perché una trasmissione che ha come target la fetta maggioritaria dell’elettorato decida di chiamarsi “Fuori dal Coro”. Misteri insondabili.

Ciò che è concesso chiedersi è cosa costringa Giordano a umiliare pubblicamente la sua professionalità, per quale astruso motivo decida di lasciarsi andare a teatrini dozzinali che offendono la sua intelligenza; non ultimo quello relativo ad Halloween.

In Italia Halloween assume sempre un tratto antropologico affascinante: è l’unica festività in cui a fare più baccano è chi non la festeggia. Mai però ci saremmo immaginati una sceneggiata imbarazzante di tale livello davanti alle telecamere: l’esile Mario, visibilmente in difficoltà, comincia a colpire goffamente una pila di zucche finte con una mazza tricolore (sovranismo del disagio?), al grido di «non lo voglio festeggiare!». Il punto vero non è discettare sulla legittimità di Halloween: ognuno ha buone ragioni per festeggiare o per non farlo, a prescindere dal fatto che sia una festa pagana importata o che contribuisca a desertificare le nostre radici culturali (il che è tutto da dimostrare).

Ciò che colpisce è la dimensione teatrale, quasi rituale, che investe l’intera scena; paradossalmente è proprio la pantomima di Giordano ad assumere dei tratti pagani: il discorso solenne di apertura, il mobiletto a mo’ di altare al centro, l’efficace quanto sciocca simbologia del tricolore, il pubblico osannante che pendeva dalle sue labbra… tutta l’atmosfera era calibrata per quel momento di parossismo estremo, per quel tripudio di gesti caricaturali, affrettati, quasi al limite della messinscena; una messinscena che, dopo la mattanza, non poteva certo farsi mancare la ramanzina paternalistica di coda: «erano zucche finte, perché il cibo non si spreca» – ha sentenziato Giordano un po’ trafelato.

Come se fosse quella la pietra dello scandalo e non, banalmente, tutti i vaneggiamenti chiassosi di qualche secondo prima. Come se il vero dramma non fosse quel processo lento e inesorabile che ha trasformato molti giornalisti in intrattenitori, piuttosto che in informatori. Già negli anni 80’ Neil Postman ci metteva in guardia dal potere trasfigurativo della televisione; un potere che non la rende in alcun modo neutrale, giacché tende a plasmare i comportamenti e le credenze dello spettatore in virtù della sua stessa struttura comunicativa: «il medium è il messaggio», anzi è vera e propria metafora. La televisione degli imbonitori alla Giordano ci rassicura e ci acquieta, perché sposta nell’orizzonte del trash una dimensione seria e problematica come quella politica.

Attenzione: il problema non è il trash in sé, il problema è quando esso fuoriesce dal suo steccato, quando s’impadronisce di spazi che non gli competono e da cui dovrebbe stare alla larga. Aprire il vaso di Pandora del trash comporta i suoi rischi, e la speranza non è sempre disposta ad attenderci oltre il varco dei nostri errori. In cambio di risate sguaiate sui social, siamo molto soddisfatti nel sostituire la cura delle informazioni delicate con la spettacolarizzazione farsesca. Siamo molto entusiasti di produrre vagonate di memes, piuttosto che ‘censurare’ una spiacevole pagina di giornalismo italiano. Ma soprattutto siamo molto orgogliosi di dire che quel mondo da cui siamo stati inevitabilmente attratti, quella scenetta che ci ha strappato un like o una condivisione, non è in fondo il nostro. Il sistema mediatico italiano può tranquillamente continuare nella sua escalation perversa, saranno altri ad assumersi le colpe, non certo noi che diamo ‘solo’ visibilità indiretta sui social.

Che colpa ne ho se un Giordano qualsiasi decide di sacrificare la sua dignità professionale sull’altare della commedia? Sarà lui a farne le spese, le mie priorità sono altre. D’altronde si sa: fiat iustitia et pereat mundus.

L’importante è che il cibo non si sprechi, il resto può aspettare.  

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