Asia e Africa sono due continenti che rischiano di incorrere in epocali cambiamenti, qualora non fosse possibile contenere l’innalzamento delle temperature. I problemi riguardanti l’uso del suolo, le emissioni elevate di CO2, abbinati a politiche poco lungimiranti dal punto di vista ecologico, stanno mettendo a rischio la vita degli abitanti del nostro pianeta, specialmente in specifiche aree geografiche.
Il tempo stringe. A rischio è il nostro pianeta e con esso le vite di milioni di persone. Perché, sì, l’innalzamento medio delle temperature stagionali lo stiamo percependo tutti, anche nei nostri territori. Basti pensare al maestoso fiume Po, il più lungo d’Italia, che ormai in alcuni tratti è formato da grandi distese di sabbia. Di conseguenza, l’agricoltura rischia grosse ripercussioni, il turismo stagionale anche.
Ma quali sono invece gli effetti che stiamo vedendo nel resto del mondo? Quali risposte, ove si è in grado di proporle, sono state sviluppate dalle nazioni più a rischio dagli effetti del cambiamento climatico? In questo breve articolo provo a offrirvi una panoramica su cosa sta accadendo in alcune zone specifiche. Queste, colpite per prime, potrebbero interessare direttamente o indirettamente negli anni futuri il continente europeo, tra immigrazione e calamità naturali.
Dunque è necessario conoscere cosa sta accadendo lontano dai nostri occhi, sia perché ne va della vita di parte della popolazione mondiale, sia per capire come affrontare questo tipo di situazioni.
Africa il deserto avanza.
Iniziamo il viaggio dal continente che ha dato i natali all’essere umano, l’Africa. Un continente già di per sé caldo, dove l’aumento delle temperature in questi ultimi 20 anni è stato poco inferiore ai 2°C. Questo continente è già caratterizzato da problemi endemici, specialmente nella regione del Sahel, che include, nell’ordine, i seguenti paesi: Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Chad, Sudan, Eritrea.
Cosa succede in queste terre lontane? Con l’aumento delle temperature e l’alterarsi della stagione delle piogge (il tutto accompagnato da deforestazione), si sta verificando in questi luoghi un intenso fenomeno di desertificazione, oltre a una crescente perdita di biodiversità (con 2°C di aumento delle temperature, sarà a rischio di estinzione il 90% delle barriere coralline in Africa).
Desertificazione vuol dire anche carestie, che è una delle cause per le quali arrivano in Europa, dopo un viaggio ai limiti della sopportazione umana, persone provenienti da queste zone, sempre meno adatte alla vita (7 su 10 immigrati in Europa vengono dalle zone del Sahel). Infatti, temperature più alte ridurranno sia la possibilità di coltivazione di alimenti di base, sia la pesca d’allevamento.
Ad aggiungersi all’emergenza dei cambiamenti climatici, è l’instabilità politica. I vari paesi africani, si trovano ad affrontare questioni come guerre civili, o a dover sopportare regimi dittatoriali. Il continente africano è dunque in uno stato agonizzante. Data la difficoltà di adattarsi a causa di problemi politici, la alternative rimangono poche. Infatti, come accennato sopra, una buona parte della popolazione non vede alternative al migrare.
Un chiaro esempio di quanto scritto è la Somalia, paese che secondo la FAO già ora non riesce a sfamare adeguatamente 7 milioni di persone, quasi la metà dei suoi 15 milioni di abitanti. L’aumento delle temperature renderebbe ancora più grave una situazione già emergenziale.
Un altro paese particolarmente esposto agli effetti dei cambiamenti climatici è l’isola di Madagascar, favoloso contenitore di ecosistemi rarissimi. Nei distretti meridionali dell’isola, l’accesso all’acqua potabile si fa sempre più difficile, a causa di periodi di siccità sempre più lunghi e frequenti. Si stima che nei prossimi anni il numero di persone che soffrirà di una grave crisi alimentare sarà di 1,3 milioni, di questi 28.000 dovranno convivere con la carestia.
Asia, dove l’oceano nasconde mille insidie.
Nel continente dell’induismo e dell’Islam la situazione non è certo migliore in termini di danni dal cambiamento climatico. Però, la risposta all’aumento delle temperature propone modelli utili da cui trarre spunto.
In Asia si trova la nazione più a rischio per quanto riguarda i cambiamenti climatici: il Bangladesh. La nazione è attraversata da un’enorme mole d’acqua (500 fiumi) che allaga periodicamente fino a 2/3 del territorio ogni 5 anni. Ne consegue che la costa sud, di 750 km, nella zona più rurale del Paese, è ormai vittima incolpevole del riscaldamento globale.
Questo paese con una idrografia così complessa ha affrontato il problema allargando gli argini dei fiumi di tutto il sud del Paese, una campagna che è costata al governo 10 miliardi di dollari. Ma le iniziative non si sono fermate qui.
Una iniziativa in parte privata in parte pubblica ha inaugurato il Gobeshona, un sistema di tracciamento e previsione di variabili climatologiche. Vari esperti da tutto il mondo, offrono consulenza al governo affinché questo si faccia trovare preparato di fronte al manifestarsi di eventi metereologici avversi.
In più, varie ONG (ALOE MISSION, APG23) hanno organizzato operazioni locali mirate a favorire l’adozione di coltivazioni che possano resistere meglio a condizioni climatiche estreme. Si vuole insegnare ai locali a diversificare le colture a seconda del clima e del tipo di terre. Interessante è la strategia di prediligere le coltivazioni di riso e legumi, che possono resistere a eventuali allagamenti (causati da monsoni, straripamenti dei fiumi, eccetera). In questo modo, le coltivazioni non andrebbero del tutto perdute anche in caso di eventi climatici avversi.
Esperimenti urbani come la città costiera di Mongla hanno dato ottimi risultati per quello che concerne l’attenuarsi del fenomeno migratorio verso il nord del Paese. In questa città portuale con vista sull’Oceano Indiano, sono confluiti 70 mila migranti climatici dalle zone più pericolose del sud del Bangladesh. La sua posizione geografica e la sua economia, basata fortemente sul commercio di iuta, tabacco e surgelati, ha potuto offrire un ambiente favorevole alla prosperità umana. Il governo bengalese, quindi, pianifica di adottare lo stesso modello per altre 25 città costiere.
Infine, anche la Banca mondiale ha investito nella riforestazione di mangrovie come argine naturale, dando ottimi risultati.
Il Bangladesh sembra essere un paese con la giusta mentalità per affrontare i cambiamenti climatici, ergendosi a esempio di come sia possibile mitigarne gli effetti, seppur in maniera economicamente e socialmente costosa. Vi è infatti il problema dell’abbandono scolastico, con numeri spaventosi: 3,3 milioni di bambini, durante il percorso migratorio, perdono l’opportunità di studiare (dati UNICEF).
Un altro esempio, questa volta nella parte ovest dell’Oceano Pacifico, è quello delle isole Filippine. Questo paese asiatico, è da sempre colpito da eventi climatici problematici e incredibilmente intensi. Ad esempio, il tifone Gobi, ad ottobre 2021, ha costretto 350 mila persone a lasciare le loro case, con effetti avversi su 5 milioni di persone.
A Catanduades, l’isola dove è avvenuto il cataclisma, 90% delle strutture è andato distrutto. Siamo davanti a dei fenomeni naturali estremi, sempre più frequenti, che hanno acquisito maggiore forza e potenza distruttiva.
Forza, intensità e frequenza con cui si forma un ciclone dipendono da due fattori: la differenza di temperatura tra acque profonde e acque superficiali, e la temperatura superficiale dell’oceano prima dell’evento. Questi due fattori sono in costante aumento, specialmente nell’Oceano Pacifico e Indiano. Il Geophysical Fluid Dynamics Laboratory ha prospettato un aumento del 10% di fenomeni atmosferici di livello 4 o 5 (come può essere il super tifone Goni, che ha imperversato nelle Filippine, una categoria di ciclone tropicale che si sviluppa nell’Oceano Pacifico, con venti di almeno 190 km/h) qualora la temperatura dei mari e oceani aumentasse al di sopra dei 2 gradi centigradi.
Il governo filippino ha denunciato l’operato degli stati del primo mondo, accusati di essere i principali responsabili dell’aumento delle temperature, ricevendo come “risarcimento” un prestito di 250 milioni di dollari per affrontare eventi climatici avversi. Questo grande prestito, erogato dalla Banca asiatica di sviluppo (ADB), servirà principalmente allo stato del Pacifico a progredire gli sforzi globali per stabilizzare il clima mondiale nell’ambito dell’Accordo di Parigi, e a intensificare gli sforzi per trasformare i settori vulnerabili in un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima.
Il continente americano, uno sguardo su Haiti.
Nel continente americano, un esempio dei danni del cambiamento climatico è rappresentato dalla piccola Haiti, uno stato insulare nell’Oceano Atlantico. Haiti, riporta un aumento di fenomeni atmosferici simili a quelli descritti sopra nel caso delle Filippine.
A causa della diffusa povertà, del degrado ecologico, della eccessiva deforestazione e della sua posizione geografica, Haiti è altamente suscettibile ai disastri naturali, come l’uragano Matthew del 2017 (80% del raccolto e del bestiame perduti). L’ultimo episodio di devastazione fu la tempesta tropicale Grace. Questa tempesta, aggiungendosi al terremoto di magnitudo 7.2 che aveva colpito l’isola poco prima, ha provocato numerosi danni nella parte meridionale dell’isola nel 2021, coinvolgendo 1,2 milioni di persone. A queste persone, la violenza della natura ha tolto acqua potabile, il bestiame, un raccolto soddisfacente, e in casi più sfortunati addirittura la casa.
Ciclicamente, ogni 2-3 anni, Haiti affronta cicloni, tempeste e depressioni tropicali, che causano a loro volta devastazioni e morti. Questi tre fenomeni sopra elencati sono destinati ad aumentare di frequenza e di intensità, qualora l’innalzamento della temperatura portasse a un Oceano Atlantico ancora più caldo.
Si tratta di una zona geografica particolarmente difficile da aiutare, per le stesse ragioni descritte in precedenza riguardo i paesi africani. Il paese più povero delle Americhe vive da sempre una situazione politica difficile, in particolare dopo la morte del presidente democraticamente eletto nel 2021, Jovenel Moise, assassinato brutalmente. Ora, oltre alla deforestazione e ai danni causati dai cambiamenti climatici, ad Haiti potentati locali e clan si combattono per ottenere le poche briciole che rimangano nelle macerie delle città. Anche qui, l’adattamento al cambiamento climatico è frenato dal contesto politico, con danni più ingenti del necessario per la popolazione locale.
Siamo a conoscenza del pericolo?
Mentre negli altri continenti la situazione si fa sempre più evidente nella sua brutalità, l’Europa vede effetti minori dai cambiamenti climatici. Il rischio è di esacerbare la crisi, poiché la tardiva e incompleta presa di coscienza del fenomeno è causa dello stesso. Bisogna agire su due fronti: primo, limitare l’aumento delle temperature; secondo, adattarsi al cambiamento.
Le azioni per controllare l’aumento medio di temperatura per il 2050 al di sotto di 1,8°C ci sono e sono attuabili, ma vanno fatte eseguire in tutto il globo. La rivoluzione green deve interessare tutto il mondo e deve partire dai governi, con discussioni collaborative e precise, senza dare ascolto ai populisti del “no” ad ogni costo basati su pensieri astratti e privi di basi scientifiche.
Non ultimo, bisogna aiutare attivamente le popolazioni nei vari luoghi del mondo ad adattarsi al cambiamento. Il Bangladesh, per questo, già offre idee pratiche che stanno fruttando. Dalle zone a maggior rischio devono partire campagne di ricerca internazionali, volte a trovare soluzioni che potrebbero servire in futuro non solo a questi paesi, ma anche ad altri che vedranno gli effetti più drammatici solo in futuro. L’Occidente e le altre nazioni ad alto reddito devono farsi trovare pronte. Il mondo civile deve rispondere alla crisi climatica con le sole armi che ci dovranno salvare in futuro da altre calamità: scienza, innovazione e lungimiranza.
I territori a maggior rischio di cambiamenti climatici sono il banco di prova per studiare e trovare delle risposte a un fenomeno che si sta manifestando sempre di più. Occorre prendere coscienza, e tutelare gli interessi di tutti, in ogni angolo nel mondo, nel presente come nel futuro.
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1 comment
Bene bene. temevo che l’africa si salvasse (così dicono i vari “giornalai” di “sinistra”) ma per fortuna non è così.