Immaginate di avere un’idea geniale. Immaginate di spenderci giorni e notti e notti e giorni per delinearla, capirne la fattibilità. Poi immaginate che la vostra auto-infatuazione si spinga a livelli così alti da coinvolgere altre persone, prima amici, parenti, poi conoscenti, meno conoscenti fino ad arrivare a professionisti o esperti del settore, e immaginate che questa idea piaccia. Allora vi decidete, fate il grande passo: iniziate a pensare di diventare imprenditori di voi stessi, insomma… in men che non si dica avete fra le mani business plan, budget, diagrammi di Gantt e una start up. Immaginate che il vostro sogno sia lì lì per decollare, con tanti problemi pratici ma tutte le carte in regola per tentare, per provarci, per abbracciare questa nuova avventura.
Ecco.
Immaginate.
Perché se vivete in Italia, dati alla mano dell’ANSA di novembre 2014, vivete nel paese europeo con meno disponibilità dei prestiti avanti solo a Austria, Grecia, Cipro e Slovenia.
Inutile dunque che solo qualche giorno fa, al Convegno organizzato da Confidustria e la Cassa Depositi e Prestiti “Finanza per la crescita”, il presidente di Unindustria Maurizio Stirpe dica che bisogna migliorare l’accesso al credito da parte delle PMI e che “Grazie alla presenza delle principali banche italiane all’interno di Unindustria abbiamo potuto agevolare fortemente la capacità di dialogo e di confronto con le imprese.”
Parole che lasciano il tempo che trovano e che non valgono niente se confrontate con la gravità dei numeri che, invece, parlano chiaro: la volontà delle banche di concedere prestiti posiziona l’Italia quart’ultima in Europa, con un tasso di rifiuto dei prestiti al 19%. Tuttavia in qualcosa siamo i primi classificati: l’aumento dei tassi di interesse per le PMI e, inoltre, il divario con i secondi classificati risulta anche essere ampio.
Se aggiungiamo a questa pessima cornice i costi di produzione e del lavoro che in Italia sono la prima preoccupazione degli imprenditori capiamo quanto sembrino amaramente ironiche anche le parole del Premier Renzi del 10 Gennaio:
“Le banche devono fare credito alle Pmi, devono essere meno attente ai salotti e più attente alle imprese.”
Renzi ha ragione, dovrebbe essere così, ma non lo è.
Mi ha ricordato le parole di pace dette dai papi dall’alto della loro finestra a San Pietro: molto belle, molto buone, ma senza il minimo effetto sulle guerre.
Dunque per tornare alla nostra idea sensazionale e alla nostra voglia di imprenditorialità iniziale, non ci resta che immaginare.
Sbagliato!
Eh sì, c’è infatti una buona notizia, che si sta sempre più materializzando nel contesto italiano e, in barba a coloro che invocano misure pubbliche del sostegno, arriva proprio dal paladino del merito e della responsabilità, il Cavaliere Oscuro denigrato dalla pubblica opinione ma che imperterrito combatte il male: il privato.
Secondo il rapporto della Banca d’Italia “La ricchezza delle famiglie italiane. Anno 2013” la somma delle attività reali e di quelle finanziarie ha raggiunto 8.728 miliardi di Euro.
Parliamo di una cifra che è circa quattro volte il debito pubblico italiano, impiegata per il 60% in immobili e per il restante 40% in risparmio gestito dagli intermediari finanziari.
Qui subentra la potenzialità della figura del business angel.
Il risparmio privato intraprende la strada diretta dell’investimento, senza passare da banche, conoscenze e raccomandazioni.
L’angelo privato, spesso un manager o un professionista del settore, individua situazioni interessanti di imprese avviate o start up che necessitano di credito e spesso si vedono questa strada negata oppure ostacolata pesantemente da sistemi di garanzia che, spaventati dal trauma dei mutui subprime, pensano di combatterla limitando il naturale circolo del surplus nei sistemi economici.
Storicamente la figura del business angel nasce in America, quando nell’800 dei personaggi facoltosi finanziavano gli spettacoli provocanti e avvenieristici della Broadway. Chi lo avrebbe immaginato che quella via di New York solo alcuni anni dopo sarebbe diventata un richiamo mondiale?
Beh… non certo il pubblico.
Il paradosso inoltre è il circolo virtuoso che un angelo è capace di innescare: un sostanzioso investimento privato, di una figura capace professionalmente di dare una valutazione, rappresenta, sebbene non priva di rischi, una forma di garanzia della bontà dell’investimento, che altrimenti non avrebbe spinto la persona a investire i suoi risparmi e che attira nello stesso progetto l’attenzione delle stesse banche che normalmente sarebbero risultate restie.
Insomma, l’attuale sistema creditizio non assolve al proprio dovere e una figura “nuova” si affaccia anche sul mercato italiano. Che abbia i poteri sovrannaturali?
Dubito, oltre quello del buonsenso e delle abilità realmente possedute.
La grande differenza dai metodi classici di investimento è la responsabilità. In quanto il capitale investito è spesso il risparmio di una vita, le competenze offerte all’azienda sono quelle acquisite in prima persona e ogni scelta e decisione porterà precise conseguenze non attribuibili a un “sistema finanziario” ma a un individuo.
La trasparenza è massima, i rischi alti, la sfida è grande.
1 comment
Che volendo c’è anche il lato culturale della cosa, tanto che in alcuni paesi sono riusciti a farci addirittura un reality-show per la tv. Dovrebbe essere Dragons’ Den. Certo ha tutti i limiti dello spettacolo, e magari l’ingenuo finisce per farsi una visione distorta del principio (a vederlo può sembrare più una bisca che una valutazione di business plans). Però almeno indica un diverso approccio culturale, dove in prima serata ogni tanto ti fanno vedere tutta una sfilza di gente che si dà da fare per inventarsi un qualcosa di utile e ingegnoso e tirarci su un business. E soprattutto ti fanno vedere come funziona quel filtro della realtà che è il mercato: se un’idea vale c’è l’investimento, se non vale viene scartata, ipocrisia e finto buonismo sono banditi.