Domenica scorsa un tedesco su cinque ha votato. Tre regioni, con storie politiche molto diverse alle spalle, hanno scelto i loro rappresentanti: per la prima volta in Germania lo status quo è stato messo in discussione. Perché parlo di status quo? Non vi è paese al mondo in cui l’elettore ricerchi così costantemente stabilità e tranquillità politica. Mentre tutta Europa è pervasa da movimenti populisti e nazionalistici (sia a destra che a sinistra), il più grande paese dell’Unione sembrava essere immune a questo morbo che tante difficoltà sta creando ai vari governanti continentali. Immune, fino alla settimana scorsa. È infatti entrato a pieno titolo nel panorama politico tedesco il movimento Alternative für Deutschland. A riguardo, ho letto veramente di tutto sulla stampa italiana… Proviamo a capire per bene di cosa si tratta.
L’AfD nasce nel 2013 per opera di un professore di economia dell’università di Amburgo, Bernd Lucke. Egli è stato per anni un membro attivo dell’Union – i cristianodemocratici della cancelliera, per intenderci – e ha fondato questo movimento euroscettico per contrastare la politica economica del governo, secondo lui troppo socialdemocratica e solidale. Il partito ottiene fin da subito piccoli ma buoni risultati, soprattutto all’est – dove questo scontento nei confronti delle istituzioni è storicamente radicato: viene espresso, di norma, dal voto ai postcomunisti della Linke, i quali, infatti, vedono nell’ultimo periodo una live ma significativa erosione del proprio consenso.
Il fenomeno rimane però contenuto: Angela Merkel gode ancora di una larghissima popolarità, il suo ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, leone conservatore, ancor più. La maggioranza della popolazione sta bene e si fida del sistema politico. Da settant’anni cristianodemocratici e socialdemocratici si alternano regolarmente al governo. Questi, pur avendo posizioni differenti sulla maggior parte delle questioni politico-sociali, non hanno mai osato toccare certi dogmi che la storia e la filosofia della nazione hanno sedimentato nella mente della popolazione. Ne è un esempio l’economia sociale di mercato – un misto, tutto made in Germany, di liberismo e giustizia sociale: da quando, negli anni sessanta, questo sistema portò al miracolo economico, in pochi hanno avuto il coraggio di discostarsene. Ci provò la cancelliera nel 2005 e non vinse le elezioni: fu una sorpresa, l’SPD versava in una situazione tragica dopo le riforme di Gerhard Schröder. Ma Angela osò troppo e dovette formare una Große Koalition. Ora, con una virata ideologica di cui solo lei è capace, ne è una strenua sostenitrice; l’AfD – al contrario – no: la critica a questo modello economico è uno dei più grandi cavalli di battaglia.
Altro grande esempio è la sensibilità nei confronti delle minoranze, del diverso, dello straniero. Proviene, ovviamente, dal periodo nazionalsocialista. Quando, con il processo di Norimberga, fu evidente a tutti ciò che era successo proprio lì, accanto alle loro case, a milioni di persone semplicemente perché “diverse”, la mentalità tedesca mutò. C’era una grande colpa che pendeva sulle teste di tutti, e nessuno si tirò indietro. Arrivarono milioni di tedeschi che fuggivano dai russi, e poi milioni di turchi in cerca di una condizione migliore, e poi milioni di jugoslavi succubi della guerra: la Germania divenne terra d’immigrazione. Lontani dalla mentalità coloniale inglese e dalle banlieue parigine, i tedeschi furono capaci di integrare più di chiunque altro: non si parlò più di chiusura delle frontiere o di odio razziale. La Germania era diventata multiculturale e, seppure a destra ci fossero più rigidità a riguardo, la classe politica ne prese atto e proseguì su questa linea. Anche in questo caso, fino alla settimana scorsa.
Cavalcando gli ovvi timori della popolazione riguardo al milione di stranieri appena entrati nel paese, l’AfD cambia faccia. Da movimento euroscettico che dibatteva quasi esclusivamente di economia, di Grecia e di moneta unica, si passa a discutere di profughi, musulmani ed identità nazionale. Il cambio è stato talmente radicale da costringere l’emerito fondatore a lasciare il partito: non vi si riconosceva più. Nei comizi si inizia a pronunciare parole che non si udivano più dai tempi di Hitler, il nazionalismo divampa ancora una volta. E il sostegno popolare cresce all’inverosimile; una deriva impensabile ma, aggiungo io, prevedibile.
Ci sono delle responsabilità? Se ne sentono di tutti i colori. Io ho un’idea ben chiara a riguardo: se ci si discosta troppo dalle ideologie della propria parte politica, se non ci si rende più ben riconoscibili, il sistema collassa. La colpa è quindi della Merkel? Sì e no. Da donna pragmatica, quale è, ha affrontato con coraggio un’emergenza che difficilmente poteva essere risolta in maniera differente: non si può certo sparare a vista alle frontiere – indecente proposta di qualche membro dell’AfD. Sta però nelle capacità fondamentali di un leader politico non mettere troppo alla prova e la lealtà dei colleghi e la fiducia dei propri elettori. Milioni di tedeschi che per anni hanno votato la conservatrice Union, ora come ora non lo fanno più: nel Baden-Württemberg, dove i cristianodemocratici hanno sempre governato con risultati quasi plebiscitari, si sono ridotti ad un misero secondo posto. C’è, tra questi, chi ha votato l’AfD perché è oggettivamente l’unico movimento critico all’approccio della cancelliera (vedi Lega Nord in Italia); c’è chi invece ha votato il carismatico vincitore verde Winfried Kretschmann – per certi versi più tradizionalista di molti membri della CDU della Merkel. Le analisi sui flussi di voto dicono infatti che buona parte di chi ha votato per quest’ultima è di formazione socialdemocratica: è forse per questi “transfughi” che si è comunque mantenuto un terzo delle preferenze? Probabile, data la quasi scomparsa della SPD.
Nonostante molti abbiano votato l’AfD esclusivamente per mandare alla cancelliera un segnale di paura e pericolo, questo movimento potrebbe dare ospizio a tanti conservatori scontenti del nuovo profilo dell’Union. Di quest’ultimi urge preoccuparsi: sono tanti e rappresentano la base di quest’area politica. Infatti, seppur vero che in Germania solitamente movimenti di protesta sono vere e proprie comete (conquistano qualche seggio qua e là, ma quando c’è da votare sul serio scompaiono per sempre), talvolta ciò non accade. Con Schröder i socialdemocratici sono stati abbandonati da tanti fedelissimi che ora tutto voterebbero, tranne che SPD. Quell’epoca fu propizia per la Linke, ad esempio: fino ad allora segregata nel malinconico est, è riuscita a costruirsi un moderato consenso anche all’ovest. Toccherà la stessa sorte anche all’AfD? È tutto, ancora una volta, nelle mani della signora Merkel.
P.S. I vari Salvini, Le Pen e Farage hanno esultato per la vittoria dell’AfD, in nome “della destra populista che vince anche nell’inespugnabile Germania”. Sbagliano, perchè non si può bollare questo movimento come semplice populismo di destra. Economicamente parlando, ad esempio, è il partito più liberista dello spettro politico tedesco – ben lontano, quindi, dalle varie destre (o sinistre) sociali che spopolano in Europa. In Germania, infatti, molti osservatori si chiedono come abbia fatto l’AfD a raggiungere un tale successo nella Sassonia-Anhalt (al secondo posto con il 25% delle preferenze ed un affluenza record), regione poverissima e tradizionalmente bacino elettorale della socialissima Linke. Il motivo è semplice: questo elettorato si è mosso quasi totalmente a causa della crisi dei rifugiati. La maggioranza è costituita da giovani, operai o disoccupati. Insomma, bacino ben diverso rispetto a quello dell’ovest, dove invece si trovano principalmente anziani benestanti, laureati e conservatori di ogni tipo. Contrariamente al pensiero comune, è quest’ultimo che potrebbe diventare il vero zoccolo duro del movimento.
1 comment
Riflessioni molto interessanti, Giulio, ottimo articolo, anche tenuto conto della giovanissima età. Le tue osservazioni dovrebbero indurre tutti noi a riflettere sulle mutazioni che il fenomeno migratorio può indurre negli orientamenti politici generali delle persone, andando ad influenzare anche aree non strettamente correlate al fenomeno migratorio in sè.
Le aperture del mondo moderno favoriscono spostamenti di popolazioni da una parte all’altra del globo, ma qui il fenomeno sta assumendo dimensioni abnormi in tempi brevissimi, e quindi rappresenta una minaccia concreta.
Un Whiskey non può farti male, ma se ti scoli una bottiglia mandi il cervello al macero …
Insomma l’Europa si sta ubriacando di migranti, e le reazioni sono inevitabili e scontate. Io stesso, pur deplorando la Lega sotto ogni punto di vista, ammetto di percepirla come unico baluardo nei confronti del fenomeno e, se messo alle strette, se dovessi scegliere tra aprire le porte ad una massa crescente di migranti oppure sbarrare le porte, pur dovendo ingoiare altri rospi, sarei nell’imbarazzo e potrei far scivolare il mio voto verso la Lega, pur turandomi il naso e chiudendo occhi ed orecchie. Se io ho questa percezione, e sono abbastanza solido nelle mie idee, figuriamoci la massa della gente.
Il tessuto liberale italiano deve prendere coscienza del fatto che i grandi principi di apertura e libera circolazione di uomini ed idee non viene meno se di fronte a circostanze eccezionali si reagisce con misure adeguate che possono essere in contrasto con principi validi in condizioni normali.
Vale per l’immigrazione ma vale anche per la libera circolazione delle merci su scala globale. Importare merci scadenti e a basso costo facendo crollare le nostre produzioni è LIBERALE, ma è anche stupido, perchè non è sensato immaginare che il CONSUMATORE RESPONSABILE sia in grado di scegliere, scartando le merci che non sono all’altezza di quelle nazionali anche se costano meno, se non altro perchè spesso non può permettersi i prezzi della produzione nazionale.
Insomma, liberali si, ma non come scelta ideologica a prescindere, bensì come scelta di convenienza per massimizzare il nostro benessere complessivo, non per fare piacere a dei principi astratti.