Oggi la libertà d’espressione non ha un solo limite, ma una molteplicità di limiti. Sono molti gli esempi contemporanei che lo dimostrano: la fatwa nei confronti di Salman Rusdhie dopo la pubblicazione de “I versi satanici“; la vicenda WikiLeaks e l’arresto di Julian Assange dopo la pubblicazione dei documenti che accertavano le nefandezze compiute dagli USA in Iraq; la fuga da Napoli di Roberto Saviano dopo la pubblicazione di “Gomorra“; e, da ultimo, i fatti svedesi e la denuncia per incitamento all’odio indirizzata a Salwan Momika dopo l’incendio del Corano. Sono certamente casi diversi per natura, caratteristiche e contesti, ma uniti da un unico fil rouge: la censura della libertà d’espressione da parte di un potere costituito.
Su queste pagine ha sollevato un importante interrogativo Simone Conversano: «esistono dei criteri rigorosi per delimitare universalmente e ragionevolmente certe libertà?». Questi limiti possono (e devono) essere individuati attraverso un’analisi etico-normativa che abbia la particolare premura di individuare le libertà e i diritti riconosciuti in un dato ordinamento costituito nella loro condizione d’insieme, sistematica. Il criterio che deve orientare le analisi di questo tipo non può essere quello astratto dell’etica, bensì quello pragmatico della sostenibilità dell’ordinamento e della effettività del diritto. In altri termini, è più che mai utile lavorare sulla politica del diritto e individuare i perimetri di operabilità della libertà d’espressione nello scenario a cui si fa riferimento.
La libertà d’espressione in Svezia
Venendo al caso specifico trattato da Conversano, si può incominciare col dire che la Svezia è uno dei Paesi in cui la libertà d’espressione viene tutelata con maggiore attenzione. La classifica presente nel rapporto del 2023 curato da Reporter Senza Frontiere indica come la condizione di libertà d’espressione della stampa italiana (41° posto su 180) sia lontana anni luce dalla condizione svedese (3° posto). La costituzione svedese, facente parte delle cosiddette “costituzioni nordiche”, ha una supremazia sulla legge ordinaria approvata dal Parlamento (Riksdag), e riconosce in maniera più che garantista la libertà d’espressione, tanto da dedicare alla materia una delle quattro leggi fondamentali [1].
La legge fondamentale sulla libertà d’espressione, emanata nel 1991 e poi emendata nel 2002, definisce la libertà di espressione relativamente a tutti i media, contenendo disposizioni sulla libera diffusione di informazioni, nonché sul divieto di censura. Eloquenti, a questo riguardo, sono le norme contenute nel secondo comma della Sezione prima, Capitolo primo:
Lo scopo della libertà di espressione secondo questa Costituzione è quello di garantire un libero scambio di idee, un’informazione libera ed esauriente e una libera creazione artistica. In esso non possono essere previste altre restrizioni oltre a quelle che derivano da questa Costituzione [2].
E ancora il criterio interpretativo contenuto nella Sezione quinta:
Chiunque debba giudicare l’abuso della libertà di espressione o comunque monitorare il rispetto di questa Costituzione dovrebbe considerare che la libertà di espressione è il fondamento di una società libera. Dovrebbe sempre prestare attenzione allo scopo più che al metodo di presentazione. Se ha dei dubbi, dovrebbe preferire proporre piuttosto che intrappolare.
Sebbene la libertà d’espressione rappresenti uno dei pilastri della cultura giuridica svedese, anche la Legge fondamentale che la riconosce ne dispone dei limiti. Sono legittimi, ad esempio, gli «interventi contro la continuazione della trasmissione di programmi che mirano a rappresentazioni di violenza, immagini pornografiche o incitamento contro gruppi etnici». Seguono poi limitazioni relative a programmi che violino la concorrenza, o che non permettano accessibilità alle persone con disabilità funzionali, o ancora che non garantiscano un’influenza degli spettatori sulla scelta dei programmi. Come è facile riscontrare, nemmeno nella costituzione svedese la libertà d’espressione è assoluta: essa in realtà soggetta a delle limitazioni di vario genere. E la ragione è presto detta: anche se la libertà d’espressione viene considerata un diritto fondamentale universalmente, essa non opera in solitudine all’interno dell’ordinamento giuridico, e deve confrontarsi con altre pretese di libertà (o di diritto) che potrebbero essere lese da un suo dispiegamento assoluto e irrefrenabile.
Le vere ragioni alla base della questione svedese
Ma siamo davvero certi che le azioni compiute dalle autorità svedesi a seguito della manifestazione di Salwan Momika avessero l’obbiettivo di salvaguardare l’esercizio di altre libertà?
La bestemmia, che sia pronunciata in uno Stato laico o in uno Stato teocratico, non lede la libertà di religione, piuttosto lede l’integrità del potere religioso, lo vilipende. A seconda dei principi fondamentali dell’ordinamento, la bestemmia può essere riconosciuta come una declinazione della libertà d’espressione, e perciò difesa e protetta, oppure come un vilipendio alla religione (di solito di Stato). Anche il codice penale italiano prevedeva il reato di vilipendio della religione di Stato (oggi non più in vigore), ma questo nulla aveva a che vedere con la libertà religiosa.
D’altronde non tutte le pretese avanzate possono essere considerate degne di tutela. Nei limiti della ragionevolezza è bene considerare, secondo un criterio etico-normativo, che ci sono pretese che possono trovare cittadinanza nel nostro ordinamento e altre che devono rimanerne fuori. La razionalità astratta del principio di non aggressione (NAP), propugnata da Rothbard e Nozick e richiamata da Conversano, si dimostra evidentemente inadeguata ad un’applicazione pratica. La ragione principale è una: bisogna prima individuare un metodo e una gerarchia che stabilisca quali rivendicazioni possano essere legittime e quali no. Altrimenti si rischia una parossistica entropia in cui tutte le libertà si annullano a vicenda, lasciando spazio solo all’esercizio di un potere normativo piatto e paralizzato. Servono cioè dei principi fondamentali, di portata generale, che definiscano una eticità di base, aprioristica e non contestabile (i diritti umani ne sono un esempio), e una procedura che permetta di limitare il numero delle rivendicazioni legittime (il principio democratico, ad esempio).
L’integrità del potere religioso in un ordinamento tendenzialmente laico come quello svedese non può evidentemente trovare cittadinanza. E quindi la bestemmia diventa un atto non penalmente rilevante, né sanzionabile in altri modi. La bestemmia in Svezia è quindi una libertà e come tale non può essere ostacolata, salvo i casi previsti dalla Costituzione.
Se non è per tutelare la libertà religiosa, perché allora una parte della popolazione svedese, Governo compreso, si dimostra contraria ad un atto legittimo? Le ragioni sono da ritrovare nello scenario geopolitico contemporaneo, nel tentativo della Svezia di entrare a far parte della NATO e, soprattutto, nel veto posto dalla Turchia. In altri versi, le ragioni che portano al tentativo di censurare gli atti di Salwan Momika attengono alla ragion di Stato machiavellica, evidentemente indirizzata a salvaguardare la sicurezza svedese attraverso l’ingresso nella NATO.
L’irriducibile discrezionalità del potere
Il potere svedese quindi opera una certa (apparente) forzatura della Costituzione, al fine di garantire la riuscita di strategie governative ritenute necessarie a salvaguardare la sicurezza del Paese. Se in termini etico-analitici questo può sembrare riprovevole e illiberale, nella pratica gestione politica dello Stato diventa indispensabile. Esempi di una prassi analoga possono essere riscontrati nelle misure applicate durante la pandemia da COVID-19 o nelle norme previste per tutelare il segreto di Stato. E sono tutte norme volte a garantire (ad eccezione del caso WikiLeaks) interessi ritenuti maggiormente meritevoli di tutela (salute pubblica, equilibri internazionali, interessi economici strategici, eccetera).
In conclusione, si potrebbe affermare che è essenziale che tutte le libertà, comprese quelle fondamentali, siano relative (e che non lo sia solo la questione etica dei limiti da porre alla libertà d’espressione), perché l’assoluto può esistere solo nella religione, nel comunismo e nel wokeismo. La relatività di tutti i principi non equivale alla loro discutibilità, bensì alla flessibilità che ogni norma deve avere al momento della applicazione in una realtà complessa. Tutte le norme devono, per esser tali, tendere all’effettività, e nella gerarchia delle fonti il fine ultimo è quello di mantenere effettiva la costituzione (Grundnorm) – nel caso svedese la tutela dell’ordine costituzionale, possibile solo attraverso la sicurezza pubblica. Questa regola di base porta gli anticorpi dell’ordinamento (giudici costituzionali e governo) ad agire quando le complessità del reale pongano delle difficoltà alla operabilità del diritto.
Ogni potere, si chiami Repubblica islamica dell’Iran, Stati Uniti d’America, Camorra o Regno di Svezia, ha l’unico obbiettivo di preservare se stesso, su questo c’è poco da fare. Certo è che quando questo potere è liberale, democratico e garante della giustizia sociale, preservando se stesso preserva anche gli interessi della sua popolazione. Per farlo, però, necessita di un’irriducibile nucleo di discrezionalità che gli permetta d’operare, o meglio di rendere operabile il diritto, anche se questo espone il rispetto dei diritti individuali ad alcuni rischi. Questo è necessario, altrimenti le democrazie liberali sarebbero come dei fragilissimi vasi di porcellana: d’una bellezza invidiabile, ma incapaci di resistere al tempo e ai suoi strattoni.
[1] La Sveriges grundlagar è una costituzione pluritestuale, cioè formata da più atti normativi (Leggi fondamentali): il Successionsordningen (Atto di successione), il Tryckfrihetsförordningen (Legge fondamentale sulla libertà di stampa), il Regeringsformen (Strumento di governo) e Yttrandefrihetsgrundlagen (Legge fondamentale sulla libertà d’espressione).
[2] La costituzione svedese impedisce così che il Riksdag possa approvare delle norme che disciplinino la libertà d’espressione; l’unica procedure concessa per l’introduzione di nuove norme è la revisione costituzionale.
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1 comment
teniamo cmq conto che Conversano è pugliese :D ;)