Il capannone ad uso agricolo mai completato, pericolante e dismesso da vent’anni in cui si è svolto il rave di Modena, nonchè la sua riprovevole occupazione abusiva, è l’emblematica conseguenza di un paese che non promuove né il lavoro né gli investimenti, ma preferisce arroccarsi (letteralmente) in patrimoni ereditati, ora detassati, ora condonati, malgestiti e inevitabilmente destinati a corrodersi.
Se è vero che quella sulle successioni fu la prima “tassa liberale”, come denominata durante l’approvazione nel 1862, perché premiava il merito e stimolava l’investimento, per analizzare quanto questi temi siano ancora valorizzati in Italia basti dare una rapida occhiata alla mappa della tassazione sugli immobili ereditati in Europa. L’aliquota varia sempre in relazione all’entità del patrimonio, salendo con esso, ma mentre Stati come la Germania hanno una forbice molto ampia (7-50%) l’Italia ne vanta una molto ristretta: dal 4 all’8% con una no-tax zone fino al milione di euro di beni immobili che le è valso il richiamo dell’UE e la non invidiabile etichetta di paradiso fiscale per le successioni.
Francia, Spagna, Olanda, Belgio, Polonia, Irlanda e Grecia hanno aliquote paragonabili a quella tedesca, così come è norma tra i paesi UE. Non solo, anche al di fuori dell’Unione Europea come in Svizzera, UK e USA (0-40%) la tassazione sugli immobili ereditati resta ben superiore a quella italiana e persino in Turchia si arriva al 30%.
Mentre per più di un secolo anche in Italia sono rimaste in vigore proporzioni in linea con il panorama europeo, la singolarità si creò nei primi anni 2000 con i governi Amato e Berlusconi. Oggi possiamo affermare che il più piccolo appartamento olandese che il figlio eredita dai genitori risulta tassato maggiormente (10%) del più grande e prestigioso castello italiano (8%). E non c’è da stupirsi dello scalpore che suscitò un’indagine del Wall Street Journal secondo la quale a Firenze le famiglie più ricche erano le stesse da ben 25 generazioni. Caposaldo del capitalismo è infatti la capacità di generare ricchezza e mantenere beni e servizi nel mercato.
L’incogruenza della posizione italiana fu evidenziata a più riprese persino da Mario Monti, che seppe porre sapientemente l’accento sulla parte paradossale della questione: nella pluralità di strumenti fiscali che spesso assumono connotati vessatori sul lavoro e sulle aziende, un’imposta di successione scandalosamente bassa rispetto al panorama occidentale risulta incredibilmente contradditoria. Stupisce ancor di più la levata di scudi nei confronti della proposta di “patrimoniale” avanzata da Letta, ovvero un innalzamento dell’aliquota di successione per i soli patrimoni superiori a 5 milioni di euro! Non stupisce invece la rapidità con cui l’abbia abbandonata.
Il problema quindi, in estrema sintesi, non riguarda nemmeno la bassa tassazione dell’eredità immobiliare in sé, ma la sperequazione tra la pressione in busta paga di un comune dipendente (40% circa), o se vogliamo la mera aliquota IRPEF (27% almeno), e la tassa di successione che al più risulta pari all’8%. Non è sbagliato dire che in media il reddito lordo da lavoro prodotto da un italiano in una vita intera, pari a poco meno di un milione di euro, sia tassato almeno 10 volte tanto l’eredità che potrebbe piovergli sulla testa. Per quanto riguarda le società il moltiplicatore si fa ancora più ampio. Un confronto impietoso anche quando effettuato con Stati pressoché privi di welfare, come gli Emirati, dove è vero che l’imposta di successione non esiste ma di contro non esiste nemmeno quella sul reddito!
Che tipo di outcome può generare un sistema del genere? Il capannone del rave di Modena: terreno agricolo disperso nel nulla, quasi sicuramente ereditato, soggetto ad incentivi ed agevolazioni fiscali, edificato incompiutamente, condonato ed infine caduto in disuso per 20 anni. Una proprietà che è destinata a passare di mano in mano per generazioni tra proprietari incapaci di valorizzarlo e che non hanno alcun interesse a vendere, ovvero a rimettere sul mercato un immobile che potrebbe statisticamente cadere prima o poi nelle mani di qualcuno capace di sfruttarlo meglio (non necessariamente ma preferibilmente Amazon). Il recente sequestro disposto dalla magistratura a seguito della risonanza del caso, che ha posto l’accento sul rischio strutturale di crolli a cui l’immobile è soggetto da anni, è un’evenienza tutt’altro che comune.
La naturale conseguenza di questo processo, contando i tempi di servizio del cemento pari a 50 anni, è un crollo del prezzo degli immobili, che infatti passati 50 anni dal boom economico hanno perso circa il 30% del valore al metro quadro dal 2010 ad oggi. Da qui, si innesta una spirale di inutilizzo, corrosione, e svalutazione destinata complessivamente a continuare nei prossimi decenni, complice anche un’altra specificiatà italiana, la tremenda denatalità.
Un circolo di inebriante devastazione sulle spalle altrui, un rave party continuo, implicito, di cui i recenti eventi di Modena non sono che le note a margine, tutto sommato ben più aggraziate di quanto si possa pensare. Dal punto di vista prettamente artistico, o se non altro intellettuale, va riconosciuto agli organizzatori del Witchtek il merito d’aver riportato fugacemente alla vita qualche migliaio di metri quadri dimenticati per 20 anni non solo attraverso la musica, ma anche grazie alla piccola economia che si sviluppa internamente alla festa, fatta di commerci (più o meno leciti), condivisione e servizi, capace di attirare gente da tutta Europa. Per un ordine di grandezza basti pensare alla strumentazione degli stage, che da sola vale sicuramente più del costo della struttura incartapecorita che l’ha ospitata per 3 giorni.
Uno squisitamente illegittimo quanto corroborante sussulto nell’imperitura cancrena a cui ormai siamo avvezzi. Ovviamente non poteva che diventare un caso nazionale, catalizzando l’attenzione dell’inflazionata e onnipresente platea di moralisti d’accatto oltre che di un governo furbescamente prontissimo a risolvere i drammi del paese, che con il rave di Modena ha colto la palla al balzo varando un decreto potenzialmente molto pericoloso, nello specifico atto a punire severamente qualsiasi raduno “dal quale possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”.
Una legge a maglie larghissime che si presta terribilmente all’interpretazione delle procure, per giunta totalmente svincolata dal concetto di “party” che tanto ha dato scalpore sui social. Un’opposizione meno presa dagli articoli determinativi e un po’ più attenta a questi temi farebbe comodo.
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1 comment
interessante accostamento :D