Nel giro di qualche settimana a San Francisco l’azienda Cruise, controllata di General Motors, attiverà il suo servizio di noleggio robotaxi, self-driving car dotate di guida quasi completamente autonoma, in gergo denominata senza lasciare spazio ad allusioni Level 5 – steering wheel optional (volante opzionale).
Parliamo in realtà di un livello intermedio tra il 4 ed il 5, non completamente autonoma sulle tratte a lunga percorrenza, ma che si comporta come tale in un’area urbana meticolosamente e frequentemente mappata, anche se densamente trafficata e popolata.
Le vetture Cruise circolano già quotidianamente per la città da tempo, come dimostra un video di qualche settimana fa che ritrae impacciati agenti di polizia fermare legittimamente un veicolo che procedeva a fari spenti trovandolo senza conducente, complice una legislazione adeguata scritta ad hoc in tempi relativamente brevi ed un iter di approvazione rapidissimo in confronto alle tempistiche italiane, ma anche europee.
Se tuttavia fino ad oggi occorreva essere ingegneri o tester per per salire a bordo di una delle auto, da qualche settimana sul sito di Cruise è comparsa la possibilità di registrarsi e a breve il servizio sarà esteso a tutti gli utenti, che pagheranno con apposita app.
I clienti non sono ancora a bordo che già si sente parlare di concorrenza. Waymo, controllata da Google, ha ottenuto l’approvazione per iniziare la sperimentazione proprio a San Francisco, dopo aver già attivato il servizio a Phoenix negli scorsi mesi provvedendo a mettere su strada ben 400 veicoli.
Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato, ma tornando indietro di 5 anni le stime più ottimistiche avrebbero indicato il 2030. Lo sviluppo del settore è stato devastante grazie ad ingenti investimenti ed una vera e propria corsa tra colossi tecnologici che ha favorito la ricerca attraendo talenti da tutto il mondo.
Tra i leader del settore, oltre ai già citati Google e General Motors, troviamo Ford-Tesla e Baidu, la AI big corp del governo cinese ha attivato a fine 2021 il servizio robotaxi nell’area metropolitana di Pechino e quest’anno è giunta l’autorizzazione anche per Pony.ai, realtà inizialmente rivolta alle consegne a domicilio che ha stipulato una partnership con Lexus-Toyota ed è in procinto di accaparrarsi il ghiotto mercato giapponese. Anche Amazon, tramite l’acquisizione di Zoox dovrebbe aprire entro il 2022 il primo polo di consegne che prevede l’impiego di veicoli a guida autonoma a Seattle.
Nvidia e Intel non potevano mancare all’appello, attualmente vi sono progetti aperti con VolksWagen, Volvo, Mercedes ed altre case automobilistiche europee.
Ma in Europa sul fronte della sperimentazione urbana siamo rimasti a guardare, non tanto a causa dell’assenza di aziende che potessero portare innovazione nel settore, ma principalmente a causa di una normativa inadeguata e dell’obbiettivo rischio zero inizialmente fissato in questo ambito, che ha reso pressoché impossibile portare in strada un veicolo a guida autonoma soprattutto con lo scopo di farlo noleggiare a terze parti senza che il progetto rischiasse di naufragare causando perdite milionarie alle aziende.
Un enorme freno è stato posto, in Italia come all’estero, dalle proteste degli operatori di settore, tassisti ed NCC, che sovente hanno contestato non solo la guida autonoma, ma qualsiasi tipo di servizio concorrente assecondati dalla politica, si ricordi il caso Uber Pop. Questo settore tuttavia necessita di costante sperimentazione. Per quanto appropriati, i dati provenienti delle simulazioni ed i test in ambienti privati non possono sopperire all’enorme quantità di variabili analizzabili nella prova su strada in ambiente urbano. Così, vietare le liberalizzazioni ha significato vietare ricerca e sviluppo oltre un certo punto, dirottando alcune aziende verso il teledriving, la guida da remoto, definita da Bloomberg una shortcut destinata ad essere superata prima ancora di affermarsi nella mobilità urbana, sebbene più promettente in altri settori come il trasporto aereo.
La principale differenza con gli altri continenti non riguarda solo il dibattito automazione SI/NO, che è attualissimo ed è nato pressoché dovunque. Spesso anche negli Stati Uniti si è visto prevalere il NO in molte città, ed anche Uber si è dovuta aprire la strada a suon di processi e ricorsi, non di rado persi. A far calare la scure in Europa è stata l’assenza di una linea di sperimentazione urbana che potesse autorizzare questo tipo di servizio in specifici contesti, un novero di città metropolitane predisposte per attitudine, dove la guida autonoma poteva essere testata ed implementata per qualche anno (come a San Francisco) all’interno di un quadro normativo che lasciasse più libertà alle singole municipalità, ad oggi gestori delle licenze dei tassisti. Così facendo pur di tutelare sull’intero territorio nazionale i privilegi di una categoria che volente o nolente negli anni perderà mercato, si è finito per restare indietro sul fronte dello sviluppo, sfavorendo il mercato di domani, la mobilità condivisa, ben più competitiva in presenza di self-driving car.
Un guaio a cui oggi è già difficile porre rimedio visto l’altissimo tasso di innovazione del settore.
Un altro importante fattore è infine giocato da un vero e proprio stigma verso forme nuove di mobilità condivisa, green o non green che siano. Per molti l’automobile personale rappresenta uno status a cui è difficile rinunciare e la condivisione del mezzo qualcosa da guardare con profondo scetticismo, al netto dell’utilità effettiva. Questo ovviamente non attrae investimenti nel settore. La politica invece che guidare verso forme di trasporto alternativo spesso preferisce cavalcare l’onda, senza lungimiranza.
Nel complesso si delinea un mercato nuovo, elettrizzante, competitivo e in stravolgente crescita, in cui purtroppo ancora una volta il Vecchio Continente, per i vecchi motivi, sembra essere già relegato ai margini.
Leggi anche:
Gli economisti sono ossessionati dal denaro?