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Pasqua e Pasquetta: le radici pagane che non ti aspetti

Insieme al Natale, la Pasqua è la festività dalle più disparate radici pagane. Dai babilonesi ai celti, dai greci ai germani, scopriamo le tappe di questa tradizione che solo cristiana, a questo punto, non lo è per nulla.

Si tratta della festività annuale più importante per la Chiesa cristiana e tuttavia – proprio come ogni altra ricorrenza – anche questa ha origini pagane molto forti. La Pasqua è una celebrazione così ben radicata da indurci a credere che sia stata istituita dagli apostoli nel I secolo d.C., proprio a seguito dell’evento miracoloso della resurrezione di Cristo. In realtà, questa festa sacra ha percorso delle complesse tappe storico-culturali che l’hanno fatta evolvere da arcaica liturgia pagana a moderna commemorazione monoteistica, e di questi residui gentili (cioè pagani) sono rimaste insospettabili tracce anche nelle ritualità contemporanee.

Cerchiamo, dunque, di approfondire meglio la questione, con particolare riferimento ai sommi simboli di tale ricorrenza: le uova e il coniglio. Ma, prima di cominciare, solito disclaimer: in questa rubrica proviamo a investigare meglio il viaggio e l’evoluzione delle festività nella storia, ma lungi da noi presumere di poter risolvere temi così complessi in articoli così brevi, che non potranno mai considerare ogni elemento storiografico compiutamente. Se ci sono storici all’ascolto, quindi, prendete quest’articolo come uno spunto e commentate per permetterci di migliorare il nostro lavoro!

I misteri babilonesi

Tutto comincia con l’Antico Testamento, ed è quasi ironico parlare del paganesimo babilonese a partire dal monoteismo ebraico. C’era una volta la storia di Noè, un mito che ormai tutti conoscono e padroneggiano piuttosto bene. Ciò che non tutti sanno, però, è quanto accadde alla prole di Noè, ossia l’epilogo della storia, presente in altri passaggi biblici: nella cultura ebraica, infatti, il mito risale al tempo in cui il nipote di Noè (figlio di Cam), chiamato Cush, sposò una donna chiamata Semiramis (o Semiramide in alcune versioni) ed ebbero un figlio di nome Nimrod che, dopo la morte del padre, sposò la sua stessa madre e divenne sovrano.

Il popolo considerava Nimrod un vero e proprio dio umano, e Semiramis, sua moglie e madre, divenne la potente regina dell’antica Babilonia. La Bibbia cita questo insolito personaggio in Genesi 10:8-10: “8 Cush generò Nimrod, che cominciò ad essere un uomo potente sulla terra. 9 Egli fu un potente cacciatore davanti all’Eterno; perciò si dice: ‘Come Nimrod, il potente cacciatore davanti all’Eterno’. 10 E l’inizio del suo regno fu Babel, Erek, Akkad e Kalmeh nel paese di Scinar“.

Ma Nimrod finì assassinato per colpa dell’iniquità e il suo corpo fu spezzettato e sparso chissà dove nel regno. Semiramis fece raccogliere tutti i suoi resti, ma una parte, il suo organo riproduttivo, non fu trovata. Nimrod non sarebbe potuto ritornare in vita senza quell’organo e, per giustificarlo, la vedova Semiramis convinse il popolo babilonese che suo figlio e marito fosse asceso al sole, chiamandolo da quel momento Baal, cioè dio Sole. La regina, inoltre, rivelò che Baal, quando era presente sulla Terra, acquisiva sembianze d’una fiamma, tradotta nel culto specifico in una candela o una lampada.

Semiramis, dunque, creò una religione in cui aveva insediato se stessa come divinità, proclamandosi dea della Luna, poiché sosteneva di essere stata concepita immacolatamente, e insegnò che la Luna, una dea che passava in un ciclo di 28 giorni ed ovulava quando piena, la prima domenica di plenilunio dopo l’equinozio primaverile, durante un’ovulazione l’avesse scagliata sul nostro pianeta in un gigantesco uovo lunare che atterrò nel fiume Eufrate.

Le si presentò anche l’occasione di ribattezzarsi Ishtar (in inglese Easter), e l’uovo da cui nacque fu chiamato uovo di Isthar (ossia Easter egg, in inglese uovo di Pasqua), e due dei suoi simboli di fertilità divennero il coniglio e l’uovo: i punti iniziano a collegarsi.

La porta di Ishtar, Babilonia.

La vita regale e divina tuttavia durò poco per Ishtar, siccome la madre e moglie di Nimrod restò nuovamente incinta, sentenziando che fossero stati i raggi di Baal a fecondarla. La creatura che la donna partorì fu chiamata Tammuz (in alcune versioni Dumuzi) e venerata come il figlio di Baal. Notato per il suo particolare affetto verso i conigli, questi divennero sacri perché si credeva che Tammuz fosse il figlio di Baal e, proprio come il suo presunto padre, il ragazzo divenne un cacciatore. Il figlio di Ishtar avrebbe poi incontrato la morte in età adulta, proprio durante una battuta di caccia, sovrastato da un selvaggio cinghiale.

Per mantenere in vita il culto misterico babilonese, Ishtar decretò che Tammuz fosse asceso al padre, Baal. I tre furono divinizzati e adorati sotto la forma della sacra fiamma della lampada o della candela, ma anche come Padre, Figlio e Spirito, proclamando tra l’altro un lutto annuale di quaranta giorni prima dell’anniversario della morte di Tammuz, durante i quali non si poteva mangiare carne. Tecnicamente denominato “pianto di Tammuz”, viene descritto in Ezechiele 08:14 come il pianto di Ishtar per la morte di suo figlio che tutte le donne erano tenute a emulare.

Infine, stando sempre alla regina, ormai venerata come la Madre di Dio e la Regina del Cielo, pare che, quando Tammuz perì a causa del cinghiale, parte del suo sangue fosse caduta su un ceppo di palma che, inspiegabilmente, ricrebbe in una nuova palma adulta durante la notte, e fu considerata sacra in quanto vivificata dal sangue di un dio. Durante quest’arcaica Quaresima babilonese, gli adoratori di Baal e Tammuz meditavano sui misteri sacri e pregavano segnandosi con il Tau, la croce di Tammuz, mangiando dolci sacri marchiati con una “T“. Ogni anno, nel giorno calcolato per la Pasqua, era celebrata una festa con conigli e uova poiché era il giorno di Ishtar: quella domenica doveva essere ucciso e poi mangiato un maiale in nome di suo figlio.

Antica rappresentazione sumera del matrimonio di Inanna e Dumuzid (Tammuz)

Insomma, Ishtar divenne ben presto la dea della fertilità in Oriente, e la festa pagana originaria della Pasqua si configurò come uno spettacolo orgiastico, ricco di sbronze e banchetti con i dolci di Ishtar nel tempio della dea, per commemorare il ritorno della vita attraverso l’immacolata concezione con cui Ishtar generò Tammuz. Le donne celebravano il dio Tammuz concedendosi a chiunque nel tempio, e in cambio gli uomini dovevano solo pagarle.

Gli adoratori, inoltre, tendevano a sacrificare bambini innocenti a questa divinità, consumandone poi il sangue – similmente agli agnelli di oggi – creando un circolo vizioso in cui coloro che venivano concepiti durante le orge della festa di Ishtar nascevano intorno al 25 dicembre, salvo poi essere sacrificati nella successiva Pasqua. Tutti questi riti furono aspramente condannati dallo stesso Ezechiele e da Geremia, che pronunciò la condanna divina verso chiunque li avesse seguiti (Geremia 7:17-19, 44:19-29).

Ma le uova? È presto detto: i rituali, infatti, finirono per coinvolgere anche i contadini per propiziarsi la prosperità stagionale della rinascita primaverile; per questo motivo, numerose uova colorate venivano disseminate in primavera nei campi, con l’auspicio che infondessero fertilità, almeno prima di essere nuovamente occultate dagli spiriti maligni nelle tane dei conigli (sempre simbolo di fertilità), dando origine alla odierna caccia alle uova di Pasqua, tipicamente anglosassone.

Il pantheon romano e le “prime” uova

La Pasqua cade la prima domenica dopo il primo plenilunio dall’equinozio di primavera. Tutti i popoli pagani dell’Impero Romano, e non solo, conoscevano questa giornata, null’altro che una festa primaverile: gli alberi germogliano, i fiori sbocciano, la natura rinasce dopo l’inverno rigido, anzi “risorge” è il caso di dire. Tant’è che le controparti pagane della Pasqua si estendevano per tutto il periodo di fertilità della vegetazione, coprendo anche quello che oggi conosciamo come il Lunedì dell’Angelo, la Pasquetta.

L’idea di resurrezione della natura fu incorporata nella nuova religione imperiale diventando la resurrezione di Cristo, poiché non c’è tradizione pagana che non sia stata rubata e fatta propria dalla Chiesa cristiana dei primi secoli. È chiaro dunque che, come qualunque altra festività cristiana di origini pagane, la conversione religiosa risale ai tempi in cui le varie tradizioni pagane venivano lentamente recuperate e rielaborate dai cristiani dell’Impero Romano, che finirono per alterare gli intenti, i significati e le funzioni liturgiche dei rituali originari.

Ma prima che la ricorrenza fosse adottata dal popolo ebraico post-diluviano, molti miti religiosi annoveravano l’evento della resurrezione, come il culto del dio egizio Horus e quello del Sol Invictus, associato al dio persiano Mitra.

Sempre in riferimento alla resurrezione, all’inizio della primavera si celebrava, in delle festività specifiche, il dio Attis, figlio della dea Cibele, detta la Grande Madre, nonché strettamente legato alla vegetazione. Parliamo in riferimento alla resurrezione perché il suo mito si fonda su un ciclo di morte e rinascita orientato al mondo vegetale e al suo rifiorire. Inoltre, molte statue della Grande Madre possedevano gli attributi della fertilità, come forme tondeggiati, molteplici seni e uova: la Dea Madre era infatti spesso associata all’idea di uovo, da sempre simbolo di rinascita, vita eterna e fecondità, un’immagine che è sopravvissuta fino ad oggi, seppur denotata in maniera differente.

Tra germani e celti: il coniglio pasquale

Vi siete mai chiesti da dove derivi la parola Easter, il nome inglese per la Pasqua? Abbiamo già visto che ha legami con la versione babilonese di Ishtar, ma a dire il vero un’argomentazione piuttosto debole. La vera matrice del termine, infatti, è germanica e risale a Ostara (od Oestara), un sabba pagano che si celebrava (e si celebra tutt’ora) il giorno dell’equinozio di primavera, dedicato alla rigenerazione della natura e alla rinascita della vita, quindi alla dea Eostre (o Eastre, o Eostar), matrona della fertilità, dalla cui radice ovviamente Easter. Il culto di tale deità e le conseguenti usanze festive si espansero a tutte le regioni toccate, in Europa, dalle invasioni germaniche, ma fortunatamente Eostre si scoprì molto vicina a divinità di altre culture indoeuropee, come Estia, figlia di Crono e Rea nella mitologia greca, e Vesta, la controparte di Estia nell’impero romano, quindi non fu difficile contagiarne usanze e tradizioni.

Nel giorno di Ostara le sacerdotesse di Eostre, durante dei particolari rituali nei templi della dea accendevano un cero, emblema della fiamma dell’esistenza, salvo poi spegnerlo solo all’alba dell’indomani. I riti più diffusi nella festa di Ostara, però, coinvolgevano la sizigia ierogamica, ossia pratiche di teogamia durante le quali la rinascita della vita veniva deificata e sacralizzata attraverso l’unione sessuale, addirittura tra umani e divinità, stando ai racconti.

Nel periodo festivo di Eostre, un mese vagamente corrispondente ad aprile chiamato Ēosturmōnaþ (Eostur-Monath), i popoli anglosassoni festeggiavano la dea anche con ritualità connesse al rinnovamento della vita, alla primavera, alla fertilità e alla lepre o al coniglio, notoriamente specie animali dalla rapida riproduzione. E questi due animali erano così importanti che la stessa dea Eostre veniva talvolta raffigurata con la testa di lepre o di coniglio.

Nella tradizione celtica era vietato mangiare carne di lepre tutto l’anno, tranne il giorno dell’equinozio di primavera e della festa di Beltane, che cade il primo maggio, perché consumare le carni dell’animale voleva dire essere partecipi della sua fecondità. Ma come mai il nome inglese dell’attuale Pasqua cristiana si aggancia a una festività che c’entra apparentemente così poco? Innanzitutto, la lepre sacra mutò lentamente nel coniglio pasquale che porta in dono le uova ai bambini, ma che significato hanno, a questo punto, le uova?

Beh, la festa di Ostara finì per essere assorbita dalla Pasqua, transizione palese persino nella nomenclatura inglese e tedesca (“Ostern” è Pasqua in tedesco), poiché entrambe condividono il periodo di celebrazione. Ciò fu possibile grazie alla maggior diffusione del cristianesimo, precisamente riorganizzando la semantica liturgica attraverso un’opera di sovrapposizione sincretica della cultura cristiana alle antiche tradizioni pagane, in questo caso legate all’equinozio primaverile, in cui molti elementi pagani vennero inglobati tali e quali nella nuova religione, talvolta senza adeguate giustificazioni.

La mitologia greca: l’uovo di Pasqua e la colomba

Sappiamo che l’uovo è il simbolo dell’embrione primordiale da cui scaturirebbe l’esistenza, poiché è l’interno del guscio che ospita la genesi di una nuova vita, e che fu associato già alla Grande Madre nel pantheon romano. Ma il mito greco che forse diede origine alle attuali uova di Pasqua è ben più cupo e misterioso ed ha a che fare con Eurinome, un nome, mi si perdoni l’assonanza, che ha diverse corrispondenze nella mitologia greca e che in questo caso rinvia a una dea della Frigia: emersa dal caos primordiale, la deità divise il cielo dal mare e prese a danzare nuda sulle sue onde. Divertita dal vento del nord che spirava sulla sua schiena, lo prese e lo sfregò tra le mani, tramutandolo nel serpente Ofione, con cui si congiunse e con il quale intrattenne una danza sensuale.

Eurinome, chiamata anche “la madre dell’Universo” si trasformò però in colomba e depose un uovo che Ofione, su ordine della dea, avviluppò con le sue spire per sette volte. Nemmeno il tempo di far riposare il serpente, che l’uovo cosmico si dischiuse “liberando” tutto il creato. Tale visione del mondo, nota come mito pelasgico, è riscontrabile negli antichi miti della creazione del Mediterraneo e, inaspettatamente, anche in alcune culture extra-europee, ma è importante in questa sede perché costituisce uno degli elementi pagani integrati nella religione cristiana e nella Pasqua in particolare, poiché in molti riti precristiani di rinascita, generalmente primaverili, si iniziò a consumare uova e addirittura, in più tradizioni, a dipingerle sui gusci (similmente ad alcune tradizioni odierne, più strettamente americane) e solo dopo mangiarle a scopo propiziatorio.

Babilonesi, greci, romani, celti, germani, egizi

Insomma, non importa veramente da dove provenga una festa tanto sfaccettata e contaminata come la Pasqua, ma siamo certi che un insieme di culture sia converso in questa ricorrenza così ricca ed emblematica per dei motivi ben precisi, e, grazie all’opera di restaurazione culturale della Chiesa, gli antichi simboli e le antiche tradizioni hanno continuato a persistere fino ai giorni nostri, permettendoci di ammirare e apprezzare usi, costumi e culture di popoli esistiti in un passato fin troppo lontano per poterli vivere di persona.

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