Ma che cosa succede a stimati e apprezzatissimi politici che, non appena eletti a segretari del PD, sembrano perdere il senno e lavorare per il suicidio collettivo del partito che dovrebbero, invece, portare al successo? Più in particolare: che cosa sta accadendo a Enrico Letta? Come quasi tutti i suoi predecessori, nonostante sia seduto ad un tavolo di tresette è convinto di giocare a traversone (o “tresette a perdere”: gioco in cui vince chi conquista il punteggio peggiore)?
Premetto una convinzione. Un partito politico non dovrebbe mai inseguire il consenso in quanto tale. La democrazia funziona bene se ciascuno schieramento dichiara apertamente la propria visione del mondo e il modo che propone per raggiungerla, e poi gli elettori scelgono quale delle alternative appare più consona ai propri desideri. La strategia opposta (quella di dire solo quel che, secondo i sondaggi, piace alla gente) porta a due gravissimi danni per il sistema: in primo luogo si perde ogni coerenza in quel che si propone, perché si pensa solo a dar voce ai pruriti del momento dell’elettorato. In secondo luogo, inevitabilmente si perde la ricchezza di alternative, perché tutti i partiti iniziano a convergere verso i medesimi slogan.
Tanto premesso, bisogna, però, rendersi conto che un partito politico, per realizzare il proprio programma elettorale, deve raccogliere voti ed avere il maggior numero di rappresentanti in Parlamento. Sembra un’osservazione banale, ma banale non è. Come si fa a farsi eleggere? Presentando il proprio programma politico, culturale, ideologico. Raccontando agli elettori che cosa si vuol fare, che cosa si propone di cambiare, dove si vuol portare il Paese.
Le due osservazioni sopra esposte non sono contraddittorie, ma richiedono un adeguato coordinamento. Questo significa, in due parole, che: per chiedere i voti degli elettori non devo inventarmi obiettivi o strumenti che non sono coerenti con l’anima del mio partito ma, nella comunicazione elettorale, devo avere l’accortezza di presentare le proposte di cui mi faccio portatore secondo un ben ragionato ordine di priorità, perché è da quell’ordine che gli elettori decifreranno le priorità politiche del mio partito e, a monte, l’interesse di chi (individuo, gruppo o classe) il mio partito sta perseguendo.
Lo Ius Soli
Facciamo un esempio. Esiste un fatto: da marzo 2020 il Paese è strangolato da cicli di misure di contenimento della pandemia da coronavirus. Il numero dei senza lavoro e dei bisognosi è aumentato in maniera rilevante. L’economia sta scivolando rapidamente verso il baratro, almeno in alcuni settori. Il sistema sanitario ha mostrato carenze inaccettabili, soprattutto in alcuni settori ed in alcune regioni. Tutti i processi decisionali, anche in situazione di crisi, sono chiaramente apparsi avvelenati da interessi particolari, conflitti di interessi e chi più ne ha più ne metta. In questo contesto, quale potrebbe essere la prima proposta di un neo-eletto segretario di un partito che aspira al governo? Una legge sullo ius soli sicuramente si posiziona tra gli ultimi posti in classifica.
Attenzione: non sto dicendo che l’idea sia sbagliata né contestando la proposta in sé (in realtà, non voglio assolutamente entrare nel merito). Sto dicendo altro. È certamente giusto e utile riparare un rubinetto che perde, perché rappresenta uno spreco e alla lunga potrebbe causare danni. Non lo considererei una priorità mentre la casa brucia, però. Vedere un incendio che avvampa e un tizio all’interno dell’abitazione che smonta il rubinetto non mi fa pensare ad una persona scrupolosa, ma ad un suicida. O, peggio, ad una persona con una grave difficoltà nel definire l’ordine delle priorità.
L’Erasmus europeo
Ma era la prima proposta. Magari la seconda è più accorta? ERASMUS obbligatorio a tutti gli studenti universitari. Cominciamo dal versante dell’offerta: abbiamo un sistema universitario drammaticamente sottofinanziato. Centinaia di abilitati all’insegnamento universitario in prima e seconda fascia che non verranno mai chiamati nei ruoli. Una terribile guerra “tra poveri” nei ruoli (gli incentivi economici alla chiamata e all’upgrade dei ricercatori si sta traducendo in una mannaia sulla carriera dei professori associati). La sostanziale assenza di nuove leve desiderose di darsi alla carriera accademica (hanno ragione loro, a queste condizioni, ma in vent’anni l’università italiana si troverà senza professori, lo si dica chiaramente). Veniamo alla domanda: le famiglie sono sempre più povere. I laureati in Italia sono sempre meno e sempre più nel fondo delle classifiche europee. Abbiamo un serio bisogno di ripensare la formazione della cittadinanza attiva e del pensiero critico, che è obiettivo sempre meno considerato, favorendosi invece l’obiettivo di formare lavoratori per l’adempimento di mansioni pratiche e una conoscenza omologata costruita su slide e quiz a risposta multipla.
Non dico che l’ERASMUS non sia formativo. L’ho fatto io stesso, sia come studente che come docente, in entrambi i casi con profitto. Ma inserirlo obbligatorio per tutti? Enrico, lascia che io Ti parli direttamente: sai questa proposta come suona alle orecchie dell’elettorato medio, delle famiglie normali, di quelli che spostano milioni di voti? Suona così: o si dice che l’ERASMUS per tutti è obbligatorio e te lo devi pagare da solo, per cui l’università torna formalmente ad essere un luogo cui possono accedere solo i benestanti di famiglia, che possono permettersi di sostenerne il costo. O si dice che l’ERASMUS per tutti è finanziato con la fiscalità, cioè con le tasse. E questo significa che nella casa Italia che brucia, il segretario del PD vuole usare una quantità di danari spaventosa per cambiare tutti i rubinetti, perché quelli vecchi non gli piacciono più.
Per l’amor del Cielo, lo capisco perfettamente qual è il senso dell’ERASMUS obbligatorio: aprire i nostri studenti universitari al mondo, all’Altro, alla tolleranza, alla multiculturalità, al pensiero transfrontaliero, alla fratellanza tra i popoli. Messa così, ovviamente, lo spirito della proposta mi trova assonante. Però, ripeto: la proposta suona come distribuire libri di poesie alla mensa della Caritas. Le poesie sono belle, ma in quel contesto e a quelle persone non servono a nulla e, anzi, molto probabilmente il gesto verrà preso come classista e offensivo. La famosa storia delle brioches al popolo che non ha il pane – frase che, peraltro, sembra che Maria Antonietta non abbia mai pronunziata.
Il voto ai sedicenni
Sul voto ai sedicenni…non riesco nemmeno a fare ironia. Cambiare i rubinetti mentre la casa brucia sembra addirittura un gesto virtuoso davanti a questa proposta. Inutile. Immotivata. Incomprensibile nei fini. Fuori contesto.
La conclusione seria…
Avevo in mente due conclusioni per questa riflessione. Non sono riuscito a scegliere quale fosse la migliore, per cui le riporto entrambe. Quella seria: caro Enrico, in questo momento porti sulle spalle una responsabilità grande, quella di guidare uno dei pochi, pochissimi partiti civili, che si fanno portatori di idee di apertura, tolleranza e libertà. Non è una responsabilità da prendere alla leggera. Per favore, non andare solo dove ti porta il cuore, ascolta attentamente anche la testa. E non solo la testa di quel ristretto gruppo della gauche caviar (radical chic, sinistra col rolex etc.) che pensa al “popolo” dall’attico in centro; che propone l’accoglienza dei migranti ma solo dove non abbiamo casa noi (ricordi la vicenda di Capalbio?); che abbandona una battaglia di civiltà sul corpo delle donne e sulla non commerciabilità della vita in favore di una ristretta parte del proprio elettorato, che sostiene il cosiddetto “utero in affitto”.
…e quella ironica
Forse meglio, però, quella ironica: caro Enrico, complimenti, già pochi attimi dopo esserti seduto sulla sedia del segretario nazionale sei entrato appieno nello spirito che ispira il PD ormai da decenni: lavorare alacremente per perdere le elezioni (vedasi il mio articolo precedente). Mi permetto, al proposito, di dare un mio modestissimo contributo: non manchino, nelle prossime settimane, proposte altrettanto autolesioniste, impopolari e anche vagamente chic che possano far aumentare il senso di antipatia che andate ormai coltivando da tempo. Una bella riforma della legge elettorale, per esempio, ma anche su questo sei stato bravo e ti sei portato avanti.
Forza e coraggio. Non sarà facile, visto il livello degli avversari, ma lavorando sodo, forse il PD riuscirà a perdere (anche) le prossime elezioni.