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Speaker's Corner

Demografia, verso dove? Prove generali di decrescita (in)felice

Venerdì 19 febbraio i principali quotidiani hanno riportato i dati demografici dell’ISTAT relativi all’anno 2015. Da quanto scritto, emerge il seguente quadro: mentre le nascite sono ai minimi dal 1861 (488 mila), il numero di decessi è il più alto dal secondo dopoguerra (653 mila). Il tasso di fecondità è sceso, per il settimo anno consecutivo, a 1.35 figli per donna. La speranza di vita alla nascita è diminuita sia per gli uomini (a 80.1 da 80.3) che per le donne (a 84.7 da 85). Cresce il numero degli emigrati: nel 2015 hanno lasciato il Paese 179 mila residenti italiani. Per contro, sono aumentati di 39 mila unità gli stranieri residenti (che in totale rappresentano l’8.3% della popolazione residente). Se si considerano le stime ISTAT del 2011 e quelle ONU del 2012, che prevedevano per il 2015 una popolazione di, rispettivamente, 61.6 e 61.1 milioni di abitanti, il dato attuale di 60 milioni e 656 mila abitati al 1 gennaio 2016 pone non poche questioni. Si tenga infine presente che l’ONU stimava, nel 2012, una flessione a 60.8 e 60.5 milioni per il 2040 e il 2045. Nel 2015 le stime sono invece scese, individuando una probabile flessione a partire già dal 2020, e stimando una popolazione di 58 milioni nel 2040 e di 57.3 milioni nel 2045. Si tratta evidentemente di proiezioni suscettibili di ulteriori correzioni (i dati sono reperibili presso il sito http://esa.un.org/unpd/wpp/).

Cosa significa tutto ciò? I giornali hanno già iniziato a parlare di “allarme demografico“, lanciando un messaggio per certi aspetti ingigantito, per altri tristemente azzeccato. Non si dimentichi innanzitutto che tutte le storiche crisi demografiche si sono caratterizzate per la repentinità e la brutalità del fenomeno. Nella pressoché totalità delle volte, cause delle crisi demografiche furono guerre, epidemie e carestie. Nel parlare di allarme demografico, non si può dunque ricondurre l’attuale situazione italiana, sempre inserita in un più ampio e mitigato contesto europeo, alla casistica delle passate crisi demografiche. È pur tuttavia indubbio che questi dati sono sintomatici di una situazione critica, se si vuole embrionale: le radici storiche, culturali, politiche, economiche e sociali di tale condizione si possono certo rinvenire già nel secolo scorso, forse addirittura prima. Sarebbe comunque inutile, o quantomeno lungo e dispendioso, andare ad analizzare tutte queste cause prime. Resta in ogni caso un dato ineludibile: il 2015 vede, dopo il secondo dopoguerra, una diminuzione della popolazione. Gli unici due precedenti si verificarono tra il 1986 e 1987, e tra 2000 e 2001. Nondimeno, mentre in questi due casi la diminuzione era avvenuta in un generale contesto di relativa crescita demografica, proprio la curva demografica dimostra oggi come, se non siamo arrivati a un punto d’inversione, stiamo inevitabilmente avvicinandoci (cf. grafico). L’Italia va dunque verso la decrescita demografica? È difficile rispondere con certezza, i dati dell’ISTAT inducono comunque a intendere questo. Dire i termini precisi per cui ciò avverrà è del resto impossibile. Meno infattibile è constatare come anche il fenomeno dell’immigrazione, tanto declamato da diverse parti per l’impulso positivo che pareva dare alla crescita demografica, non riesca ad arginare l’inesorabile declino della popolazione italiana, così come di quella europea (si vedano ancora in proposito le stime ONU per i prossimi decenni).Italy

Diverse sono alla fine le conclusioni cui si può arrivare. Sbilanciandomi più di quanto servirebbe, arrivo a sostenerne alcune un po’ amare: il continuo invecchiamento della popolazione italiana – ed europea – unito alla fertilità sempre più bassa saranno due delle cause principali del tramonto del Vecchio Continente. Crisi economica, inettitudine politica, calo demografico, nella più ampia crisi dei valori postmoderni, segneranno quasi sicuramente la fine della grandeur del nostro Occidente, così come queste stesse condizioni segnarono la fine di grandi imperi, primo fra tutti quello Romano d’Occidente. La parabola dell’Occidente europeo, possiamo iniziare a pensare, s’avvia alla sua conclusione.

5 comments

tartarini (Italy) 22/02/2016 at 13:03

Salve il problema principale non è essere di più o di meno* ma la distribuzione dell’età. è qui il casino cioè manedere una caterva di pensionati.

* i finlandesi sono di meno i pakistani di più.

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Filippo Massari 22/02/2016 at 13:52

Non credo che l’articolo faccia riferimento al numero di abitanti in sé, ma più all’evolversi di tale statistica: è importante l’aumento o la diminuzione della popolazione (ciò che appunto l’articolo discute) e non il numero di abitanti. Un aumento o una diminuzione della popolazione, infatti, influenza la sostenibilità delle pensioni. Anche quando si parla di distribuzione dell’età bisogna stare molto attenti: lei fa notare tramite il paragone tra Finlandia e Pakistan che non è detto che il numero di abitanti costituisca un problema dal momento che i finlandesi sono meno dei pakistani, tuttavia il suo contrapporre la distribuzione dell’età al numero di abitanti come misura più appropriata si scontra col fatto che la popolazione pakistana è in media e in mediana ben più giovane di quella finlandese.
Personalmente credo che il problema di sostenibilità del sistema pensionistico a cui fa riferimento lei sia molto complesso e dipenda da molte variabili oltre alle statistiche demografiche discusse sopra (tra le tante: la lunghezza della vita attiva, il contributo alla crescita reale portato dalla generazione di pensionati, l’equità attuariale dell’intero sistema, eccetera).
A mio modo di vedere l’articolo può portare a riflessioni riguardo alcuni aspetti del sistema pensionistico, ma non può rispondere in maniera esaustiva a quel tipo di problema. Sta di fatto che le conclusioni trattano di altro.

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Paolo Benedetti 23/02/2016 at 06:59

Articolo breve, che volutamente non approfondisce, ma sufficiente per le corrette concusioni a cui arriva.
Credo che l’articolo voglia essere un sassolino lanciato nell’acqua al fine di proporre ulteriori e più approfondite riflessioni su di un tema che può celare la profondità del “vaso di pandora”.

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Gianuario Cioffi 23/02/2016 at 12:42

Secondo me, siamo ancora in tempo ad invertire la tendenza con adeguati sostegni alla genitorialità, con congedi di maternità e paternità UGUALI e soprattutto usufruibili in tranches, ma che abbiano una durata complessiva di almeno dieci mesi per almeno i primi due figli.
E poi, cercare di far tornare gli espatriati a casa, ma anche convincere i meridionali a tornare al sud ( qui però si apre un altro discorso)

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walter 25/02/2016 at 08:53

Tutto si riconduce alla grande illusione della società occidentale che sia possibile all’infinito vivere senza produrre e sfruttando il lavoro di qualcun altro.
Lo sta facendo l’inghilterra che pensa di poter vivere di sola finanza, e lo facciamo qui in italia dove la popolazione occupata è di quasi 22.500.000 su 61 mln di abitanti.
Occorrono servizi e benefici per le famiglie con figli, e proporre lavori sociali anche a tempo parziale alla massa dei pensionati e dei nullafacenti.

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