La lotta al terrorismo, al giorno d’oggi, va combattuta su due fronti: sul fronte esterno, attraverso la strategia militare; sul fronte interno, attraverso la strategia della prevenzione.
Non mi soffermerò a discettare di guerra, di droni, di truppe di terra e di flotte navali, considerata la confusione dimostrata dalle stesse istituzioni su quale sia la linea da seguire per contrastare le milizie dello Stato Islamico. Dal punto di vista della prevenzione, vorrei invece spendere qualche parola, partendo dalla mia realtà locale di appartenenza, quella di Milano.
Il prossimo 28 febbraio scadrà il bando con cui il Comune ha messo a disposizione delle associazioni senza scopo di lucro e con finalità religiose due aree e un immobile della città per la realizzazione di nuovi luoghi di culto. Non è ancora certo, ma è probabile che, almeno in una delle due aree, sarà un’associazione islamica ad aggiudicarsi il bando. Tale prospettiva ha messo all’erta i rappresentanti delle istituzioni territoriali, i quali vedono nell’eventualità della costruzione di una moschea – o, in ogni caso, di un centro culturale islamico – una minaccia per la sicurezza dei propri cittadini.
Personalmente, ritengo che il problema debba essere affrontato in modo lucido, razionale ed equilibrato. Resto sempre sgomento dinanzi alla pochezza argomentativa di chi si limita a rispondere: “Vadano a pregare a casa loro, che se noi dovessimo andare là col cavolo che ci farebbero costruire una chiesa”. In molti casi, peraltro, coloro che si esprimono in questi termini, si ricordano di essere cattolici soltanto in occasione di queste esternazioni, dimenticandosi di frequentare una chiesa o di vivere secondo i canoni della loro presunta fede per tutto il resto dell’anno. Se c’è un motivo per il quale sono orgoglioso di appartenere alla tanto controversa “società occidentale” è proprio perché è una civiltà fondata sul rispetto della libertà e della tutela dei diritti civili e umani. Nessun discorso sulla mancata reciprocità di trattamento potrà farmi pensare che regredire, impedendo ad altre persone di professare il proprio credo religioso e di avere un luogo di culto, sia una buona idea.
Vietare ai musulmani di avere un proprio luogo di culto, oltre a costituire un vulnus alla libertà religiosa, risulta di scarsa utilità, considerato che gran parte dei jihadisti odierni si influenzano e si formano sul web e non nelle moschee, grazie anche alla forte ed elaborata campagna mediatica posta in essere dallo Stato Islamico.
D’altro canto, non si può nascondere che l’assegnazione del bando in discorso ad alcune associazioni in gara possa comportare dei rischi e sarebbe, pertanto, assolutamente da evitare, quantomeno in un’ottica di prevenzione. Tra le associazioni iscritte al bando, infatti, vi sono, tra le altre, quella afferente al centro culturale di viale Jenner e quella del Caim, un coordinamento che raggruppa una ventina di associazioni islamiche milanesi.
Con riferimento alla prima sigla, sebbene alcuni membri della sua comunità abbiano partecipato alla manifestazione di solidarietà per le vittime dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo, bisogna tenere presente che il centro di viale Jenner, già dalla seconda metà degli anni Novanta, è stato il crocevia di imam integralisti, predicatori di odio, e di fedeli che hanno suscitato l’attenzione delle forze dell’ordine, in quanto sospettati – ed in alcuni caso condannati – di aver falsificato documenti e favorito il passaggio di terroristi dall’Italia verso le zone di guerra del Nordafrica e del Medio Oriente. Mi riprometto di approfondire quanto appena affermato in un apposito articolo.
Quanto al Caim, il coordinamento è accusato di avere legami stretti con la controversa sigla dei Fratelli Musulmani, organizzazione conosciuta per le posizioni radicalmente panislamiste, che parrebbe inneggiare al conflitto armato ed alla jihad, e che per questo starebbe subendo una dura repressione da Al-Sisi in Egitto.
A dire il vero, di tutte le associazioni di musulmani partecipanti alla gara, soltanto una, oltre ad aver sottoscritto la Carta dei Valori di cui al dm 23 aprile 2007, rientra tra le associazioni dotate di personalità giuridica riconosciute dal Ministero dell’Interno: si tratta della Co.re.is – Comunità religiosa islamica – guidata dall’imam Yahya Pallavicini.
Nata nel 1993 come Associazione internazionale per l’informazione sull’Islam, e assunta l’attuale denominazione nel 1997, la Co.re.is. rifugge da sempre ogni integralismo ed è impegnata nella promozione del dialogo tra mondo islamico ed istituzioni, nonché della convivenza pacifica tra culti religiosi. Il suo leader, peraltro, gode della stima di personalità del calibro di Stefano Dambruoso, magistrato in prima linea nella lotta al terrorismo di matrice islamica, la cui competenza è riconosciuta a livello internazionale.
Nel bando in discorso, l’essere riconosciuti dal Ministero dell’Interno e l’aver sottoscritto la Carta dei Valori di cui al dm 23 aprile 2007, unitamente alla tracciabilità finanziaria dei movimenti, costituiscono soltanto criteri preferenziali, che debbono essere valutati da parte dell’amministrazione ai fini dell’aggiudicazione, ma non sono requisiti necessari per la partecipazione alla gara.
Nonostante ciò, se è vero che, come afferma lo stesso Dambruoso, la lotta al terrorismo deve essere condotta, per quanto possibile, nel rispetto delle leggi democratiche e delle libertà costituzionalmente garantite, riconoscere che soltanto la Co.re.is può essere titolare del diritto alla costruzione di un luogo di culto, è l’unico modo per garantire, usando le parole dello stesso magistrato, “il giusto equilibrio tra il diritto alla sicurezza e la sicurezza dei diritti“.
Mi auguro di cuore che l’amministrazione milanese tenga in considerazione che soltanto attraverso questo bilanciamento fra interessi contrapposti, la lotta al terrorismo potrà essere condotta anche sul terzo fronte, di segno opposto ma di importanza eguale a quello militare e a quello preventivo: il fronte del dialogo e della collaborazione.