È notizia di pochi giorni fa la condanna inferta in sede civile a Piero Ostellino per alcuni articoli riguardanti il processo Ruby pubblicati su Il Corriere della Sera nel 2013. Ostellino scrisse che la condanna comminata a Berlusconi nel processo di primo grado (poi annullata in appello) era dettata da “animosità politica” e ora dovrà risarcire due giudici con il pagamento di una sanzione economica – spropositata – del valore di 140.000 euro.
Ciò che lascia basiti è poi la motivazione, speciosa, addotta per condannarlo: Ostellino avrebbe dovuto fornire le prove di quanto affermato e la sua sarebbe stata – nientemeno – che “una vera e propria aggressione dei giudici del processo Ruby”.
In un paese pienamente civile, quale evidentemente noi non siamo, le azioni e le decisioni della magistratura sono passibili di critica senza dover incorrere per questo in un processo o addirittura in una condanna. Nel caso specifico Ostellino riteneva – personalmente discordo, ma è comunque pienamente legittimo pensarlo – che a muovere i giudici che hanno condanno Berlusconi nel processo Ruby fosse un pregiudizio ideologico (alimentato anche da una campagna scandalista) e che il processo fosse stato imbastito al solo scopo di screditarlo. Per quanto le opinioni e convinzioni di Ostellino siano nel merito assolutamente opinabili (e su queste colonne in passato io l’ho duramente criticato), egli aveva tutto il diritto di pensarlo e di scriverlo, e non doveva dimostrare alcunché (quali prove dovrebbe fornire un editorialista per un’opinione espressa non è dato sapere…).
La condanna di Ostellino, perché qualche magistrato suscettibile si è risentito adendo le vie legali, ha invece il sapore della rivalsa, oltre che di una forma intimidatoria di censura alla libertà di pensiero verso un giornalista da sempre critico nei confronti dell’operato della magistratura; e per di più di destra.
A questo proposito, dovrebbe destare indignazione, ma non certo sorpresa, lo studio sulle cause per diffamazione curato da Moris Ghezzi, dell’Università Statale di Milano, secondo cui quando è un magistrato a intentare una causa la domanda di risarcimento viene accolta nel 69% dei casi contro il 47% dei comuni cittadini; se è un giornalista ad essere accusato di aver diffamato una toga, egli viene condannato nell’83% dei casi (media che scende al 40% se la diffamazione riguarda altri cittadini). Per quanto riguarda l’entità della sanzione lo studio dimostra che in sede civile il comune cittadino ottiene in media 31.501 euro, mentre il magistrato 36.823; il divario aumenta in modo consistente in sede penale: qui diventano addirittura 9.829 contro 28.741. Un processo per diffamazione, infine, si conclude mediamente in 44 giorni se riguarda un “normale” cittadino, 36 se ad esserne parte in causa è un magistrato.
Sono due le lezioni che si possono trarre dall’ignominiosa vicenda che riguarda Ostellino (a cui va tutta la nostra incondizionata solidarietà).
La prima è che, come detto sopra, non c’è solo la casta politica, anche la magistratura in Italia agisce come una corporazione; una magistratura che, ed è questo un fatto molto più grave, grazie alla discrezionalità abnorme di cui dispone, esercita un potere di fatto illimitato e irresponsabile, che mina le fondamenta di uno Stato di diritto, in cui i giudici sottostanno alla legge, che è (o meglio, dovrebbe essere) uguale per tutti.
La seconda ripropone ancora una volta la necessità, in un ordinamento liberale, di delegificare e depenalizzare i cosiddetti reati di opinione, e la diffamazione. Faccio mia la proposta contenuta in un appello di solidarietà nei riguardi di Ostellino pubblicato nei giorni scorsi: la diffamazione andrebbe perseguita solo in presenza di dolo specifico e dovrebbe spettare a chi si considera diffamato dimostrarne l’esistenza.
Ps: indagare Salvini per aver definito, con la consueta rozzezza che lo contraddistingue, “una schifezza” la magistratura nel suo complesso – giudizio questo che immagino la maggioranza degli italiani sottoscriverebbe – è qualcosa che ha dell’incredibile. Salvini non è sicuramente credibile dal momento che ha fatto una simile affermazione dopo che il suo braccio destro Rixi è stato opportunamente rinviato a giudizio poiché, secondo l’accusa, avrebbe utilizzato soldi pubblici – i rimborsi destinati ai consiglieri regionali – per spese private. Ma che dire di quei magistrati (Spataro ecc) che perdono tempo dietro alle sue sparate demagogiche?
7 comments
Elia Dall’Aglio penso che lei si sia premurato accantonando 140.000 € perché chi è vendicativo per natura in lei potrebbe trovare una sicura fonte di reddito.
Da giornalista pluridecennale non sono affatto d’accordo.
Ne ho abbastanza di vedere la dignità di questa professione usata come scudo per poter sparare a zero senza conseguenze.
Se Ostellino avesse davvero a cuore la libertà di stampa, avrebbe più cura di rispettare i criteri etici della stampa stessa, innanzitutto evitando di usare un quotidiano nazionale per diffamare gente che lavora più seriamente di lui.
Me la ricordo bene la campagna anti-giudici di Ostelliniana memoria!
Assieme al servile liberalismo ad personam di Galli della Loggia, Panebianco, Pigi Battista et al. sono la ragione per cui ho smesso di leggere il Corsera, se non quando obbligato per lavoro.
Quanto alle statistiche che citi, dimostrano solo (come è ovvio!) che quando un magistrato adisce alle vie legali sa quello che sta facendo (e sa di aver ragione o non lo farebbe), mentre un cittadino meno competente di giurisprudenza spesso equivoca il proprio punto di vista con la giustizia, salvo poi farsi ricordare da una corte che i punti di vista sono più di uno e che no: non ha ragione.
Ti definisci liberale.
La libertà la garantisci con le regole perché senza regole vige la legge del più forte, secondo la quale un’influente editorialista del principale quotidiano nazionale può impunemente fare il bullo con un servitore dello Stato che sta tentando di garantire il rispetto della legge anche da parte dell’uomo più potente del Paese.
Per fortuna l’Italia non è (ancora, temo!) così liberale!
P.S.
Perdonerai lo pseudonimo, ma rifiuto di lasciarmi trascinare ulteriormente in questo genere di polemiche e soprattutto odio l’abitudine di giudicare un’opinione sulla base di chi la esprime.
Ha ragione Eduardo, la sua opinione è perfettamente balorda anche utilizzando uno pseudonimo, e per giudicarla tale non serve sapere il nome che sta dietro.
Un minestrone di opinioni (quindi opinabili), presunti assunti non supportati da argomentazioni, e punti esclamativi a mo di sale nella zuppa.
Complimenti vivissimi.
Il classico bue che dice cornuto all’asino.
Applausi a scena aperta per Eduardo.
Il mitico Ostellino aveva scritto: “ostilità antropologica di fondo, quasi ai confini del
razzismo, da parte di un establishment reazionario, e dai costumi non sempre
propriamente esemplari, nei confronti di un outsider sociale e politico discusso, e
discutibile quanto si vuole per i propri stili di vita, ma pur sempre votato da milioni di italiani”.
A parte la discutibile affermazione per cui basta che uno sia votato perché si possa pure fare a meno di parlarne, a quali costumi allude? Perché non esemplari? Perché i magistrati che hanno emesso quella sentenza non avrebbero dovuto offendersi per essersi sentiti dare dell’imparziale, razzista, reazionario?
Di questo parliamo; non di pugnette mentali, eterodosse.
Grazie Eduardo II
Ah, io sono il secondo Eduardo, persona diversa dal primo, al cui commento ho applaudito.