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Se “le cose” oggi vanno meglio di ieri

«In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere», ha scritto Yuval Noah Harari (21 lezioni per il XXI secolo). Ed è lucidità affermare che “le cose” oggi vanno molto meglio rispetto ad una generazione fa. È un dato di fatto che si vive di più, si mangia meglio, c’è meno guerra, c’è meno fame nel mondo, e che le diseguaglianze su scala globale – non regionale – si stanno assottigliando. Certo, questo non vuol dire che vada tutto bene. Solo “meglio”. Il progresso continua a passo spedito: domani sarà meglio di oggi. Un evento cruciale che ha consentito una particolare accelerazione in termini di efficienza – produttiva e non solo – nella Storia umana è stato la rivoluzione industriale del diciottesimo secolo, che ha consentito un generale progresso inedito ed incrementale. Deirdre McCloskey (Why Liberalism Works) preferisce chiamarla “grande arricchimento”, dal momento che questa rivoluzione non è finita ed è tuttora in atto. L’economista sostiene che ad esempio oggi – al netto della pandemia di Covid-19 – negli Stati Uniti circa il quindici per cento dei posti di lavoro scompare ogni anno e che questa non è una cattiva notizia, quanto sintomo di un’economia dinamica che contribuisce alla prosperità di tutti.

Due terzi dei bambini che entrano a scuola oggi un domani faranno lavori che attualmente non esistono, secondo Edward Luce (The Retreat of Western Liberalism). Questo vuol dire che il mondo è trainato dal capitalismo della conoscenza. La rivoluzione industriale non ha sradicato per sempre la povertà, ma l’ha assottigliata per molti. McCloskey ha spiegato che a partire dall’Ottocento molti beni e servizi sono diventati disponibili per milioni di persone. Inoltre, oggi siamo molto più produttivi di un secolo fa; e «i maggiori miglioramenti nei poteri produttivi del lavoro […] sembrano essere stati gli effetti della divisione del lavoro», come già ricordava Adam Smith (The Wealth of Nations). Il tanto vilipeso sistema della fabbrica – che ha tolto dalla miseria milioni di analfabeti e poveri, secondo Robert Hessen (Capitalism: The Unknown Ideal) – «ha portato ad un aumento del tenore di vita generale, a un rapido calo dei tassi di mortalità urbana e a una diminuzione della mortalità infantile e ha prodotto un’esplosione della popolazione senza precedenti.»

Il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie è ancora oggi un fattore che salva parecchie vite. Nel ventunesimo secolo, le malattie infettive uccidono meno persone dell’invecchiamento, le violenze meno degli incidenti e le carestie meno dell’obesità, ricorda Harari. Hans Rosling (Factfulness) spiega invece che oggi le morti dovute ai disastri naturali sono dello 0.1 per cento di tutte le morti, quelle da incidenti aerei lo 0.001, da assassini 0.7, da terrorismo 0.05. La terzultima e la penultima categoria non sono mai state così basse nella Storia. Secondo Harari, nella società agricola la violenza provocava il quindici per cento dei decessi; a inizio ventunesimo secolo il cinque; oggi l’uno. Le cose si evolvono. “Vanno meglio” rispetto a un tempo. «Fu solo dopo l’avvento del vapore che la Gran Bretagna si rivolse decisamente contro la tratta degli schiavi», ricorda Luce; in questo senso, anche i lavoratori sono stati progressivamente più protetti rispetto agli esordi del sistema industriale. Le grandi rivoluzioni umane richiedono tempo e gli elementi propulsori del grande benessere – del grande arricchimento – sono l’economia di mercato e l’ingegno dell’individuo.

Come sosteneva Friedrich von Hayek (The Road to Serfdom) anche il lavoratore più sfortunato trae maggiore beneficio da una economia di mercato piuttosto che da una pianificata. La società libera offre molti più vantaggi – ed è un passo avanti rispetto alle società medievali o totalitarie – e consente mobilità sociale. Soprattutto, spiega Alberto Mingardi (Contro la tribù), «fornisce un numero crescente di beni e servizi a prezzi tendenzialmente decrescenti: i lussi di due generazioni fa sono oramai consumi alla portata di tutti.» L’economia di mercato ha consentito di fare balzi da gigante in termini di produttività, di consumo e di soddisfazione delle preferenze dei singoli individui. Ad esempio, Mingardi (La verità, vi prego, sul neoliberismo) ricorda che il salario medio in Polonia era di venti dollari nel 1989, mille del 1990, 3’100 nel 2009. Dal profilo economico, “le cose” in Polonia vanno meglio rispetto a quando c’era la Cortina di ferro. Nel 1981, le persone che vivevano con meno di un dollaro al giorno erano il quaranta per cento della popolazione mondiale secondo Fareed Zakaria (The post-American world); ventitré anni dopo la percentuale era al diciotto per cento. Dal 1990 al 2013 i poveri assoluti sono diminuiti del cinquantotto per cento.

Miliardi di individui sono usciti dalla povertà gli ultimi trent’anni. E i miglioramenti avvengono non solo nei paesi del Terzo Mondo, ma anche in Occidente. Secondo Mike Perry (American Enterprise Institute, 12 settembre 2018) nel 1967 solo il nove per cento delle famiglie statunitensi aveva un reddito complessivo di centomila dollari: quarant’anni dopo, nel 2017, il 29.2 per cento aveva un reddito sopra quella soglia. Le famiglie a basso reddito erano il 37.2 per cento nel 1967 e il 29.5 nel 2017. Secondo Robert Samuelson (Washington Post, 18 novembre 2018), nonostante la crisi finanziaria, dal 2000 al 2015 il quintile più ricco della popolazione americana ha visto aumentare i propri redditi del quindici per cento, mentre il quintile più povero del trentadue. Si potrebbe andare avanti all’infinito a snocciolare i miglioramenti in – quasi – tutti gli ambiti socioeconomici. Cooperazione e integrazione – globalizzazione – hanno dato una spinta verso molte trasformazioni, ideate e messe in atto in primis dall’azione dei singoli individui – non degli stati o dei partiti.

Viviamo in un’epoca decisamente migliore rispetto a quelle precedenti. “Le cose”, davvero, vanno meglio rispetto anche solo ad una generazione fa per milioni persone, che mai tornerebbero ad allora; resterebbero nel loro presente, dove hanno la possibilità di crescere e svilupparsi al meglio, con più risorse e capitali – il che non vuol dire che non ci siano problemi di ordine diverso. Viviamo in un mondo di paura e incertezza, ma questi due elementi sono una costante di tutte le epoche. Parafrasando Harari, è lucidità rendersi conto del continuo progresso in un’epoca piena di distrazioni e informazioni irrilevanti. Chi ha paura, ha anche paura del futuro: e necessariamente vive le incertezze del presente con angoscia, senza rendersi conto degli immensi passi avanti che l’umanità nel suo complesso ha compiuto specialmente negli ultimi due secoli. Nel 1820 solo il dodici per cento della popolazione mondiale sapeva leggere e scrivere; centocinquant’anni dopo era il sessantotto; oggi è il novanta. «L’immagine di un mondo pericoloso non è mai stata trasmessa più efficacemente di adesso, mentre il mondo non è mai stato meno violento e più sicuro», nota Rosling. Un paradosso, questo come altri, di cui bisognerebbe liberarsi.

1 comment

Davide frdp 19/01/2022 at 16:55

Le “cose “sono migliorate negli ultimi anni vanno meglio grazie al miglioramento delle forze produttive ,che avviene non grazie al capitalismo, ma nonostante il capitalismo.
Difatti,il capitalismo ha esaurito qualsiasi possibilità di ulteriore progresso da circa un secolo,(prima guerra mondiale ,ma grazie al socialismo l’economia mondiale ha preso un’ampia boccata d’aria grazie alla diffusione di economie pianificate altamente efficienti ndopo la rivoluzione d’ottobre,con la borghesia che anche nei paesi in cui continuava a dominare ha dovuto attuare riforme economico politiche in senso socialista su pressione del movimento operaio(istruzione pubblica gratuita,welfare universalistico,tassazione progressiva,intervento statale in economia,maggiori diritti sindacali,rinuncia allo sfruttamento coloniale,gradualeriduzione delle discriminazioni sessiste,razziste e omofobe) che hanno causato quell’enorme aumento di capitale umano e materiale strumentale su cui ancora oggi si fonda la nostra economia.
Purtroppo però con gli anni 80 e novanta vi fu “un’inversione di rotta”ed il ritorno di un capitalismo sempre più rapace sta minando sempre di più la sicurezza del progresso futuro:il ritorno delle guerre imperialiste,il collasso ecologico ,l’aumento delle diseguaglianze,il rinascere dei fondamentalismi religiosi e dei nazionalismo,l’impoverimento delle vecchie potenze imperialiste,convertite al neoliberismo,che cercano lo scontrino con i capitalismo statalisti in ascesa aumenta il rischio di una guerra mondiale,mentre un’informazione sempre più oscura e propagandista,fa prosperare l’ignoranza di ritorno ,con sempre più ampie fette della popolazione che vedono alla xenofobia,al sovranismo ,all,’europoeismo,al liberismo,all’anticomunismo all’antivaccinismo e al terrapiattismo.
Tuttavia ,continuano a resistere le speranze di una ripresa della socialismo,testimoniata ad esempio dal graduale ritorno al poterne di movimenti progressisti in America Latina. (dove il modello dell’economia più efficace al mondo,quella cubana,spinge milioni di persone a lottare per liberarsi dal giogo statunitense e dal suo tragicamente inefficiente modello socio economico),dal diffondersi dell’anticapitalismo in Nordamerica ,Europa,Asia orientale ed Africa subsahariana,dalla sempre maggiore attenzione pubblica verso le pratiche socialiste già presenti nelle nostre società(il caso dei medici eroi ,che senza nessun interesse economico hanno sopperito all’inefficienza capitalista durante la pandemia,il rafforzarsi del volontariato che sopperisce alcaos del mercato erogando beni e servizi di prima necessità a titolo gratuito e solidale,le esperienze di condivisione delle competenze(software libero spesso ugualmente efficiente di quello brevettato dagli oligopoli capitalisti).
Occorre quindi ricominciare a percorrere la via comunista perche il benessere e la crescita economica diventino stabili e continui.
Occorre

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