Roma citta-stato? Non è una bufala, ma il fulcro della proposta di Roberto Morassut, sottosegretario all’ambiente.
Dalle colonne del Messaggero due mesi fa, il dem ha invocato un referendum per dare piena autonomia legislativa alla Capitale, i cui municipi si trasformerebbero in comuni nel quadro di un “federalismo metropolitano” e da comune la città otterrebbe dignità di Regione.
La Capitale diventerebbe una regione autonoma dal Lazio, sul modello di Berlino, che in Germania è un Land autonomo sullo stesso piano della Baviera.
Da un punto di vista meramente demografico la proposta ha i suoi perché: l’Urbe raccoglie 2,86 milioni di abitanti, più di Abruzzo, Friuli e Valle d’Aosta messi insieme, ma da un punto di vista nominalistico Regione Roma non regge affatto. Nel Lazio, poi, Zingaretti sarebbe costretto a trovarsi un altro capoluogo, ad esempio Viterbo, già città dei Papi, o Anagni, città del celebre schiaffo dei Colonna.
Valutazioni storiche a parte, non si può immaginare una Roma federale in uno stato centrale che bacchetta le regioni ogni volta che può, ricorrendo ai TAR tutte le volte che i presidenti di regione si avocano più autonomia di quanto il Governo intende riconoscere. Anche se Roma diventasse una simil-regione questo conflitto resterebbe, certo non vi sarebbero più problemi tra Raggi e Zingaretti, ma la burocrazia capitolina sarebbe lungi dal definirsi autonoma.
Tuttavia, come detto, nelle parole di Morassut il passo sarebbe ancora più lungo, giacché si insegue il modello Berlino, assimilabile al modello di Bruxelles o di Washington DC.
Il paese dunque viaggerebbe a tre velocità diverse. Roma sul piano federale, la quasi totalità delle regioni con uno statuto ordinario, mentre Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia-Giulia e Valle d’Aosta nel solco del loro statuto speciale.
Questo insieme scomposto di amministrazioni territoriali lo coordinerebbe un governo centrale, costretto a sentire lamenti ancora più forti di Lombardia e Veneto. Queste rispolvererebbero i vecchi slogan leghisti, “Roma Ladrona” in primis, pur di ottenere la maggiore autonomia desiderata.
Immaginando tuttavia che Zaia e Fontana stiano in silenzio, siamo sicuri che Roma abbia una classe
dirigente in grado di amministrare una realtà federale?
Non si tratta qui di un pregiudizio, la proposta di Morassut nasce dalla volontà di rendere la Capitale più governabile dagli stessi amministratori locali a cui Morassut appartiene (fu assessore di Veltroni), poiché oggi, dichiara il sottosegretario a Domani, “Nessuno vuole fare il sindaco. E si capisce: mancano gli strumenti legislativi per farlo”.
E qui casca l’asino, perché Roma una certa autonomia già la possiede, in virtù della legge Roma Capitale del 2009, ma anche questa non ci fosse stata, pare ipocrita dare la colpa a un presunto vuoto normativo piuttosto che all’incapacità dell’establishment capitolino di gestire la capitale senza giochi di potere o conflitti politici interni.
Il vero problema di Roma non è la presunta mancanza di strumenti normativi autonomi, ma che la Città è un piatto ricco desiderato da tutta la classe politica nazionale, che se ne serve da sempre come mezzo di propaganda. La vicinanza di Roma ai palazzi di potere è la grande maledizione dell’Urbe, la cui amministrazione locale, nel quadro di un sistema ultra-partitico, sarà sempre un po’ la sguattera del governo o dell’opposizione, col solo risultato, in caso di “federalismo metropolitano”, che il potere locale non avrà più contrappesi legali nella Regione Lazio o nel locale TAR.
Un paese a tre velocità non può funzionare se non si rivede interamente la Costituzione per dare un aspetto sì federale, ma esteso all’intero stivale. Nella migliore delle ipotesi ci vorranno anni, motivo per cui nel frattempo, come sostiene il deputato Riccardo Magi, +Europa, “Non possono decidere solo i romani di una questione che riguarda tutto il paese”.
Certo, urlare “Autonomia” può portare voti, Morassut, papabile sindaco, lo sa bene, ma senza una seria prospettiva di futuro della forma dello Stato, tutto ciò rischia di essere solo un inutile proclama elettorale in vista delle Comunali 2021 o, nel caso peggiore, l’inizio di una Babele amministrativa senza fine.