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Speaker's Corner

Burioni, il virologo celebrity

Roberto burioni

Domenica l’Espresso è uscito con un numero che fa i conti in tasca a Roberto Burioni, scoprendo che, grazie alle sue laute consulenze, il virologo star si è considerevolmente arricchito durante la pandemia. Secondo i calcoli squadernati da l’Espresso, i guadagni ammontano a un milione di euro, mercé società del calibro di Ferrari, Gucci, Snam. A stretto giro è arrivata la replica di Burioni tramite un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “In Italia ti perdonano tutto tranne la popolarità. In questi anni mi hanno ferito più gli attacchi di quelli che la pensano come me che quelli dei complottisti. Se la Ferrari mi chiede un aiuto dovrei dire di no?”.

Subito si sono scatenate le due tifoserie pro e contro: chi scandalizzato dall’affarismo del noto virologo e chi invece assai polemico nei confronti del – presunto – moralismo spicciolo del quotidiano fondato da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari.

Certo, c’è il precedente scellerato, con quel numero sui trafficanti di virus firmato da Lirio Abbate, sotto la direzione di Bruno Manfellotto: l’Espresso ha perso molta della sua credibilità dando credito (e imbastendoci su una campagna) all’inchiesta giudiziaria su Ilaria Capua. Ricapitolando, l’inchiesta si risolse nel nulla, o meglio con l’assoluzione di Capua; lei adì le vie legali contro il settimanale ma perse la causa e decise di abbandonare il Paese e andare a vivere negli Stati Uniti.

Qui, però, la notizia c’è, eccome (così come il conflitto di interessi denunciato da L’Espresso). Si dirà, Burioni non ha fatto nulla di illecito o deontologicamente sbagliato, anzi ha saputo capitalizzare nel modo per lui più redditizio le proprie competenze. Vero. Eppure, oltre a una questione di opportunità, rimane la sgradevole sensazione di un luminare che, anziché limitarsi a studiare, insegnare e fare ricerca o divulgazione scientifica (cosa questa tra l’altro che gli riesce molto bene), si comporta come una celebrità bizzosa, onnipresente in tv e nel dibattito pubblico, pronto a passare all’incasso. L’ospitata dalla Bignardi, che fa chic e non impegna, il libro sul Corona virus scritto insieme a Lopalco e pubblicato in tempi record in allegato al Corriere della sera (anche se i proventi sono gratuiti), e poi la presenza settimanale come ospite fisso da Fazio, val bene un ritorno di immagine su cui poter lucrare, in futuro o nell’immediato, oltre che un modo per appagare il suo ipertrofico narcisismo (non a caso è amico e politicamente vicino a un leader politico in declino, afflitto dalla stessa patologia; quel Renzi che lo voleva candidato nel Pd: lui ci pensò su e poi declinò).

Dicevamo delle comparsate in tv. Eh sì, perché l’Espresso non è stato l’unico a far le pulci a Burioni. Da sponde opposte, una settimana prima – ma allora, chissà perché, nessuno si scandalizzò! – Panorama rivelava che il professore ha affidato la sua immagine ad un’agenzia di marketing e comunicazione di Bologna attraverso cui impone un cachet anche per la sua presenza in televisione (sicché il Codacons, per una volta facendo una cosa giusta, ha chiesto lumi sul suo compenso come ospite di Che tempo che fa).

Proprio da Fazio, Burioni prese una cantonata sesquipedale che gli viene continuamente rinfacciata dai detrattori (vedi a fare il borioso?). A fine gennaio, sicuro del fatto suo, affermò che la possibilità di diffusione del virus in Italia era inesistente. Bastava dire: scusate, ho sbagliato. E invece no, a sentir lui, chi lo accusa è in mala fede e lo travisa volutamente. Evidentemente gli sfugge che uno scienziato non è un meteorologo né un veggente e se fa delle previsioni lo fa sulla base di stime e dati certi; altrimenti dovrebbe adoperare sempre il condizionale, trattandosi di ipotesi.

Tanto per fare un paragone, il suo collega Massimo Galli, anch’egli assiduo frequentatore dei salotti televisivi e dei giornali quanto e più di lui (ma non risulta sia diventato ricco per questo), ha ammesso a più riprese di essersi sbagliato: sui tamponi (da che era contrario è diventato favorevole) oppure sulla questione della temperatura estiva (dapprima disse che non avrebbe aiutato a mitigare il virus, salvo poi fare mea culpa). Altro uomo, altro stile.

Non ci fa velo l’antipatia. Per cui, a dispetto di questa topica, di qualche sbrocco sui social, degli insulti rivolti “alla signora del Sacco”, quella Gismondo che non ci aveva capito nulla e ciononostante si è guadagnata una collaborazione con il Fatto quotidiano, va dato atto a Burioni, una volta compresa la gravità della situazione e la minaccia incombente, di essere stato pressoché inappuntabile.

Benemerita fu anche la campagna che imbastì, anni fa, a favore dei vaccini, in un clima esacerbato da un manipolo di esagitati fanatici titillati da alcuni politici compiacenti (Salvini, Grillo ecc). Sembrava – e in un primo tempo lo fu – una formidabile e sacrosanta reazione all’uno vale uno, al rifiuto del merito e della competenza propugnati dal grillismo. Burioni è stato in prima linea nella battaglia contro i no vax, facendo strame delle teorie più scombiccherate in voga all’epoca, guadagnandosi stima e notorietà bipartisan. Il suo apporto, in questo senso, è stato estremamente proficuo.

Finché, adattandosi al livello di certi suoi improbabili interlocutori (Red Ronnie e compagnia) su cui era gioco facile maramaldeggiare, non si è trasformato anche lui in un leone da tastiera. Dall’argomentum ad res (sull’importanza fondamentale dei vaccini per la salute pubblica) si trascese in poco tempo all’argumentum ad hominem, a suon di insulti, ormai abusati, quali “cialtrone”, “analfabeta funzionale” et similia; un uno – due scagliato con veemenza al malcapitato di turno, no vax o semplice cittadino diffidente, sprovvisto di laurea e master e perciostesso interdetto a confrontarsi con il cattedratico marchigiano.

Da qui il metodo Burioni, che tanti danni ha arrecato all’autorevolezza dei cosiddetti competenti. Perché sarà pur vero che la scienza è anti democratica, come ripete spesso lui, ma il buon medico è quello che sa ascoltare, consigliare il paziente, persuaderlo della bontà delle proprie ricette, non quello che lo dileggia per la sua ignoranza in fatto di medicina.

Un metodo, quello di Burioni, che ha fatto scuola, soprattutto sui social – Twitter è il luogo prediletto per questo genere di baruffe – contagiando anche qualche esimio collega di altre discipline. Per lui è stato coniato addirittura un termine, “blastare” – mi pare che il primo ad utilizzarlo fosse stato Mentana -, ad indicare la prassi di “attaccare e zittire l’interlocutore dall’alto di una presunta superiorità intellettuale e morale”, così la Treccani.

Cotanta protervia ha reso Burioni quel che è oggi: un personaggio al centro della ribalta, divisivo, odiato o apprezzato a seconda dei gusti e delle preferenze politiche. Questo succede perché il personaggio Burioni ha soppiantato, messo in ombra il Burioni virologo. Lui risponderebbe da par suo che se è dove è – ordinario al San Raffaele, conteso da aziende blasonate – un motivo ci sarà (manco stessimo parlando di Alberto Mantovani, lo scienziato italiano più citato al mondo, a capo del dipartimento scientifico dell’Humanitas…) o che appunto la ragione è da attribuirsi all’invidia sociale degli italiani per chi ha successo.

Adontato dalle critiche e dalle inchieste giornalistiche, ha annunciato, sempre al Corriere, che osserverà il silenzio stampa fino all’autunno senza comparire più in televisione o sui giornali. Con tutto il rispetto, non ci mancherà.

1 comment

Aldo Mariconda - Venezia 11/06/2020 at 09:49

Più che un commento, una battuta: Marketinh is imagination, sosteneva Theodor Levitt, illustre professore di MKTG alla Harvard Business School!!

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