Fra tutte le storie di dissidenza interna, quella di Paragone nel Movimento 5 stelle ha un che di affascinante. In una delle settimane più deludenti per l’elettorato grillino, il senatore di Varese pone una pietra tombale sul duplice fallimento regionale, diffondendo via social una grottesca imitazione di Di Maio.
Sebbene sia quello prevalente, l’imbarazzo non è l’unico sentimento suscitato dalla visione del video. Piuttosto è curiosa la facilità, la leggerezza con cui il giornalista riesce a prendere le distanze dai suoi ex compagni di partito: «Sono degli incapaci? Sì, ma lo sapevano e lo sapevamo tutti – ci svela un Paragone reo confesso – Sapevamo che il Movimento 5 stelle non era fatto di gente strutturata [leggi “preparata”]». Seguono ironie e sberleffi indirizzati ai probiviri e a Di Maio, oramai derubricato a Nulla dal senatore. Ma per chi gli rimprovera di essere un po’ troppo duro con l’ex capo politico, lo stesso che fino a poco tempo fa, agli occhi di Paragone, sembrava un leader «intelligente e coerente», il giornalista ha in serbo una risposta ‘raffinata’: «quello è stato un riferimento letterario capito da pochi – spiega Gianluigi a Stasera Italia – Ho ripreso Michael Ende con la storia infinita e il mondo del Nulla: è una finezza letteraria».
Non sappiamo come una finezza letteraria possa sminuire delle parole pressoché inequivocabili. Di sicuro Paragone è una figura non meno ambigua delle sue stesse dichiarazioni; ambiguità che gli ha consentito di elevarsi a voce critica di riferimento per le frange più disparate del populismo. Il giornalista varesino ha infatti intrapreso una lenta ma cosciente trasformazione che lo ha portato a interpretare ruoli diversi, benché sempre sintonizzati con gli umori contingenti delle maggioranze elettorali.
E in quel ruggente ‘nordismo’ Paragone sembrava trovarsi assolutamente a suo agio: «Non credo che il Meridione voglia cambiare la testa» – aveva confessato malinconico Gianluigi dopo la fallimentare distribuzione del quotidiano al centro-sud. Il giornalista varesino è ora un piccolo alfiere della destra conservatrice, quella destra, per capirci, che evoca gli scritti di Oriana Fallaci come antidoto allo spauracchio dell’islamizzazione. Ma i tempi cambiano, e anche in fretta. Paragone infatti, nel giro di pochi anni, colleziona una serie progressiva di ‘avanzamenti’ di carriera: da La Padania a vicedirettore di Libero, da conduttore televisivo di Rai 1, con Malpensa Italia, a vicedirettore della stessa, per poi tornare di nuovo conduttore con L’ultima parola.
Questi sono anche gli anni in cui Paragone, tra le altre cose, tesse le lodi di Umberto Bossi, assurto a «gigante della storia», e stringe un sodalizio con Silvio Berlusconi, definito senza mezzi termini «il miglior politico italiano», salvo poi smentirsi, anche qui, in veste pentastellata: «Per me [Berlusconi] è un prodotto finito, scaduto». Probabilmente il rigore non figura nel repertorio delle virtù ‘paragoniane’.
Ed è proprio con la trasmissione ‘caciarona’ di La7 che il varesino, ora in versione anticasta, comincia a sedurre i vertici grillini; tant’è vero che alla scelta dell’emittente di chiudere il programma (2017) seguiranno le manifestazioni di solidarietà di Di Maio, segno che la trasformazione in Nulla non era ancora alle porte. Dall’addio a La Gabbia all’investitura pentastellata (2018) il passo è breve: tempo di tenere alcuni convegni di dubbia sostanza sul tema banche e finanza e il gioco è fatto. Paragone adesso è un fiero intellettuale ‘antisistema’, come amano definirsi tutti quelli che del sistema non conoscono nulla.
Naturalmente nella nuova veste grillina rientrano la lotta alla Rai lottizzata, di cui Paragone è stato un ampio beneficiario, e l’abolizione del finanziamento pubblico ai giornali, cui il varesino non ha mai rinunciato ai tempi delle scorribande padane. Ma la nuova interpretazione di Paragone tiene fintantoché reggono anche i sondaggi. Alle prime serie avvisaglie di un travasamento di voti verso la Lega, Gianluigi cambia pelle: voti in dissenso in Parlamento (fiducia al governo, MES, legge di bilancio), ramanzine continue sulle scelte dei vertici, strizzate d’occhio non troppo velate verso gli ex compagni del Carroccio. Eppure, in barba al caro vincolo di mandato, Paragone rimane incollato al seggio, a dimostrazione che la dissidenza è cosa buona e giusta solo quando non porta scompensi. Il resto è storia recente.
È nella gelida sera del 31 Dicembre che Gianluigi riceve la lettera di espulsione del Movimento. La sentenza, fredda come quella sera, è perentoria: il senatore varesino non potrà più sedere tra i banchi dei 5 stelle. Paragone, lo stesso che ha tentato di tutto per farsi cacciare, simula la pugnalata alla schiena dei probiviri, chiedendo di appellarsi a un giudice terzo. Ma ormai la missione del soldato Paragone è compiuta: riuscire ad abbandonare la nave pentastellata prima che affondi, per giunta senza farlo di mano propria. «Rinuncio al ricorso per l’espulsione, non rientro in un movimento senza identità», scrive Paragone dopo settimane di (finti) piagnistei. Il tutto, guarda caso, dopo la Caporetto dei 5 stelle alle regionali. Ora la prossima mossa è annunciata: recuperare le fasce estremiste del Movimento sotto l’egida del duo Paragone-Di Battista; intento che sembra confermato dal significativo silenzio del secondo. Ma che insegnamento trarre dalla parabola di Paragone? Scriveva una volta Prezzolini che la coerenza è «la virtù degli imbecilli», perché solo questi ultimi non hanno il coraggio di cambiare le proprie idee. Tuttavia quello di Paragone non è coraggio, ma semplice fiuto. Il fiuto di chi ha capito che Lega e 5 stelle, in fondo, sono la stessa cosa declinata in salse diverse: entrambi radicalizzano la dicotomia elites-popolo, così come entrambi condividono quell’odio atavico, irrazionale verso l’Europa e il libero mercato.
Tra i due partiti vi è solo una differenza di stile, di portamento; per il resto la sostanza è la stessa. Perciò a Paragone conviene essere ambiguo: un po’ coraggioso e un po’ imbecille. E non lo si legga come un insulto, perché il riferimento a Prezzolini è lampante. Non vorrete mica lasciare a Paragone l’esclusiva delle finezze letterarie?
3 comments
:D
Io mi unisco al giudizio negativo su Paragone ma per un motivo più specifico: la sua contrarietà all’Euro e all’Europa. Non conosco le sue posizioni aquando dirigeva la Padania, ma ricordo benissimo le sue trasmissioni su La 7 dove spesso chiamava Borghi, e anche Bagnai e Rinaldi, accesi nemici dell’Euro e che attribuivano ai vincoli EU tutti i mali cdell’Italia. Un atesi sostenuta in quelle trasmissioni da Borghi, attuale Presidente della Commissione Bilancio della Camera è quella di togliere l’autonomia alla banca d’Italia.
Io contesto questa tesi. Non sono i vincolo EU la causa della stagnazione italiana, confermata dai dati OCSE dai quali si vede come negli ultimi 20 anni il PIL/Pro-capite ns. sia sceso pur di poco, mentre quello degli altri aderenti all’organizzazione, Grecia esclusa, è aumentato, fino al +30% della Svezia. In realtà il ns. Pil è salito un po’, sempre in coda rispetto al resto d’Europa, fino a l 2007, per avere un tonfo del 10% in meno nella scrisi 2008-13, accompagnato dalla chiusura di circa il 25% di PMI e quasi la dstessa perdita in termini di capacità industriale. Sappiamo qual’è il livello del ns. debito pubblico, per 1/3 circa finanziato dall’estero e sempre in aumento per maggiore spesa corrente e un calo degli investimenti.
Europa a parte, vi è un problema di credibilità dell’Italia e di fiducia da parte di chi finanzia il ns. debito. Vero che il Giappone è a livelli ben oltre il 200% del PIL, ma ha fatto investimenti in infrastrutture, e il debito è finanziato dall’interno.
Uscire dall’Euro non ha senso per il ns. sistema economico. Nessuna organizzazioine imprenditoriale lo chiede. Ha assicurato stabilità nel commercio all’interno dell’area. La ns. industria è di trasformazione, importa molto, lavora ed desporta. La ripresa di sovranità della moneta diventa strumento ingannevole e illusorio, al fine di copritre una politica dissennata che porterebbe inevitabilmente alla bancarotta, non ad un maggiore sviluppo.
Borghi è coerente nel voler togliere l’indipendenza a Bankitalia nel quadro di un rirorno a a Lira: creare inflazione anche costringendo la banca centrale a stampare moneta e/o a comprare i ns. titoli del debito pubblico!. L’industria sarebbe meno incentivata ad investire in nuove tecnologie grazie alla corsa alla svalutazione, e chi ha reddito fisso diventerebbe sempre più povero.
Ecco perché il giudizio negativo è più grave: non vi è stato solo disinvoltura e trasformismo. Si usa dire che la buona fede è sempre presunta. Allora io dico che o si tratta d’ignoranza, oppure di inganno e illusione politica nei confronti degli elettori.
Non a caso caratteristica del populismo è quella di proporre sokuzioni apparentemente facili a problemi complessi!
Maurizio Miscitti ha scritto cose giuste e che apprezzo, ma data l’età non ha vissuto l’esperienza degli anni ’70, la crisi e l’inflazione che erodeva il reddito fisso.
Io credo che l’Italia dovrebbe imboccare la strada delle riforme che per rapidità rinvio a Cottarelli ne “I Sette Peccati Capitali dell’Economia Italiana, Feltrinelli Editore. Il problema è che nessun governo, da berlusconi 1994 ad oggi ha la capacità e la volontà di imboccare questa via.
[…] meno furbi, come Barillari (o Paragone e Giarrusso), hanno continuato a ripetere le baggianate in cui credono. Per questo devono essere […]