I ) Come era
Descrivere pienamente cosa significhi e abbia significato per quasi trent’anni la battaglia per la responsabilità civile del magistrati è un compito superiore alle nostre capacità. Capire perché per anni e anni abbiamo invocato una legge che in teoria esisteva già; ripercorrere una storia, quella di Enzo Tortora, che provocò un referendum dove 21 milioni di italiani votarono a favore della responsabilità civile dei giudici. Era l’8 novembre del 1987.
Il 5 novembre 1987 il ministro della Giustizia, Giuliano Vassalli (fra i migliori che abbiamo mai avuto) scrisse una lettera privata a Craxi, non più presidente del Consiglio ma suo segretario di partito. La sua proposta era rispettosa degli intenti del referendum che si tenne quattro giorni dopo: i magistrati avrebbero finalmente pagato per i propri errori. Un frammento: «Caro Bettino, unisco lo schema di disegno di legge che intendo diramare all’indomani del referendum se il risultato sarà “sì”. Lo schema è stato redatto con scrupolo, cercando di tener conto dei ventidue progetti già esistenti… Esso ha una notevole autonomia rispetto alle proposte comunista, democristiana e repubblicana… Hanno collaborato con me insigni studiosi del processo civile. Gradirei una tua rapida presa in esame e un tuo assenso». Poi le singole voci, qui indegnamente riassunte: 1) responsabilità civile per tutti i giudici, ciò per un indeclinabile principio costituzionale di parità; 2) responsabilità sia per dolo che per colpa grave; 3) in caso di condanna, azione obbligatoria di rivalsa dello Stato verso il magistrato senza spazio per discrezionalità ministeriali; 4) limitazione della rivalsa a un terzo dello stipendio annuale e, se paga a rate, a un quinto di quello netto mensile (don’t worry: gli iscritti all’Anm, quasi il 95% delle toghe, sono protetti da una polizza assicurativa); 5) l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non possono dar luogo a responsabilità (è la cosiddetta clausola di salvaguardia). Quindi, in nome della garanzia della sua indipendenza, il magistrato dispone di un salvacondotto per gli errori che può collezionare.
E’ finito tutto nel nulla. I magistrati italiani hanno molti santi in paradiso e in Parlamento, che il 13 Aprile 1987 approvò la legge Vassalli (n. 117) e che svuotò in breve tempo la stessa legge. Decisivo fu l’asse Dc-Pci-magistratura. Fatto sta che la legge è un fantasma, si vede ma è intangibile. Nell’88-89, quando entrò in vigore, i ricorsi per l’azione di responsabilità verso i giudici furono 80. L’anno dopo, 30. Nel 1993, 16. Nel 1994, solo 7. E via a morire. Il perché è chiaro: zero condanne e zero avvocati disposti a credere che un magistrato possa intentare un procedimento serio contro un altro magistrato. Un’unica legge: cane non mangia cane.
Ci rendiamo conto che questi toni potrebbero apparire eccessivamente astiosi nei confronti della magistratura, ma ci sono dati lampanti. Dal 1987 al 2013 solamente 34 procedimenti accettati dalla Corte e 7 condanne. Ma non rende ancora pienamente l’idea: due giornalisti, Stefano Livadiotti (L’Espresso) e Stefano Zurlo (il Giornale), separatamente, hanno raccolto e documentato con enorme fatica un’infinità di sentenze emesse dalla sezione disciplinare del Csm ridicole, assurde, grottesche, anche a fronte di condotte decisamente gravi. Impossibile riportarle qui: per avere una panoramica essenziale ci affidiamo alle parole di Stefano Livadiotti nel suo libro-inchiesta sui magistrati: “La sezione disciplinare è il binario morto del Csm. Una fabbrica di assoluzioni spesso motivate con sentenze al limite del grottesco. Così le toghe hanno 2,1 possibilità su 100 di incappare in una sanzione. Che comunque, anche nei casi più gravi è sempre all’acqua di rose [ammonimenti, censure, trasferimenti, paradossalmente promozioni Ndr]. Risultato: in otto anni quelli che hanno perso la poltrona sono stati lo 0.065%.” Gli otto anni cui si fa riferimento sono i primi del 2000; per ottenere questi dati i giornalisti impiegano anni a causa di un continuo gioco di rimpalli dove le carte vengono passate fra l’ufficio di Presidenza, il centro studi del Csm e vari altri uffici. Tutto questo -nota bene- può essere raccontato dai giornalisti solo se si omettono i nomi dei magistrati che sbagliano, trattamento in Italia riservato solo ad altre due categorie: i minori e le vittime di violenze sessuali (Codice in materia di protezione dei dati personali, in particolare artt. 137 e 52). Eccola la responsabilità civile delle toghe, nei fatti: irresponsabili e innominabili. Alla faccia dei referendum e del popolo sovrano; alla faccia del diritto di cronaca e di informazione.
II ) Come sarà
Questo il contesto da tenere a mente. Soprattutto considerando che l’attenzione dei media si è concentrata sulle (pur fondamentali) direttive europee, senza tener conto che il Ministro Orlando (piacevolmente garantista, ma timido) aveva più volte manifestato la volontà di cambiare la legge sulla responsabilità civile in virtù del vecchio referendum radicale mai soddisfatto. E così anche autorevoli esponenti del Pd come Roberto Giachetti e soprattutto il leghista Gianluca Pini (che propose diversi emendamenti).
La riforma allarga la responsabilità civile dei magistrati attraverso due passaggi:
A) Viene mantenuto lo schermo statale, alzando la rivalsa a metà dello stipendio (vedi punto 4 della legge Vassalli illustrata nella prima parte); si introduce il travisamento dei fatti o delle prove tra i casi di “colpa grave” (vedi punto 5 illustrato nella prima parte). Quest’ultimo aspetto, lo vedremo tra poco, ha sollevato diverse discussioni, spesso a sproposito.
B) Viene abolito il filtro di ammissibilità da parte dello Stato, che consisteva in un vaglio del Tribunale sulla non manifesta infondatezza (non previsto nelle originarie volontà di Vassalli).
Cominciamo dal punto A. L’aumento del diritto di rivalsa da parte dello Statto sul magistrato fino a metà dello stipendio non suscita particolari discussioni: abbiamo visto che il vero problema della precedente legge era la mancanza di condanne. Inoltre i magistrati potranno sempre tutelarsi con un’assicurazione da circa 150€ all’anno. Insomma, continueranno a mangiare e, sull’aspetto economico, anche a dormire. L’introduzione del travisamento dei fatti ha causato invece diverse lagnanze da parte dell’Anm, seguite da alcuni autorevoli giornalisti. In una delibera emessa il 22 febbraio, il sindacato dei magistrati si lamentava di “intenti punitivi [e te pareva Ndr] rappresentati dall’introduzione della responsabilità dello Stato per i danni procurati da una decisione giudiziaria assunta in ragione del travisamento di un fatto o di una prova“. Arrivando anche a straparlare di incostituzionalità. Anche il cronista giudiziario del Corsera, Luigi Ferrarella, è assai critico e sulla riforma sentenzia: “L’iter di modifica della vigente legge Vassalli è partito male […]. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea per due volte aveva richiamato l’Italia a prevedere che lo Stato dovesse risarcire anche gli errori commessi dalla Cassazione con violazioni manifeste del diritto dell’Unione Europea. Sull’onda però di uno strumentale equivoco, il Parlamento ha comunque ritenuto di modificare la legge del 1988″. E già qui vorremmo chiedere all’egregio: “ma il referendum disatteso?”. Conta solo la direttiva europea? Il Ministro Orlando la pensa diversamente e ha agito per attuare il referendum, non solo per rispettare la direttiva. Basterebbe aver ascoltato i suoi numerosi interventi all’Unione delle camere penali. Ma a Ferrarella questo non importa: non cita neanche lontanamente il referendum nel corso del suo articolo. Peccato, era stato al centro delle discussioni parlamentari ben più della direttiva (in Italia le direttive europee si attuano assai raramente, basta guardare le condizioni delle carceri).
Ma il punto è un altro: lo stesso Ferrarella che accusa la nuova legge di non essersi limitata alla direttiva poi si accoda alle lamentele dell’Anm sull’introduzione del “travisamento del fatto o della prove”. Per Luigi infatti: “questo è un aspetto molto insidioso […] perché potrebbe incentivare giudici-burocrati al quieto vivere di scelte interpretative più accomodanti e di decisioni meno rischiose per le proprie tasche, quando in gioco vi siano grossi interessi e forti protagonisti”. C’è un piccolo problema: evidentemente Ferrarella e l’Anm non hanno letto bene le stesse direttive europee cui chiedono di attenersi! La Corte di Giustizia europea ha fatto espressamente riferimento con due pronunce alla errata “valutazione di fatti o prove“* (vedi testuale in nota). E’ evidente che l’introduzione della responsabilità civile dello stato per il “travisamento del fatto o delle prove” è, dunque, indispensabile quale livello minimo di tutela del cittadino in base all’interpretazione dettata dalla Corte di Giustizia. Sotto le note sono allegati altri puntuali argomenti rilevati dall’Unione delle camere penali contro le proteste dell’Anm, in parte accolte dallo stesso Ferrarella, che non sarebbe possibile riassumere per intero.
Veniamo al punto B. La nuova legge abolisce questo filtro di ammissibilità, ritenendolo responsabile del fallimento statistico della legge (le famose 7 condanne in 25 anni sopra citate). In pratica significa l’abrogazione dell’art. 5 della legge n. 177/1988 (la legge Vassalli). L’eliminazione del giudizio preliminare di ammissibilità è dovuta essenzialmente al fatto che questo meccanismo processuale è stato interpretato come una anticipazione del giudizio di merito, tanto da ribaltare la prospettiva ai fini del vaglio da “domanda manifestamente infondata” a “domanda manifestamente fondata”. Inoltre un analogo sistema non è previsto nell’Unione europea, a parte la Spagna. C’è stato chi ha paventato (stessi Anm e Ferrarella) scenari quasi drammatici, in cui verrebbe messa a rischio la serenità dei magistrati, col rischio di una ridda di “processi al processo“, condizionando gravemente l’attività del giudice anche sulla base di azioni totalmente infondate o balzane. Queste osservazioni non tengono conto di alcuni importanti dati, che i più interessati potranno trovare nella seguente nota dell’Unione delle camere.
<<La rimozione del filtro di ammissibilità non può poi avere, contrariamente a quanto affermato in varie sedi da Anm, alcuna conseguenza in relazione alla serenità e all’indipendenza del magistrato, nei confronti del quale, si sostiene, potrebbero essere avviate azioni strumentali per condizionarne l’azione. In primo luogo va sottolineato che l’azione può essere proposta solo nei confronti dello Stato e non direttamente del magistrato. Secondariamente l’azione può essere promossa, a pena di improcedibilità, solo dopo aver esperito tutti i rimedi endoprocedimentali, ovvero aver esaurito i mezzi di impugnazione del provvedimento che si assume in manifesta violazione di legge o a seguito di travisamento della prova o del fatto. Inoltre, l’eventuale esito del giudizio promosso nei confronti dello Stato non ha efficacia di giudicato né nel giudizio di rivalsa, né nel giudizio disciplinare e ciò proprio al fine di evitare che il magistrato interessato sia onerato di intervenire e svolgere qualsivoglia azione difensiva in una causa che potrebbe essere introdotta sulla base di pretese temerarie, o anche semplicemente infondate.>>
Vogliamo da ultimo sottolineare una caratteristica fondamentale della riforma, strumentalmente tralasciata dall’ Anm e curiosamente dimenticata da molti commentatori. Il testo in discussione alla Camera ha, infatti, introdotto un sistema a “doppio binario” nel quale la (nuova) responsabilità dello Stato risponde ai criteri richiesti dalla Corte di Giustizia, mentre l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato è rimasta delineata sulla disciplina attualmente vigente, in forza della quale è richiesto, quale presupposto sotto il profilo soggettivo, l’ulteriore requisito della “negligenza inescusabile”. Per diverse ragioni inoppugnabili** (vedi seconda nota), quindi, è evidente che anche in caso di accoglimento della domanda nei confronti dello Stato, saranno pochissime in concreto le evenienze in cui vi saranno i presupposti per l’azione di rivalsa nel confronti del magistrato.
Insomma, non fidatevi del sindacato dei magistrati e della stampa fiancheggiatrice: non ci sarà nessuna selva di processi a minare l’indipendenza di magistrati indifesi.
III ) Cosa manca
Il Ministro Orlando ha comunque ascoltato alcune richieste da parte della magistratura. Va ricordato infatti che l’originaria proposta era stata modificata dall’emendamento di Gianluca Pini (Lega), secondo cui poteva essere direttamente il cittadino a denunciare il magistrato; proposta approvata anche dal solo Giachetti nel Pd, in quanto lineare alle battaglie radicali. Ma non ci sarà niente di simile. Non ci sarà l’obbligo di rivalersi sul giudice che emetta sentenze creative e cioè difformi dagli orientamenti giurisprudenziali, espressi dalla Cassazione a Sezioni unite. Non ci sarà la prevista copertura del danno interamente sulle spalle del magistrato colpevole. Insomma è stata mitigato anche quanto aveva elaborato il relatore della proposta che doveva essere definitiva, il socialista Enrico Bueni. In questo Orlando ha fatto qualche passo indietro nel suo garantismo per venire incontro alle richieste togate.
Nel complesso però si tratta di un passo avanti: un tentativo un po’ confuso, non perseguito fino in fondo ma almeno un tentativo. Chi ritiene che da domani cambieranno radicalmente le condizioni dei magistrati legga le dichiarazioni di Davide Ermini (responsabile giustizia Pd) secondo cui la riforma “porterà vantaggi ai cittadini e nessuno svantaggio ai magistrati”. O la soddisfazione finale di Rodolfo Sabelli (il presidente dell’Anm, la stessa delle grida straziate quando c’era da condizionare la riforma) nel rilevare che non ci sarà neanche un giorno di sciopero della magistratura. In sostanza le toghe si sono lamentate di più per il precedente pastrocchio del governo fatto sulle loro ferie, lo ricorderete.
Le volontà espresse a grande maggioranza dal “Referendum Tortora” non sono (e non saranno mai) pienamente rispettate, anche a distanza di così tanti anni. Da radicale che crede nell’azione referendaria anche contro le caste mi dispiace e continuerà a dispiacermi. Se questa riforma fosse un regalo a noi garantisti credo potremmo almeno commentare: “Grazie, dopotutto conta il pensiero”.
Crediamo non sia difficile prevedere quel che succederà nella giustizia. Nessuna straordinaria rivoluzione: lo scettro continueranno ad averlo le toghe (occorrebbe una seria riforma del Csm, apriti cielo) e gli esecutivi da questo punto di vista possono poco. Perché l’unica legge che andrebbe davvero cambiata è quella non scritta, antichissima del “Canis canem non est“. Sotto questo aspetto vedremo come si comporterà la magistratura nei prossimi anni. Per il momento, dati i precedenti, perdonateci se non siamo fiduciosi.
Note:
* E’ la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (con le pronunce del 30 settembre 2003 causa C-224/01 Kobler, 13 giugno 2006 C-173/03 Traghetti del Mediterraneo S.p.a. ed in particolare da ultimo con la sentenza del 24 novembre 2011 C-379/10 Commissione Europea contro Repubblica Italiana) a seguito della procedura di infrazione aperta contro l’Italia ad aver chiarito la rilevanza ed i contorni dell’inadempimento italiano, statuendo che: “la Repubblica italiana, escludendo qualsiasi responsabilità dello stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da un’interpretazione di norme di diritto o da valutazioni di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2 , della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado”.
[Qui la nota completa dell’Unione delle Camere penali]
**La manifesta violazione di legge si ascrive, infatti, nella disciplina della responsabilità colposa, al regime dell’imperizia e non certo della negligenza. Quanto al travisamento del fatto e della prova, quand’anche esso dovesse essere stato determinato non da imperizia, ma da negligenza (evidentemente per il mancato esame delle risultanze processuali determinato da superficialità e noncuranza e non per l’erronea valutazione di esse) dovrebbe ulteriormente ricorrere il requisito dell’inescusabilità, che riduce, fino a renderlo quasi inesistente l’alveo di applicazione della norma.