Le proteste scoppiate in Iran nel settembre di quest’anno e le repressioni che ne sono seguite sono uno degli eventi più sconvolgenti che stanno avvenendo nel mondo, eppure, la gran parte dei media, la politica e, purtroppo, le istituzioni pubbliche sembrano ignorarlo. Non si vuole qui soltanto fare un breve riassunto di quanto avvenuto, ma fare un’analisi dell’ambiguo atteggiamento occidentale riguardo a tutto ciò.
Dall’omicidio di Mahsa Amini alle esecuzioni pubbliche
Il 16 settembre 2022, dopo essere stata precedentemente fermata ed incarcerata dalle forze di polizia, Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni, moriva con una emorragia cerebrale nell’ospedale Kasra di Teheran, in seguito al pestaggio ad opera delle stesse forze dell’ordine nel centro di detenzione nel quale era stata trasportata con l’accusa di aver portato “non correttamente” il suo hijab.
L’assassinio di Stato, mafioso, cruento ed ingiustificato ha generato l’indignazione pubblica di una folta porzione della popolazione iraniana che con il tempo ha iniziato a riversarsi per le strade, a partire da Saqqez, la città di origine della ragazza, fino a Teheran, poi a Qom e nelle altre grandi città coinvolgendo in breve tempo tutto il paese ed unificando sotto un unico obiettivo tutte le etnie e i gruppi sociali che compongono l’eterogenea popolazione iraniana: rovesciare la dittatura della repubblica islamica, la sua legge dogmatica e il suo strapotere.
Sono ormai più di 600 i morti. Le forze dell’ordine percuotono e sparano sulla folla provocando un enorme numero di feriti. Quando catturati, i manifestanti sono torturati, le ragazze, spesso, vengono violentate o vengono mutilati loro i genitali. La vigliaccheria di questa strage di Stato non si ferma a questo, sono già due i manifestanti condannati a morte con processi sommari, rei di “inimicizia verso Dio”.
I crimini dei due ragazzi Mohsen Shekari e Majid Reza Rahnavard, entrambi di 23 anni, non c’entrano ovviamente nulla con alcuna divinità, sono “crimini” di opinione ed il dio offeso non è un ente trascendente, ma la Repubblica islamica incarnata nella figura di Ali Khamenei, un uomo che, come un sultano, tiene nelle sue mani tutti i poteri dello Stato, compreso quello giudiziario. Da quanto appare, Khamenei si elegge a Dio in terra o sembra far credere di avere ereditato i suoi poteri da Dio, proprio come alcuni di quegli ottusi monarchi dell’ancien régime europeo, che, la storia ci insegna, si dimostrarono dei giganti dai piedi d’argilla. La politica brutale e teocratica in Iran non è certo una novità ma affonda le sue origini nel tempo, c’è da chiedersi se i moti di questi mesi possano rappresentare finalmente una svolta.
Tornando sul punto, le esecuzioni avvengono tramite impiccagione ed i corpi sono esposti in pubblica piazza così che possano terrorizzare i cittadini. Questo è il modus operandi di tante dittature, innanzitutto quella fascista, che si servì anch’essa di pratiche tanto turpi. Ma vederle riprodotte ancora oggi produce un senso di inquietudine e indignazione ben più notevole di quello che si prova leggendo un libro di scuola o guardando delle foto d’epoca. Secondo Amnesty International, le persone che rischiano la stessa barbara fine sono 26 ed altri si aggiungeranno.
In alto la recente impiccagione di un manifestante iraniano l’11 dicembre 2022, in basso l’impiccagione di tre partigiani italiani il 16 agosto 1944.
Le proteste in Occidente
Le proteste non sono divampate soltanto in Iran, ma anche in Occidente. Migliaia di persone, molti, a dire il vero, di origine persiana, sono scesi nelle piazze per mostrare la loro vicinanza, chiedere ai rispettivi governi di intervenire per sostenere la destituzione del governo di Khamenei e di non essere lasciati soli.
La solitudine infatti porta pericoli inaspettati: molti osservatori hanno fatto notare come una deposizione del governo teocratico, specialmente se dovesse avvenire ad opera di ribelli tra le file dell’esercito, potrebbe portare ad una forma di governo militare equivalente se non peggiore di quella attualmente al potere.
Serve che l’Occidente accompagni il popolo iraniano nella svolta democratica e liberale che essi desiderano e serve che lo faccia con ogni mezzo a sua disposizione.
Apatia dell’opinione pubblica, autoreferenzialità della classe dirigente: un Occidente in silenzio
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, a cui stiamo tristemente assistendo, dopo aver visto con i nostri occhi l’imperialismo cinese, certo non militare, ma senza dubbio economico e politico, in particolare nei confronti dei paesi africani e asiatici meno sviluppati, l’Occidente deve rialzare la testa e riprendere coscienza del proprio ruolo nel mondo e di quello che rappresentano o possono rappresentare i suoi valori.
L’Occidente, anche considerate le sue storture, i suoi errori storici, le antinomie interne al suo sistema valoriale, deve rendersi conto che non rappresenta principi settecenteschi vecchi e impolverati ma valori per i quali interi popoli sono ancora disposti a versare il loro sangue nelle piazze o sui campi di battaglia. Valori di libertà, giustizia, parità di genere, democrazia che a certe longitudini non sono scontati ed anzi rappresentano un sogno, una speranza, un ideale che per migliaia di persone è ben lungi dall’essere raggiunto.
Il mondo occidentale invece fa orecchie da mercante, sembra disinteressato a quanto sta avvenendo in Iran e non ha ancora preso risoluzioni di alcun tipo. Questo è un fatto inquietante che delinea, oltre che una certa passività, i caratteri di un’opinione pubblica apatica e stressata, che preferisce voltarsi da un’altra parte e coprirsi gli occhi davanti alle mostruosità che avvengono nel resto del mondo. Un atteggiamento che in Italia non dovrebbe sorprendere e che abbiamo riscontrato anche con l’invasione russa dell’Ucraina dello scorso febbraio ma che intorno a quanto accade in Iran assume dimensioni sconcertanti.
Potrebbe essere interessante discutere delle cause di questo atteggiamento. Forse per la distanza dai nostri confini; forse per una sorta di refrattarietà a trattare di fatti mediorientali che non riguardino un coinvolgimento diretto di una o più potenze occidentali; forse per via di un’opinione diffusa secondo cui tutto ciò “non ci riguarda”. O magari le proteste sono troppo difficilmente inquadrabili in un sistema categoriale che ormai ha fatto dei diritti civili una sorta di assunto e nel quale il dibattito economico utilitaristico è divenuto l’esclusivo padrone della scena.
Se quest’ultimo caso fosse da considerarsi come la spiegazione più soddisfacente, ciò tratteggerebbe un atteggiamento della nostra classe politica autoreferenziale, che vive esclusivamente del contrasto con la parte avversa. Una classe politica incapace non soltanto di andare oltre quello che è il pettegolezzo giornalistico di moda, ma anche di individuare dei punti di comune incontro sui quali costruire azione politica condivisa.
Di nuovo, se così fosse, sarebbe dunque vero che quei valori per cui una parte del mondo ancora strenuamente ed eroicamente si batte, qui da noi, si sono rattrappiti, sono divenuti scontati, hanno perduto la loro dimora. Probabilmente è un puro atto retorico reclamare che l’Occidente si risvegli elaborando discussioni su “dover essere” vuoti di significato.
È comunque giusto, io credo, far notare l’inazione che stiamo perpetrando e discuterne criticamente, ricordandoci che anche non agire alle volte porta con sé una responsabilità morale. È pur vero che siamo divisi in popoli ed in nazioni, abbiamo interessi e sensibilità differenti, ma dinanzi alla barbarie che sta avvenendo in Iran è intollerabile pensare di restare a guardare. Ricordiamoci che l’Umanità è una soltanto.
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1 comment
aNTIPatia, non apatia :)
D’altronde, se facciamo come iraq e libia e afghanistan tutti si arrabbiano perché “vogliamo educarli”, e allora…