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Politica internaSpeaker's Corner

Regionali e referendum, il punto sull’irrilevanza dei liberali

Ormai è un’abitudine. Lo spoglio inizia, ma noi liberali non aspettiamo nemmeno il risultato. Sappiamo che sarà negativo, siamo solo curiosi di capire quanto forte sarà la sberla. È nelle cose. Ci torturiamo guardando la maratona di Mentana, solo per sperare di essere citati. Ma la sconfitta e l’irrilevanza sono talmente scontate che non ne parlano nemmeno. Come potevamo aspettarci, è andata così anche ieri. Sia al referendum, che alle regionali.

Anticipo le obiezioni. In effetti c’è stata qualche astensione, anche eccellente, al referendum. Esiste anche una sparuta minoranza di noi che ha votato SÌ, ma si tratta di numeri sostanzialmente risibili.

I candidati e liste di area alle regionali sono andati male pressoché ovunque, anche e soprattutto quando presentavano un candidato indipendente, e l’esito del referendum è stato nettamente negativo. Una débâcle.

L’analisi della sconfitta è sempre un esercizio difficile, che comporta il rischio di banalizzare i problemi e di fare proposte sterili. Nel mio piccolo, tuttavia, mi sembra di poter dire che ci sono dei motivi macroevidenti alla base di queste ripetute sconfitte dei liberali.

Non possiamo pensare che dei piccoli partiti, più o meno personali, senza una collocazione precisa si mettano insieme in un’elezione regionale e ottengano buoni risultati. Se Più Europa e Azione vengono percepite come costole della sinistra non possono ambire a fare dei buoni risultati da sole in Puglia o Liguria. Soprattutto se altrove sostengono il PD, alleato dei grillini al governo nazionale. Italia Viva addirittura sembra essere all’opposizione dell’esecutivo di cui fa parte. Serve chiarezza e la chiarezza non c’è.

Il fatto assurdo è che i democratici fanno di tutto per prendere questi partiti a pesci in faccia. Sostenendo un referendum a cui erano stati contrari sin dal principio, ribadendo l’intenzione di fare un’alleanza strutturale con i 5 Stelle e addirittura attaccando i centristi. Qualcuno come Matteo di Paolo, coordinatore di Più Europa-Roma, si è sfogato (a titolo personale). Finché tale posizione non diventerà maggioritaria, univoca e ufficiale in tutti i territori, non ci sarà storia.

Sui liberali (e i presunti tali) di Forza Italia e destracentro stendiamo un velo pietoso. Portatori di acqua a una coalizione incompatibile coi propri valori (o presunti tali). A un certo punto si diventa complici del declino, anche se ci si comporta da minoranza riottosa.

Per quanto concerne il no al referendum, invece, si è resa evidente l’inefficacia della strategia politica di fondo. Fare la minoranza in un numero esagerato di partiti confonde gli elettori, alimenta i dissidi ex ante e complica la collaborazione per le singole cause quanto per le alleanze nel lungo termine. In più, è nulla l’influenza sul partito o la coalizione di appartenenza.

Questa però, ahimè, è solo la punta dell’iceberg. Siamo di fronte a un problema culturale: individualismo e liberalismo in Italia non hanno mai attecchito. A ben vedere abbiamo avuto un impatto quasi nullo nella vita pubblica dopo la destra storica, escludendo Einaudi e Pannella. Tante idee e tanti tentativi, quasi tutti inefficaci e fallimentari per i più disparati motivi.

Come se non bastasse, “liberalismo” è una parola che è stata inflazionata e demonizzata al punto da aver perso ogni significato e soprattutto, ha perso ogni possibilità di essere usata come leva di consenso. Può avere senso cambiare nome o definizione?

Infine, c’è l’eterno problema della torre d’avorio. Una verità scomoda, che i liberali più coraggiosi ripetono quando nessuno li può sentire. Siamo tanto bravi ad andare alle conferenze, a leggere libri, a vedere video di Liberi Oltre, militare in duecento associazioni. Fa niente che siamo sempre tra noi. Siamo bravi a raccontarci quanto siamo bravi, intelligenti, laureati, studiosi, informati.

E ‘sti cazzi. E ‘sti grandissimi cazzi.

La verità? Io credo davvero che siamo i più bravi, intelligenti, laureati, studiosi, informati. Ma là fuori a nessuno interessa. A nessuno. E in un ambiente culturalmente e storicamente avverso ai nostri valori, questo è un ostacolo quasi insormontabile. Soprattutto perché non abbiamo saputo dare una risposta al populismo che accomuna i due grandi poli di governo e opposizione.

È ovvio che non sia contendibile gran parte dell’elettorato del partito unico statalista PD-M5S-Lega-FDI, ma anche lì un po’ si può pescare. Poi c’è l’enorme galassia frammentata dei partiti e delle associazioni di area. Poi ci sono gli astenuti. Non sono poche le persone con i nostri valori che si rifiutano di votare il meno peggio, ma che accoglierebbero con favore un’offerta politica decente. Qualche possibilità c’è.

In tutto questo discorso vanno inserite tre postille. La prima è che, ora come ora, il centro attrae un voto d’opinione complessivamente rilevante, ma è poco radicato sul territorio. Aspettarsi hic et nunc buoni risultati alle elezioni locali è difficile. La seconda è che una legge elettorale proporzionale è quasi necessaria per avere delle reali chance di essere rappresentati in parlamento, quindi di vedere la nascita di una coalizione. La terza è che, nella remota eventualità che tutti i pianeti si allineino, una lista elettorale rabberciata all’ultimo è peggio di non far nulla. Soprattutto alla luce di questi fatti, è folle pensare che possa avere successo una fusione a freddo di piccoli partiti personali a un mese dalle elezioni. Per questo motivo serve iniziare al più presto un percorso federativo o costituente, che non si limiti ad accontentare le segreterie di partito. Mission impossible?

Con ogni probabilità sarò sembrato arrogante, ne sono consapevole. Non fa niente. È il momento di aprire una discussione seria sul perché siamo perennemente irrilevanti. Sul perché la gente, quella con tre g, nemmeno ci insulta perché non ci considera in assoluto.

Butto nel mucchio un’altra boutade. Si potrebbe immaginare un populismo liberale che combatta con le stesse armi del populismo guevarista e di quello clerico-fascista. Un populismo di chi diffida dello stato, è soffocato dalle tasse, non sopporta il moralismo istituzionale (conservatore e progressista). È un’umile proposta, magari senza sbocco. Ma parliamone, discutiamone. Superiamola, miglioriamola. Ma facciamo qualcosa.

Diamo un segno di vita. Magari senza dare l’impressione di essere i soliti liberali intellettualoidi che vivono fuori dal tempo.

2 comments

Gabriele 22/09/2020 at 12:54

Di solito non commento gli articoli nella rete ma questo articolo mi è stato indicato come un’analisi finissima delle elezioni e dal mio punto di vista questo pare più uno sfogo che un’analisi.
Mi permetto di commentarlo.
Per prima cosa la retorica del chi vince e chi perde nelle elezioni è una cosa estremamente antipatica che sta lentamente portando il mondo al declino, ma cosa ci possiamo fare? è la situazione politica e culturale globale che applica questa modalità, non più di discussione ma solo decisionale.
La governabilità diventa la preoccupazione principale e non la discussione per risolvere i problemi comuni cercando di valutare più punti di vista possibile.
Per colpa di questo pensiero i partiti più piccoli perdono di valore. Alla fine il sistema maggioritario unilaterale che abbiamo fallisce palesemente il teorema dell’impossibilità di Arrow quindi non dovremmo avere sorprese per ciò, che è pure il motivo per cui i grandi partiti prendono a pesci in faccia quelli piccoli e cercano di emarginarli il più possibile.
Se un piccolo partito, per caso, ribaltasse il grande partito ad una elezione si potrebbe avere un capovolgimento dell’asse politico all’interno di una certa area (come la lega quando ha fatto il botto alle scorse elezioni che ha messo in ginocchio forza italia).
Continui dicendo che in italia liberismo ed individualismo non hanno mai attecchito, ma questa è colpa della retorica scadente su questi argomenti in Italia, inoltre dici che secondo te è stata demonizzata.
Ma questa è una illazione arbitraria dovuta alla recente sconfitta elettorale. Berlusconi che ha fatto del liberismo la sua bandiera (non voglio discutere delle sue politiche ma solo della sua retorica) non ha mai avuto problemi perché si definiva liberale.
D’altro canto i comunisti in quel momento non se la passavano bene, comunista era diventato un insulto (cosa sbagliata in un arco di discussione politica, impoverisce solo la discussione, toglie voce alle persone di una ideologia che comunque devono poter avere un punto di vista e poter partecipare alla discussione politica).
Il liberismo in Italia ha attecchito sotto numerose forme, ma invece di diventare come in alcuni paesi nordici, una scala per la mobilità sociale, qui ha aiutato solo chi aveva fondi ad incrementarli.
L’italia per esempio ha delle linee ferroviarie private, prima in europa.
Il problema della torre d’avorio è anch’esso un problema fittizio. Siamo un popolo dove chiunque crede di essere più intelligente degli altri. La lega usa la retorica dei “professoroni” proprio per questo, per sminuire la vostra supposta intelligenza facendosi mostrare lui più intelligente attaccando i professori. Anche se logicamente è una cosa stupida su una grande fascia della popolazione attecchisce, ma non è diversa dal dirsi intelligenti. Alla fine anche se ci si ritrova al club del libro o al bar, parlando più o meno seriamente di problemi politici, gli interlocutori penseranno sempre di essere una spanna più in alto degli avversari e anche di molti presenti. Alla fine rimaniamo bestie che funzionano per gruppi, è normale quindi che ogni gruppo si pensi migliore degli altri gruppi (altrimenti perché vorresti farne parte?) .
Non ho gradito l’immagine del gruppo unico populista, insensato mettere Lega-Fdi-PD-M5S tutto in un calderone.
Gli astenuti per farli votare dovrebbero esserci un cambio della classe dirigente cosa che è estremamente improbabile, anzi, gli astenuti continueranno ad aumentare se non ci sarà un cambio.
Oltretutto, secondo la tua opinione il centro attrae un numero rilevante di persone, questo è in contraddizione con i numeri delle elezioni politiche del 2018 (dove i vari centri sono stati asfaltati), dalle europee del 2019 e dalle amministrative e regionali di quest’anno, quindi se hanno dei numeri li stanno nascondendo bene da almeno 2 anni.
Serve che i piccoli partiti liberali si uniscano? se vogliono avere rilevanza dovranno farlo. Ma è molto più probabile che questa cosa non avvenga. Alla fine perché dovrebbero farlo? Calenda e Renzi si sono scissi dal PD in un tempo abbastanza vicino ed hanno preso due strade separate, perché dovrebbero fondersi ora? Molto più probabile che si presentino in coalizione senza alcuna fusione.
Sull’ultima tua boutade, il dibattito democratico non è serio ed è pieno di populismi, ma i populismi sono di tutti, se guardi TUTTI i programmi devi lavorare molto di fantasia per capirne la realizzazione tecnica, inoltre ogni partito deve per forza applicare una manipolazione retorica per apparire appetibile, puntare le dita contro i problemi che loro vogliono rompere e che ti vogliono far mostrare.
Il problema è sempre l’utilizzo di fake news per distruggere le discussioni ed il processo democratico.
Ma questo sarà risolto solo e quando verranno applicate regole e leggi ai social, cosa che, senza offesa, le correnti liberali si son bene tenuti alla larga. Ora si sta pensando a qualcosa contro questo problema, ma, come sempre, è già troppo tardi.

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Leonardo Accardi 22/09/2020 at 13:38

Mi permetto di risponderle, spero brevemente. In realtà, già che qualcuno abbia criticato la mia analisi è un passo avanti rispetto al nulla generalizzato.

1- sul liberalismo italiano la rimando all’articolo linkato al paragrafo 10. Berlusconi non è stato danneggiato dall’essersi definito liberale,, pur non essendolo, ma ha reso invotabili tutti quelli che si definivano come lui.

2- è ovvio che ognuno crede che il proprio gruppo sia migliore degli altri. Il punto che volevo evidenziare non era questo. è che i liberali non provano a convincere nessuno fuori dalla propria bolla. I leghisti che lei cita hanno scelto un target preciso a cui rifersi, che prima era fuori portata.

3- sugli astenuti il discorso è complesso, la mia era una mera ipotesi riferita a una minoranza specifica degli astenuti. Quella che astiene più per disagio e mancanza di scelta che per mera disillusione.

4- un sondaggio di Tecnè per Quarta Repubblica ha evidenziato che se si fosse votato ieri per le politiche l’area di centro avrebbe preso circa il 7%, che è nettamente più delle regionali. Il punto qui è che questo tipo di offerta politica basa il proprio consenso sul voto di opinione, non sulla rappresentanza territoriale.

5- i quattro partiti che ho definito populisti sono diversi, ma comumque pregni della retorica del “popolo” e dello stato come panacea di ogni problema. Problemi diversi, soluzioni (a volte diverse), promesse sempre irrealizzabili. Ma usano il medesimo schema.

6- non sono fiducioso sulla nascita di un partito forte di centro, come lei. Può essere però che in due anni e mezzo la paura di sparire o un evento politico inaspettato spariglino le carte. é presto per dirlo.

7- la questione delle leggi sui social mi appassiona poco, anche perché sono infattibili soprattutto con le maggioranze che si potrebbero formare ad oggi. e lo erano anche con quelle precedenti.

8- la mia battuta sul populismo era, appunto, una battuta. Non pretendo che da oggi ci inventiamo ex nihilo un nuovo populismo o che abbassiamo il livello comunicativo. Soprattutto perché io non sono nessuno per proporlo. Era un’esortazione a pensare fuori dagli schemi mentali che ci hanno condannato all’irrilevanza. Non voleva essere una soluzione pronta all’uso, ma una provocazione.

Spero di aver chiarito le questioni che ha posto e che forse avevo spiegato poco chiaramente.

Buona giornata,
Leonardo Accardi

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