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Referendum su Augusto Pinochet: Cile libero

Prima del 2001, l’11 settembre era comunemente riferito al colpo di Stato in Cile ad opera di Pinochet. Esattamente 30 anni fa, il Paese riacquistava la democrazia.

Figlio di un funzionario di dogana (come un vecchio collega-dittatore del passato), Augusto Pinochet era un personaggio del tutto anonimo prima di prendere il potere in Cile. Non che non si sapesse chi fosse, ma egli era ritenuto un uomo scialbo: l’esercito – che scalò fino al grado di generale non senza l’appoggio politico di chi poi rimpiazzò alla Presidenza del paese – era come seconda casa per lui; poco l’interesse per la politica negli anni Cinquanta. Prima del 2001, l’11 settembre era comunemente riferito al colpo di Stato in Cile. La data ripercorreva nell’ordine: l’assalto al Palazzo della Moneta, l’omicidio di Salvador Allende (marxista, fondatore del Partito Socialista Cileno) e la presa del potere della giunta militare. Quella di Pinochet era una dittatura, un regime profondamente autoritario che durò oltre tre lustri, con il placet degli americani: è oramai acclarato che la CIA – quindi l’amministrazione di Richard Nixon all’epoca – sostenne il generale nel suo colpo di Stato autunnale.

L’uomo forte arriva sempre nei momenti di crisi. Crisi politica, crisi istituzionale, crisi economica, crisi sociale. Di solito, il futuro uomo forte proviene da un contesto modesto ed umile; passa dunque sottotraccia quando intende far breccia nell’opinione pubblica. Magari è anche timido, non desideroso di apparire, dedito al suo lavoro, alla sua mansione. Fino al grande momento, fino alla “grande occasione” della vita: quella di spiccare il volo verso la forsennata la presa del potere politico. Le modalità con cui questo si conquista sono diverse: colpi di stato (con mano militare) ed elezioni favorevoli che degenerano in autoritarismo sono le due forme predilette che gli aspiranti dittatori usano per consolidare il loro ruolo alle vette della società.

Il Maccartismo degli anni Cinquanta – cioè l’ossessiva caccia ai comunisti che ebbe sfumature sotto altri nomi e dottrine fino agli anni Settanta – nell’ottica statunitense andava esportato anche in Sud America, regione particolarmente strategica per gli Stati Uniti. Il sostegno più o meno visibile ai governi filoamericani rientrava nella cosiddetta Operation Condor, per cui in diversi stati dell’America Latina si diede il via ad una serie di politiche repressive e torture degli oppositori politici sgraditi al regime di turno, quindi a Washington. Dal Paraguay al Brasile, dall’Uruguay all’Argentina. A Santiago, la Gestapo cilena si chiamava DINA: migliaia di arrestati, migliaia di emigrati. Esecuzioni, rapimenti, torture, carovane della morte. Il regime cileno fu spietato nei confronti dei dissidenti, molti dei quali lasciarono il paese.

Paese che ancora oggi a livello di opinione pubblica conferisce a Pinochet lo status di personalità controversa, non – unanimemente – quello di brutale dittatore che egli fu. Come diversi uomini forti che in Europa regnarono incontrastati fino agli anni Settanta (António Salazar in Portogallo e Francisco Franco in Spagna) anche Pinochet era un cattolico praticante.

Dio, patria e famiglia, certamente; ma a differenza dello statalismo imperante negli ambiti economici che contraddistingue ogni dittatore – di destra e di sinistra – nei primi tempi del regime Pinochet si affidò parzialmente alle politiche dei Chicago boys.

Conseguentemente alzò il livello di benessere nel paese (anche se è vero che poi l’esperimento liberista venne abbandonato a favore di intense nazionalizzazioni), ma ad un prezzo inaccettabile: la sospensione della democrazia. Contrariamente alla relativa e debole libertà economica, mancava la libertà politica: i partiti politici, ad esempio, vennero messi al bando – a cominciare da quello socialista – e venne inaugurata la censura.

La crisi petrolifera del 1973 si abbatté anche sulla fragile economia cilena (meno cinque per cento del PIL, fino al meno dodici di due anni dopo). Rinascita nel 1977 (più dieci per cento), con crescita media attorno al sette per cento fino al 1982 (meno undici per cento), crescita del cinque per cento medio fino al 1990. Controverse dunque le parole di Milton Friedman – ispiratore delle politiche neoliberiste – che nel 1980 affermò: «Il Cile non è un sistema politicamente libero, e io non posso perdonare questo. Ma il popolo è più libero che nelle società comuniste perché il governo ha un ruolo più piccolo. Le condizioni delle persone in questi ultimi anni sono andate sempre meglio e non peggio. Sarebbero ancora meglio se riuscissero a sbarazzarsi della giunta ed essere in grado di avere un sistema democratico libero.»

Sembra un paradosso, ma fu Pinochet stesso che stabilì i limiti della sua permanenza a dittatore del paese, grazie ad un cambio di Costituzione (approvato dal referendum popolare, guarda a caso, dell’11 settembre 1980 ed entrato in vigore l’anno successivo) che gli consentì di restare al potere fino al 1988, quando si sarebbe tenuto un altro referendum per confermarlo o meno per altri otto anni. Pinochet mantenne la promessa, ma non voleva sotto sotto accettare la volontà popolare di chi – nonostante la floridità dell’economia cilena e, d’altra parte, la truce violenza del regime – decise di porre fine democraticamente alla tirannia del generale. Scaricato anche dagli americani (l’amministrazione di Ronald Reagan cominciò a prendere le distanze dal dittatore), Pinochet fu messo con le spalle al muro: riconobbe ed accettò l’esito del referendum in cui solo il quarantacinque per cento dei votanti si espressero a suo favore.

L’altro cinquantacinque per cento era a favore di nuove elezioni. Libere e democratiche. Erano i “giorni dell’arcobaleno”, per riprendere il titolo del film del 2012 che ripercorre le vicende referendarie di allora. Come ha scritto Fareed Zakaria in The Future of Freedom, alla fine Pinochet ha portato il suo paese verso la liberaldemocrazia. La transizione fu lenta: le elezioni si tennero nel dicembre del 1989; pochi giorni prima, nella vecchia Europa, erano caduti muri e frontiere. La vittoria del partito cristiano-sociale di Patricio Aylwin (oltre cinquantacinque per cento dei consensi) fu l’inizio della democrazia in Cile. Era l’11 marzo del 1990: trent’anni fa.

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