L’invasione dell’Ucraina è un evento che allo stesso tempo rappresenta una sconfitta e una prova dell’utilità del diritto internazionale. Da una parte Vladimir Putin ha iniziato una guerra in violazione di numerosi principi di diritto internazionale, sia di natura pattizia che di natura consuetudinaria. Possiamo citarne due: il divieto dell’uso della forza (sancito dall’art.2,§ 4, della Carta Onu) e il rispetto dell’integrità territoriale di uno stato sovrano ed indipendente.
Dall’altra parte, però, la reazione dei paesi che hanno deciso di opporsi alle scelte del Cremlino si è articolata nell’imposizione di pesanti sanzioni economiche e nell’avvio di una guerra che è stata definita giuridica, attraverso il ricorso a tribunali internazionali. Bisogna subito chiarire che a differenza degli ordinamenti interni nazionali a livello internazionale non esistono giudici sovraordinati: la funzione giudiziale non ha natura obbligatoria; da ciò deriva il carattere volontario e consensuale della giurisdizione internazionale.
Il governo ucraino a seguito dell’invasione russa ha deciso di muoversi in due direzioni: ha denunciato la Russia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), contestando le ragioni addotte da Mosca per giustificare l’invasione; si è rivolto alla Corte penale internazionale (CPI) dell’Aia, la cui giurisdizione ha per oggetto la responsabilità penale individuale e non la responsabilità internazionale degli Stati al cui apparato di governo gli imputati appartengono. In altre parole è solo la CPI che può incriminare i leader russi, in primis Putin. In base all’articolo 5 del proprio Statuto la Corte è competente in relazione a quattro categorie di crimini internazionali: i crimini contro l’umanità, il crimine di genocidio, i crimini di guerra e i crimini di aggressione.
Secondo il diritto internazionale costituiscono crimini internazionali quelle attività che vanno a ledere valori che trascendono gli interessi delle singole comunità statali, e nei confronti delle quali si crea nella comunità internazionale un’esigenza generalizzata di repressione. I crimini internazionali si dividono in treaty crimes e core crimes. Mentre i primi contemplano solo crimini internazionali previsti da norme pattizie, i secondi sono fondamentalmente quelli sopra elencati. La CPI ha aperto un’indagine sull’invasione dell’Ucraina su richiesta di 39 paesi: il comportamento russo è infatti configurabile come un crimine di aggressione che, in base alla risoluzione 3314 (XXIX) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per poter essere effettivamente considerato tale è necessario che sia attribuibile a un dirigente politico o militare e deve rappresentare una evidente violazione della Carta delle Nazioni Unite. Entrambe le condizioni sono soddisfatte: l’autore del crimine in questione è facilmente identificabile e le sue azioni rappresentano la violazione di diverse norme di jus cogens e una minaccia alla pace alla sicurezza internazionali.
Sebbene a parole il procedimento per mettere alla sbarra i leader russi sembri abbastanza lineare in realtà i problemi sono molti. In primo luogo la giurisdizione della CPI è limitata da criteri di connessione ratione loci (il crimine è commesso sul territorio di uno degli stati parte) e ratione personae ( il crimine è commesso da o ai danni di un cittadino di uno degli stati parte). Né la Russia né l’Ucraina fanno parte della Corte. O meglio: l’Ucraina ha firmato lo Statuto senza però ratificarlo, la Russia ha addirittura ritirato la firma. Questo è un chiaro esempio della natura arbitrale dell’accertamento giudiziale internazionale: senza la volontà delle parti non si va da nessuna parte.
La CPI non può non attenersi ai due criteri prima descritti a meno che il Consiglio di Sicurezza ONU non decida di esercitare il potere di referral (cioè di attivazione della giurisdizione della Corte) previsto dall’art. 13 dello Statuto. Tuttavia l’esercizio di tale prerogativa è limitato dal fatto che la Russia ha il diritto di veto per le votazioni su questioni non procedurali. Secondo questa prassi non può essere adottata o autorizzata dal CdS alcuna misura che trovi l’obiezione di uno dei cinque membri permanenti (Russia, Cina, USA, Francia e Gran Bretagna).
Inoltre Putin in quanto capo di stato gode dell’immunità diplomatica e anche nel caso in cui la CPI decidesse di emettere un mandato di arresto l’esecuzione dello stesso non sarebbe possibile finché egli rimane Presidente della Federazione Russa e dipenderebbe dai paesi membri del tribunale perché non esistono organi di polizia internazionali indipendenti dagli Stati dotati di funzioni coercitive e sanzionatorie.
Per concludere possiamo affermare che denunciare un capo di Stato e portarlo davanti alla Corte come imputato in un processo penale sono due cose diverse. La condanna davanti al Tribunale penale prevede che sia dimostrata la responsabilità individuale dell’imputato, cioè la persona o è l’autore del crimine in questione oppure il crimine è il risultato di politiche favorite o appoggiate dall’imputato stesso. È chiara la considerazione che la classe dirigente russa ha del diritto internazionale: carta straccia. Nonostante questo è importante che la giustizia internazionale faccia il suo corso non tanto perché in grado di fermare l’invasione ma perché, unita alla guerra economica, capace di intensificare il clima di pressione sulla classe dirigente russa e valida per fornire strumenti importanti in caso di avvio di negoziati di pace credibili.
2 comments
perfetto.
ps: “la funziona giudiziale”
pps: ti chiami davvero Lupo?!! :)
Grazie!
Sorry errore di battitura. Ebbene sì, Lupo è proprio il mio nome.