In Italia siamo alla quarantesima dittatura, al centesimo colpo di Stato e al millesimo sfregio alla democrazia. Eppure quelli che strillano continuamente contro queste catastrofi, non solo hanno la più totale libertà di dirlo, ma possono anche presentarsi alle elezioni e prendere parecchi voti. Quando ci si avvicina alla materia del referendum costituzionale la prima cosa da fare è smetterla con le isterie, da entrambe le parti. L’approvazione della riforma non porterà a nessuna dittatura, la sua cancellazione non porterà a nessun disastro economico. Dobbiamo invece chiederci: Questa riforma fa funzionare meglio il Paese?
Il punto è questo, sta nei contenuti, ma quello che vedo in moltissimi sostenitori del no è solo una voglia di fare sgambetti a Renzi, di fare opposizione ad ogni costo, di dire no a qualunque riforma. A parole tutti vogliono il cambiamento in Italia, ma quando si inizia a metterlo in atto le levate di scudi sono impressionanti. Dato che le alternative al PD non sono certo più esaltanti, significa che questa gente direbbe di no a qualunque riforma proposta da qualunque governo; il vero dramma di una vittoria del no sarebbe l’impossibilità di riformare questo Paese. Questo sentimento viene motivato anche da eminenti intellettuali, che puntano il dito contro la “riforma di Verdini” e invocano una sfiducia preventiva, solo perchè l’attuale classe politica non è all’altezza di quella del dopoguerra allora bisogna rifiutare qualsiasi riforma venga proposta.
Ma questa riforma è nata da un accordo generale fra Renzi e Berlusconi, perché le riforme bisogna provare a farle insieme, per poi essere scritta nel dettaglio da politici e studiosi di area PD, non da Verdini, che l’ha soltanto votata. Esattamente come i sostenitori del no vedranno votare assieme Rifondazione Comunista e Casapound, Forza Italia ed il Movimento Cinque Stelle.“Eh, ma anche il MSI ed il PCI spesso votavano no insieme”, è vero, ma molti soggetti elencati sopra non sono insieme soltanto nel dire di no, condividono anche una serie di affermazioni, tipo il senato eletto direttamente, il bicameralismo paritario, il “conservatorismo costituzionale” che vede la Carta come un qualcosa di perfetto e di immutabile, quando invece bisognerebbe capire che ciò che funzionava 50 anni fa non deve necessariamente andar bene anche oggi. Questa armata brancaleone afferma anche dei principi, esattamente come lo fanno i Verdini e gli Alfano che votano la riforma, ma loro fanno schifo, mentre comunisti, fascisti, Grillo e Salvini a quanto pare vanno bene. Bisogna avere il pragmatismo di capire che l’Italia e la politica di oggi sono questo, sono anche gli Alfano, i Verdini e i Nazareni, che per fare le riforme servono, se non altro per avere voti in Parlamento.
Non ha nessun senso invocare una nuova Costituente, con un Parlamento eletto col proporzionale puro oggi non ci sarebbe alcuna maggioranza per fare le riforme, vista l’enorme forza di chi fa politica solo per dire di no e di chi la serietà non sa neanche dove stia di casa, come Forza Italia che prima ha votato questa riforma e poi si è schierata contro lo stesso identico testo, solo perchè non si è eletto al Quirinale un candidato di loro gradimento. Come è pretestuoso chi afferma che il Parlamento sia andato oltre il suo compito di “revisione” della Costituzione: Tutta la prima parte non è stata toccata, i poteri del Governo e degli organi di garanzia neppure, la parte sugli enti locali non è più quella dei padri costituenti ma era già stata cambiata 15 anni fa.
Allora andiamo a vedere questa riforma nel merito, invece di approvarla o respingerla solo perchè l’ha fatta Renzi. Le attenzioni maggiori sono concentrate sulla riforma del Senato e qui, su una cosa, va subito data ragione ai comitati del no: Il problema non è tanto il “ping pong” delle leggi fra Camera e Senato, non è la lentezza con cui vengono fatte, come giustamente fanno notare il tempo medio di approvazione è di qualche decina di giorni e bisogna prima vedere se sono buone leggi, invece di approvarle frettolosamente. Questo è vero, ma il problema è un altro. Il problema con cui facciamo i conti da quasi 25 anni è che spesso abbiamo auvto composizioni molto diverse da Camera a Senato, costringendo a costruire maggioranze di governo instabili, raccogliticce e spesso contrarie al voto degli elettori. Ciò è avvenuto non soltanto nel 2006 e nel 2013, dove si potrebbe dare la colpa alla legge elettorale, ma anche nel 1994. Si tratta quindi di un problema strutturale, presente non sempre, ma spesso. Con la riforma invece sarà soltanto la Camera a dare la fiducia al Governo e ad approvare buona parte delle leggi, risolvendo questo problema di instabilità.
Allora perchè fare il Senato delle Regioni? Perchè dopo la riforma del 2001 si sono dati nuovi ed utili poteri alle Regioni, che su alcune materie hanno ricevuto competenza esclusiva, mentre su altre hanno avuto competenza a legiferare insieme allo Stato (la competenza “concorrente), mentre su altre materie ancora la competenza rimane esclusivamente dello Stato. Innanzitutto si è visto che alcune competenze date alle sole Regioni non hanno funzionato, ad esempio sul turismo si è avuto un frazionamento regionale della nostra promozione che ci ha resi più deboli sui mercati globali, oppure interi settori come la formazione professionale dei lavoratori sono diventati delle mangiatoie indegne per gli amici degli amici, o ancora si è avuta un’insensata partizione regionale sulla ricerca ed i mercati assicurativi. Con la riforma, su questi temi si ha almeno uno Stato centrale che coordina le politiche, lasciando poi una certa autonomia alle Regioni, ampliandola quando la Regione in questione è virtuosa sui bilanci. Tuttavia è anche emerso che sulle materie “concorrenti” si avevano due galli nello stesso pollaio, lo Stato e le Regioni si contendevano lo competenza a legiferare e questo ha generato numerosi conflitti e contenziosi. La riforma risolverà il problema in due modi, in primis abolendo le competenze concorrenti, sostituite da un sistema dove lo Stato centrale crea una normativa generale e comune a tutti, mentre alle Regioni spettano le norme più dettagliate all’interno di questa cornice (ferme restando le altre materie dove o lo Stato o le Regioni hanno competenza esclusiva).
In secondo luogo, proprio per evitare i conflitti del passato, si crea un ente che fa da raccordo, da linea di collegamento, fra lo Stato centrale e le Regioni. Questo è il nuovo Senato previsto dalla riforma e questo è il suo scopo, che infatti sarà quello di occuparsi soltanto delle materie costituzionali ed elettorali (vista la loro delicatezza), dei rapporti con gli enti locali (per i motivi detti sopra) e con l’Unione Europea, visto che bisogna coordinarsi anche con un altro organismo legiferante che è per l’appunto l’UE. E’ per questo che il nuovo Senato non sarà eletto direttamente dai cittadini, perché altrimenti perderebbe le sue caratteristiche di collegamento fra Stato centrale ed enti locali, sarebbe di nuovo un doppione della Camera. 95 senatori saranno eletti dai consigli regionali, che sono votati dai cittadini, e 5 saranno nominati a tempo determinato dal Presidente della Repubblica. I nuovi senatori non saranno eletti dai marziani. Trovo discutibile che 21 di questi senatori debbano essere sindaci, che secondo me dovrebbero fare i sindaci e basta, ma mi sembra tutto sommato un tema secondario.
Diversi puntano il dito contro la “casta regionale”, che effettivamente conta al suo interno numerosi personaggi discutibili, e contro “l’immunità parlamentare” di cui godrebbero i nuovi senatori. Qui siamo al solito scandalismo e faccio notare come molti sostenitori del no facciano campagna quasi esclusivamente su questo aspetto “manettaro”, invece di chiedersi se questa riforma farà funzionare meglio il Paese o meno. L’immunità parlamentare in Italia non è totale ed è simile a quella di molti altri Paesi europei, ma questo non ci ha impedito di avere un classe politica molto più corrotta della media. Immunità o non immunità non cambia nulla, per i senatori c’era anche prima e semplicemente continuerà ad esserci. Certo, si poteva seguire il modello tedesco anche qui (dove per il loro “senato delle regioni” l’immunità non c’è) ma credo che faccia poca differenza e come avrò modo di dire, il punto non è questo.Semmai bisogna riflettere sul senso dell’immunità parlamentare in entrambe le Camere, non solo per una. Del resto, se l’immunità deve esserci per un ramo del parlamento, perchè non deve esserci per l’altro? Se bisogna proteggere i deputati da eventuali persecuzioni politiche, perché non deve essere lo stesso per i senatori?
Se vogliamo una politica pulita l’unica arma è il voto, è votare politici onesti. La responsabilità è in mano agli elettori e se questi vedono dei consiglieri regionali disonesti e che vengono mandati in Senato per godere di una parziale immunità (cosa che peraltro può avvenire già oggi, basta che i loro partiti li candidino in posizione sicura alle successive elezioni), gli elettori smettano di votarli. Molto del malaffare nelle Regioni è potuto avvenire perchè sono pochi i cittadini che seguono i lavori dei consigli regionali, che quindi possono più agire nell’ombra. Se parte di questo lavoro viene portato sotto i riflettori della politica nazionale, grazie al nuovo Senato, si può avere solo un aumento di visibilità e trasparenza e quindi un deterrente nei confronti delle ruberie. Chi realmente disprezza gli elettori e gli vuol togliere il diritto di esprimersi sono proprio i sostenitori del no, che vedono i cittadini come incapaci di votare dei consiglieri regionali per bene e che pertanto hanno bisogno di una qualche legge che stabilisca per loro cosa è meglio fare. L’ideologia dell’irresponsabilità (e quindi la massima umiliazione dell’individuo) secondo cui il male è sempre colpa degli altri, del “sistema” cattivo, e mai delle scelte sbagliate dei singoli.
Vale la pena aggiungere che questa riforma non è un qualcosa di campato per aria, senza connessioni con quello che succede nel mondo. E’ in buona parte ritagliata sul sistema tedesco, dove anche lì c’è una sorta di Senato (il Bundesrat) eletto dalle loro regioni (i Lander) e con competenze simili al nuovo Senato italiano. La Germania è forse una feroce dittatura? E’ forse uno Stato così mal funzionante e pasticciato? Un altro esempio interessante ci è dato dagli USA, dove il Senato ha addirittura competenze maggiori della loro Camera (oltre a votare su tutte le leggi, può anche respingere molte nomine presidenziali) e dal 1789 al 1913, per la bellezza di 124 anni, è stato eletto dalle assemblee legislative dei singoli Stati e non direttamente dai cittadini. In quegli anni gli Stati Uniti sono stati forse una nazione dittatoriale? Anzi, erano una delle più libere e democratiche al mondo. Si potrà obiettare che poi sono passati all’elezione diretta, ma questo è avvenuto perchè si è visto che il loro sistema garantiva comunque quel clima di collegialità e pragmatismo che si richiedeva al Senato (e tuttora si registra rispetto alla Camera dei Rappresentanti) e che si vuole creare anche nel nuovo Senato italiano. I senatori americani hanno infatti mandati lunghi (6 anni, contro i 2 dei loro deputati), sono eletti in grandi collegi che coprono l’intero Stato di elezione, gli equilibri interni cambiano lentamente perchè ogni due anni si rinnova un terzo dei membri. Questo è sufficiente a mantenere le caratteristiche desiderate anche con l’elezione diretta, ma è evidente che per riprodurre tutto questo in Italia sarebbe servita una riforma ancora più vasta e del tutto impraticabile, pertanto si è adottato con alcune modifiche il modello tedesco, molto più vicino a noi. Gli USA sono passati all’elezione diretta perchè i posti di senatore in palio sono soltanto due per Stato, cosa che generava conflitti e malcostume soprattutto nelle assemblee legislative degli Stati più grandi, dove i pretendenti alla carica, le fazioni politiche e le categorie sociali desiderose di rappresentanza erano numerose ed i soli due posti disponibili lasciavano molti a bocca asciutta. Adottando però il modello tedesco, che sta funzionando bene da decenni, ogni Regione avrà un numero di senatori proporzionale alla sua popolazione, dando quindi rappresentanza alle varie sensibilità politiche ed ai vari ceti sociali.
Si vede allora come questa riforma si inserisca in una storia ed in una scuola di pensiero ben fondata e molto seria, ha legami con altre esperienze di grande successo, non è il parto solitario di una qualche mente malata. A margine di tutto questo c’è poi la polemica ossessiva sul “combinato disposto” tra questa riforma e l’Italicum, che secondo le confuse isterie di qualcuno assumerebbe i connotati di piaga biblica. Quando poi si va a vedere in cosa consista realmente questo “combinato disposto”, si scopre che semplicemente consentirà a chi vince le elezioni di poter governare. Orrore Orrore! Dittatura! La democrazia sono i partitini e le correntine che ricattano e che fanno gli inciuci dopo il voto, quella sì che è la democrazia! Si dice che chi avrà la maggioranza in entrambe le Camere potrà eleggersi il Presidente della Repubblica ed i componenti di vari organi di garanzia, ma già oggi funziona così! Già adesso, già con la vecchia Costituzione, chi ha la maggioranza in entrambe le Camere (non è successo sempre, ma è successo) può mettersi a nominare chi vuole e a cambiare la Carta. Allora perché la democrazia sarebbe in pericolo solo con la riforma?
In realtà il nuovo Senato costituisce un ulteriore elemento di garanzia, perlomeno se parliamo di modifiche della Costituzione, di legge elettorale, di elezione del Presidente della Repubblica e dei 5 giudici su 15 della Corte Costituzionale (dove il sistema cambia, ma non in modo sconvolgente, visto che per il Presidente i delegati regionali sono ormai inutili col nuovo Senato e vengono tolti, mentre per la Corte si evitano le impasse del passato facendone eleggere 3 dalla sola Camera e 2 dal solo Senato, invece che da entrambi i rami del Parlamento collettivamente). Dicevo, si hanno maggiori garanzie perchè prima si poteva conquistare la maggioranza in entrambe le camere in una sola tornata elettorale, mentre ora per avere la maggioranza al Senato bisogna vincere in parecchie Regioni ed in tornate elettorali distribuite nel tempo, rendendo più difficile avere “maggioranze autoritarie” in entrambe le Camere.
Va segnalata, infine, l’abolizione definitiva delle Province, di enti inutili come il CNEL e la cancellazione degli stipendi dei senatori, che saranno anche ridotti da 315 a 100. Non saranno grandi risparmi, ma è comunque un segnale positivo. Ci sono poi aspetti che non condivido di questa riforma, come il fatto che si rendano più facili ed estesi i referendum (mentre chi scrive è per abolirli), ma è curioso che i grandi sostenitori della democrazia diretta siano adesso contrari a queste innovazioni. Fanno sorridere anche quelli che si schierano contro perchè “questa riforma non fa abbastanza”. Intanto però sono dei passi avanti importanti, non è facile far passare una riforma in Parlamento, non si può pretendere la perfezione, bisogna fare sempre delle mediazioni.
Con questo spirito di pragmatismo, che guarda alle riforme che fanno funzionare meglio il Paese senza badare agli odi di partito, sostengo attivamente il sì al referendum. E’ una battaglia difficilissima, viste le forze imponenti che si stanno schierando contro, ma è un dovere farla.
2 comments
Articolo che punta a ribadire elementi triti e ritriti ma non elimina il vizio genetico delle cosiddette “ragioni del sì”, ovvero sia, che quando prova a motivare “nel merito” si scontra con gli enormi limiti delle stesse.
La riforma non produrrà alcun autoritarismo, ma più probabilmente non produrrà alcun beneficio, e certo nessuno di quelli attesi dai suoi sostenitori. Il nuovo Senato tutto sarà fuorché una copia del Bundesrat: in questo sono rappresentati gli Stati tedeschi, i loro Governi, nel nostro saranno rappresentati i partiti, saranno questi ultimi, infatti, a scegliere sindaci e consiglieri regionali sulla base di logiche meramente di bottega.
Ridicolo, peraltro, pretendere che il nuovo Senato possa funzionare da camera di compensazione di interessi centrali eventualmente contrapposti a quelli periferici, quando la contro-riforma del Titolo V, di fatto, riduce il potere delle Regioni. Legga gli scritti di Mangiameli, il sig. Cecchi, ne ha da imparare! Che le Regioni si siano dimostrate, in larga parte, inadeguate a svolgere il ruolo loro affidato, é nei fatti, ma é nei fatti, anche, seppur meno noto, che nel mancato compimento del regionalismo gravissime responsabilità vanno cercate nello Stato centrale e nella Corte Costituzionale stessa, le cui circonvoluzioni giuridiche sui conflitti di competenza hanno causato danni persino peggiori dei conflitti stessi.
Sulla formazione delle leggi, si ammette, che non vi é alcun problema, oggi, di lentezza di formazione delle stesse; si omette per contro ogni riferimento all’ircocervo di procedimenti differenziati che caratterizzerebbe la formazione delle leggi, secondo la natura di queste, nel nuovo Parlamento riformato.
Dunque, perché facciamo questa riforma? Domanda la cui risposta resta inevasa. Si dice, per dare un segnale, per dimostrare che questo Paese sa cambiare. Bene, anzi, male, malissimo. Non si fanno riforme per dare segnali, si fanno per ottenere miglioramenti dello statu quo, e a vantaggio del Paese nel suo complesso, ben sapendo che nessuna riforma potrà mai accontentare tutti. Vogliamo berci la barzelletta che vuole l’attuale Costituzione di ostacolo all’economia? E in che modo sarebbe di ostacolo, ce lo dica il libertario Cecchi, siamo tutt’orecchi! Forse facciamo la riforma per levarci dai piedi l’inutile CNEL e le (Cecchi non lo dice, forse si limita a pensarlo) le “inutili” anch’esse Province. E dopo aver eliminato queste terribili palle al piede dello sviluppo, ecco radioso sorgere il sol dell’avvenire. Sole che splenderà, peraltro, sugli “enti d’area vasta” che sostituiranno le Province, giacché persino un riformatore ottuso come quello italiano s’é accorto, nel frattempo, che eliminando le istituzioni non si eliminano i temi da cui generano le funzioni esercitate da quelle medesime istituzioni.
Insomma, comunque la si giri questa riforma appare confusa, a tratti cervellotica, fondamentalmente, poco e male supportata da motivazioni di oggettiva necessità. Quanto all’ipotesi che qualora essa non arrivi alla meta, ciò costituirebbe una pietra tombale su qualsiasi altro tentativo di riforma, siamo alla ridicolaggine. La Costituzione, dal 1948 a oggi, é stata riformata, in varia misura, ben 35 volte, sì signori, 35. Un po’ tante per dire che questo Paese é allergico alle riforme (che invece, si pensi a quelle riguardanti la PA o la scuola) vengono fatte a ciclo continuo: sono i loro esiti a essere quasi sempre disastrosi, chiediamoci perché.
Quando si parla con quelli del no ci si trova sempre di fronte a dei fiumi di parole e panegirici che non dicono assolutamente nulla, ma servono solo ad allungare il brodo e confondere, tipico di quando i contenuti scarseggiano.
La storia che i componenti del Bundesrat rappresentino solo i Lander e non i partiti è falsa, rappresentano invece i partiti maggioritari nei vari Lander che li hanno eletti, con le medesime “logiche di bottega” che si prefigurano per l’Italia.
Mi leggerò gli articoli di tal Mangiameli, ma chi mi ha risposto non ha neppure letto l’articolo che commenta.
E’ vero che su alcuni ambiti si riduce il potere delle Regioni, ma negli ambiti dove queste hanno fallito e NON per i conflitti con lo Stato centrale, perchè si trattava di ambiti che gli erano affidati in via esclusiva.
I problemi con la Corte Costituzionale non si possono cancellare con la spugna (e non oso immaginare le grida al “regime” se si fossero andati a toccare i poteri della Corte!) ma la nuova formulazione di quelle che erano la materie “concorrenti” fra Stato e Regioni permette di ridurre i conflitti, nella riforma queste competenze vengono attribuite allo Stato riguardo alle norme generali ed alle Regioni per il dettaglio e l’amministrazione, è comunque un avanzamento rispetto ad una confusa “coabitazione” normativa.
Come non esiste alcun “ircocervo di procedimenti legislativi”, se ci sono 9 diverse strade per arrivare a Roma invece di una sola, non vuol dire che arrivare a Roma diventa più complicato, vuol dire che ognuno potrà scegliersi la strada più adatta.
Riguardo agli enti aboliti poi si tratta di una faccenda più secondaria, ma comunque positiva. E’ vero che sorgeranno altri enti per colmare al vuoto delle Province, ma saranno comunque qualcosa di meno delle vecchie Province.
Sono cose che tutti dicono di volere da 20 anni, però quando qualcuno finalmente le fa ecco che si va a trovare il pelo nell’uovo.
Qui di confuso ci sono soltanto i sostenitori del no, alla ricerca di qualunque e contraddittoria motivazione per dire di no a qualsiasi riforma.
Perchè è vero che di modifiche alla Carta se ne sono fatte tante, ma raramente di questa portata. E’ un treno che passa e se non lo prendiamo, non so quando potrà tornare.