A prescindere dalle analisi sulla composizione del voto britannico (vecchi vs giovani, laureati vs non-istruiti e così via), ci sono forse degli aspetti che sfuggono a chi crede in quel progetto europeo avviato ormai decenni fa da pochi statisti illuminati che ancor oggi rimpiangiamo.
Il voto sulla Brexit è un duro colpo, inutile negarlo. Si può chiedere vendetta, si può auspicare che si pentano della scelta, si può inveire contro lo strumento referendario, ma ciò sarebbe controproducente e la ferita resterebbe importante. Ferita che si allieva solo parzialmente se si guarda alla natura sempre un po’ diffidente del popolo britannico (inglese in primis) verso le politiche del continente, ma che torna a bruciare se si osserva che quanto accaduto gode di molta popolarità anche in altri Paesi del continente, come l’Italia.
Ma cosa abbiamo veramente sbagliato in questi ultimi anni, da quando le voci anti-europee hanno iniziato a crescere nei sondaggi a seguito dell’esplodere della recessione? Ci pensavo ieri, insistentemente.
Forse abbiamo sbagliato nel contrastare gli anti-europeisti con la loro stessa arma: la paura. Son più bravi di noi in questo, c’è poco da fare. Paura dell’immigrato, paura dell’Euro impostoci per rovinarci, paura per le aziende nazionali danneggiate dall’Ue, paura per i diritti dei lavoratori, paura per il TTIP che smantellerà il nostro sistema sanitario, paura per la distruzione della pesca e dell’agricoltura in favore delle multinazionali, e tanto altro ancora.
Noi in qualche modo abbiamo provato ad imitarli, ignorando che tra l’originale e la brutta copia vince sempre il primo. Perché a un certo punto abbiamo quasi smesso di comunicare e spiegare i vantaggi di un mercato unico o le opportunità dell’integrazione economica e monetaria, abbiamo quasi terminato di affermare che l’Unione è fondamentale anche da un punto di vista geopolitico e non solo economico (per non finire di nuovo come campo da gioco di una nuova guerra fredda), abbiamo omesso di rimarcare il ruolo dell’Ue nella protezione dei diritti del consumatore (sia a livello di prezzi, sia di truffe, sia di privacy). E di cosa abbiamo parlato? Di paura. Della paura di cosa potrebbe accadere all’indomani di un’uscita dall’Unione e dall’Euro. Scenari apocalittici, un disastro economico e finanziario, un ritorno ad un’economia terzomondista, corse agli sportelli, fino ai più drammatici che paventano una guerra civile. Per non essere frainteso: in caso di uscita di un Paese come l’Italia ci sarebbero degli effetti economici e sociali molto negativi, questo è abbastanza pacifico.
Ma così facendo si è forse creata l’immagine di una prigione che sventola la bandiera Ue. Una prigione nella quale non si vive bene, ma dalla quale per evadere bisognerebbe superare a nuoto un tratto di mare affollato da coccodrilli. No, non può essere questa la figura dell’Unione presente nell’immaginario collettivo.
Torniamo a parlare dei vantaggi, delle opportunità, delle speranze. Crescita interculturale, mobilità sociale, protezione dei consumatori nei confronti di imprese predatrici e dei cittadini nei confronti degli stati spendaccioni, prevenzione da aiuti di stato anti-concorrenziali sulle spalle dei contribuenti, fine delle politiche bancarie nazionali volte a colludere ed a salvare i national champions etc.
Vendendo paura ci snaturiamo, senza riuscire ad essere efficaci nella comunicazione. Basta dire che fuori dall’Ue c’è solo il buio, meglio insistere sul fatto che dentro possa splendere una luce migliore.
Mi è venuto in mente il discorso finale di Andrew Shepherd nel film “The American President” e quel passaggio sul rivale, il senatore Bob Rumson: «..a lui interessano due cose, e due cose soltanto..farvi provare paura e dirvi chi dovete incolpare, è così signore e signori che si vincono le elezioni..».
Diffondiamo speranze, opportunità, vantaggi; meglio confutare punto per punto le paure piuttosto che alimentarne di nuove.
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