Piero Ostellino compie 80 anni. Da qualche mese ha abbandonato il Corriere della Sera ed è passato a scrivere per Il Giornale della famiglia Berlusconi.
Una scelta che ha fatto scalpore non tanto per la destinazione (in realtà più consona per lui rispetto al Corriere) quanto per la motivazione sottostante: lasciava il Corriere – di cui era stato collaboratore per 48 anni e direttore per 3 – a causa della decisione dei vertici di ridurre gli stipendi a tutti gli editorialisti del quotidiano milanese (nel suo caso si passava dall’esorbitante cifra di 270.000 euro netti annui a una più modica di 150.000).
Ma, più dell’oggi, è interessante tratteggiare la storia e un ritratto del personaggio.
Ostellino esordì al Corriere della Sera, sotto la direzione di Piero Ottone, come corrispondente da Mosca (e successivamente a Pechino); per il veto della componente comunista del giornale alla scelta dell’editore (che puntava su Alberto Ronchey), ne divenne direttore, imposto dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi.
In quei pochi anni da direttore reclutò giornalisti e collaboratori poi divenuti celebri (come Giuliano Ferrara, Vittorio Feltri, Giulio Tremonti, Roberto D’Agostino) ed emarginò quelli sospettati di simpatie comuniste (Antonio Padellaro e Gian Antonio Stella solo per fare due nomi).
Paolo Murialdi, storico del giornalismo, ha definito gli anni di direzione di Ostellino (1984 – 1987) una fase di “immobilismo editoriale”, tanto che fu proprio sotto la sua stagione che, nel dicembre del 1986, dopo quasi 10 anni, avvenne lo storico sorpasso de La Repubblica di Scalfari ai danni del Corriere.
Nel gennaio del 1987 La Repubblica, principalmente grazie al gioco a premi Portfolio, guadagnò in un colpo solo 180.000 copie di vantaggio sul rivale e il corriere della Sera decise pertanto di correre ai ripari rimuovendo Ostellino e insediando Ugo Stille come nuovo direttore.
Da fervente anti-comunista e craxiano divenne un filo-berlusconiano durante la seconda repubblica.
Negli ultimi 20 anni al Corriere della Sera, ha rappresentato infatti una delle colonne portanti del berlusconismo.
Lui rifiuta tale appellativo. Di fatto però ha sempre profuso il suo impegno di intellettuale militante alla costante e pervicace difesa di Berlusconi e del suo partito, in un modo fintamente terzista: evitando cioè se possibile di elogiarlo direttamente (al contrario di un Giuliano Ferrara che è sempre stato nei confronti del berlusconismo smaccatamente encomiastico), ma piuttosto scagliandosi contro chiunque cercasse di contrastarlo (dalla magistratura alla sinistra, passando per Fini). Tutto questo nel deliberato intento di favorire il Cavaliere.
Tra i tanti episodi: anni fa, al culmine delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Berlusconi e lo hanno poi estromesso dalla vita politica, invocò su Il Foglio la necessità di una non meglio precisata “pacificazione” fra antiberlusconiani e berlusconiani.
Oppure, quando nel 2001 l’Economist, allora diretto da Bill Emmott, si schierò apertamente contro Berlusconi descrivendolo come “unfit to lead italy”, Ostellino paragonò il settimanale inglese a “una zitella vittoriana”, sostenendo che il settimanale si esprimesse così perché accecato dal rancore per Berlusconi.
E ancora, durante il processo Ruby arrivò ad asserire che le ragazze che partecipavano alle serate con Berlusconi “sedevano sulla propria fortuna”, e che non c’era niente di male a far uso del proprio corpo ricavandone vantaggi “perché così da sempre va il mondo” (il tema è stato poi ripreso da una giornalista di Panorama, Il Foglio e Il Giornale – Annalisa Chirico – che ne ha tratto un libro dal titolo “siamo tutti puttane”).
Nel succitato articolo, che De Bortoli cercò di occultare confinandolo nelle pagine dei commenti senza richiamo in prima, usò testuali parole: “una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia, diciamo così, partecipe chi può concretarla non è automaticamente una prostituta. Il mondo è pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne l’indulgenza all’esame o al capo ufficio per fare carriera”.
Una tesi aberrante, che gli provocò un profluvio di proteste da parte di un gran numero di lettori scandalizzati e una lettera di una cinquantina di giornalisti del Corriere che si dissociavano dai contenuti dall’articolo.
Recentemente, tuttavia, ha anche ammesso il completo fallimento di quell’esperienza politica (incolpandone ovviamente gli ex alleati di coalizione), ma ciò significa poco.
Ora che si è esaurita la parabola politica di Berlusconi persino i berlusconiani più accaniti, in un estremo atto di resipiscenza, riconoscono che della tanto decantata rivoluzione liberale negli anni di governo di Berlusconi non si è vista traccia; e anche altri “esponenti del terzismo” del Corriere come Galli Della Loggia, Pierlugi Battista, Panebianco sono pervenuti, seppur anche loro con 20 anni di ritardo, alla medesima conclusione.
I suoi articoli sul Corriere si sono succeduti sempre uguali, intrisi di ideologia, densi di riferimenti e citazioni dotte dei classici del pensiero liberale, sdottoreggiando forse per convincere se stesso e gli altri di essere un autentico liberale oppure al solo fine di mostrarsi colto.
La sua rubrica si chiamava “il dubbio”. Buona pratica che lui per primo non mostrava di voler coltivare. Nei suoi editoriali faceva uso (e ancora seguita così) di un tono apodittico, sentenzioso, sprezzante (qualche tempo fa, indispettito dalle continue critiche dei lettori del giornale, li mandò letteralmente al diavolo).
Negli anni in cui scriveva per il Corriere, Ostellino ha fatto sfoggio di un garantismo peloso, tipicamente italiano: innocentisti a prescindere con gli amici, colpevolisti o giustizialisti coi nemici e gli avversari.
Ad ogni inchiesta o processo che vedeva coinvolti i vari Berlusconi, Moggi, Ricucci, Fazio, Riva, Ligresti, Ostellino era aduso tentare di scagionarli da qualsiasi accusa, a inveire contro i giornali e la magistratura; quest’ultima definita nel suo complesso “gente che non sa fare il proprio mestiere o lo fa con la (paranoide) presunzione di poter disporre della vita degli altri a proprio arbitrio”, “animata di un senso politico-palingenetico della funzione o di un’idea di se stessa che rasenta la paranoia” (mancava solo l’accusa alla categoria di essere mafiosi o affetti da turbe psichiche, ma d’altronde c’aveva già pensato il suo beniamino).
Per anni, impancandosi a unico vero rappresentante del liberalismo in Italia, ha propinato dalle colonne del giornale la solita ossessiva litania sul comunismo e la sua ideologia imperante, ammonendo che la sinistra italiana e la sua cultura politica sono state e rappresentano tuttora una iattura per il paese. Mai si è letta invece, da parte sua, una parola di sdegno, o di critica altrettanto dura, nei confronti di chi avrebbe dovuto rappresentare un’opzione politica autenticamente liberale e che invece di quei principi ha fatto scempio (la destra berlusconiana tanto per essere chiari).
Naturalmente non si vuol qui negare che il comunismo sia stato un regime politico totalitario che dovrebbe ripugnare chiunque tanto quanto analoghe esperienze storiche come il fascismo o il nazionalsocialismo, oppure che la sinistra italiana, col suo complesso di superiorità morale, la tendenza al conformismo e ad impartire un proprio “pensiero unico” da cui non ci si può discostare, non meritasse di essere duramente sferzata, tutt’altro; ma le intemerate di Ostellino derivano da una visione alquanto grossolana e ideologica della realtà (e probabilmente ciò è anche il portato della sua esperienza di cronista a contatto con le efferatezze del regime sovietico durante gli anni della guerra fredda).
Un integralismo feroce che lo porta, ad esempio, ad attribuire allo stato sovranazionale europeo gli stessi caratteri dell’Unione Sovietica, a definire Renzi “novello duce”, a stigmatizzare le sue riforme istituzionali come il prodromo di una dittatura (in questo le sue critiche sono indistinguibili da quelle della sinistra (post) comunista che lui tanto avversa) o, come altri ignoranti del dettame costituzionale, a lamentarne la mancanza di legittimità come presidente del consiglio in quanto non eletto dal popolo (d’altronde quando Monti diventò premier evocò il “colpo di stato” per le modalità della nomina).
E’ stato tra i primi, inoltre – non senza buone ragioni -, a lanciare i suoi strali contro Bergoglio, “papa terzomondista e pauperista”
Insomma, l’equilibrio e la sobrietà di giudizio non sembrano proprio appartenere al nostro pensatore (sedicente) liberale, che pare intingere la sua penna nel proprio estremo furore ideologico.
Ostellino appartiene a una schiera di liberali, maggioritaria in questa cultura politica ormai residuale, che interpretano il liberalismo in maniera stravagante e anarcoide, una concezione che considera un attentato alle libertà degli individui la mera presenza di regole e divieti e la presenza dello stato come un odioso intralcio volto a conculcare la libertà e i diritti dei cittadini.
Nel 2009 scrisse un libro intitolato proprio “Lo stato canaglia” (non era ancora in auge l’espressione “stato ladro” coniata da Giannino?) in cui stigmatizzava regole e sanzione stabilite dal legislatore (le più banali come l’autovelox o le multe per divieto di sosta o ai clienti delle prostitute) perché giudicate autoritarie e liberticide e si lanciava in una difesa sperticata dei diritti acquisiti (a proposito dell’intangibilità delle pensioni retributive).
Per dare un’idea, ecco un passaggio del libro: “il limite di velocità è diventato una forma di lotta di classe, le auto di grossa cilindrata sono il Palazzo di Inverno da assaltare e l’autovelox l’incrociatore Aurora che dà il via alla rivoluzione egualitaria”.
Ha scritto saggiamente Gianfranco Pasquino, allievo di Norberto Bobbio e di Giovanni Sartori, che non basta essere antisocialisti per definirsi liberali. E Ostellino più che un liberale sembra un reazionario.
Non bisogna stupirsi dunque se in Italia, dove troppi a parole si professano liberali senza esserlo veramente, questa cultura politica è così poco diffusa e impopolare.
Il merito, se così si può dire, è dovuto anche al fatto che a rappresentarlo sono personaggi come Ostellino e simili. Pannunzio li chiamava “liberali alle vongole”.
15 comments
Splendido articolo Elia. Una pietra tombale su Ostellino, neppure fuori luogo, data l’età, ed un sacrosanto altolà nei confronti dell’abuso, dell’APPROPRIAZIONE INDEBITA della parola LIBERALE e di tutto quello che dovrebbe sottendere.
GRANDE GRUPPO DI GIOVANI IMMODERATI !
Ostellino è un liberale immoderato e perciò è un liberale autentico, semmai i falsi liberali sono quelli che si definiscono liberali aggiungendo subito dopo “ma”: io sono liberale “ma” lo Stato è necessario, Io sono liberale “ma” il libero mercato va regolarizzato. Io sono liberale “ma” voto comunista…..
Non sapevo che Ostellino ritenesse Renzi un pericolo per la democrazia.
Tuttavia è una cosa che condivido.
Non vedere che c’è un disegno preciso per dare imperituro governo al P.D., potrebbe essere una svista che potremmo pagare cara.
Nella sostanza, Del Rio (P.D.) ha portato a casa le Città Metropolitane, che altro non sono che le Province, che rimangono un centro di spesa, esautorate dal controllo dei cittadini, in quanto non possono più esprimere un voto.
Il primo esempio pratico del risultato è che, al di là dei giudizi sull’operato, senza colpo ferire, la Provincia di Milano, alias Cittá di Milano, è passata da Podestá a Pisapia.
Analogamente, al Senato, dove il P.D. storicamente non è mai riuscito ad essere maggioranza, se passerà la “riforma”, riuscirà nel colpaccio.
Infatti, lì entreranno gli Amministratori Locali, in prevalenza in forza al P.D. ed anche qui i cittadini saranno esautorati dal voto.
Oltretutto, rimarrà la nomina del Presidente della Repubblica da parte del Senato “riformato”. Altro tassello a favore del P.D. .
La ciliegina sulla torta, se passerà, sarà la nuova legge elettorale, l’Italicum, non dissimile da quella attuale, ma piegata agli interessi del partito, il P.D. .
Sono paranoico? Non credo. La storia di quel partito dal ’43 in poi, è a dimostrare che ha sempre operato contro l’Italia e gli Italiani.
Franco Puglia, che è qui intervenuto a commentare, in seguito – credo – ad un mio intervento, si interessò alla Città di Metropolitana di Milano, che stava costituendosi nel silenzio più totale, arrivando alla conclusione che non fosse una operazione trasparente e anche fosse poco democratica.
Sbaglio, a Franco?
Dunque, non sono così documentato sull’attività di Ostellino come l’estensore dell’articolo qui sopra, quindi non mi pronuncio, ma su questo punto specifico concordo con l’ex editorialista del Corriere, se questi afferma che si prospetta un pericolo per la democrazia in Italia a causa di Renzi e del suo partito, che, nella tradizione di certa sinistra, a partire dai Paesi del blocco Sovietico, per proseguire con tutti i movimenti anni ’70 e a seguire, sentiva e, a quanto pare, sente tuttora l’esigenza di aggiungere l’aggettivo “democratico” per esplicitare qualche cosa che dovrebbe essere implicito e scontato in una democrazia. Coda di paglia?
Aggiungo solo che, quelle rare volte in cui recentemente ho avuto occasione di leggere Ostellino, mi ci sono ritrovato.
Non credo, per questo semplice fatto, di essere un razionario.
Anch’io talvolta mi sono trovato d’accordo con Piero Ostellino e non mi permetterei mai di definire reazionari i suoi lettori (visto che anch’io lo leggo).
Per venire alla sua osservazione: c’è un disegno egemonico esplicito da parte del pdr? Non lo so: ho scritto che le riforme sono pasticciate. E lo confermo. Non ritengo comunque ci sia il rischio di una deriva autoritaria imminente perché esistono nel sistema politico italiano fortissimi contrappesi. C’è però un partito che ha grande consenso e legittimazione. Questa è la realtà. Grazie della cortese risposta.
Ps: sul tema la rimando ad un mio precedente articolo.
https://immoderati.it/2015/02/26/deriva-autoritaria/
Lei scrive di trovarsi talvolta d’accordo con Ostellino. Mah! Capisco che per criticare qualcuno, bisogna conoscerlo e quindi, nel caso di un giornalista, leggerne gli articoli. E fin qui nulla da eccepire. Poi si lancia nella affermazione di essere talvolta d’accordo appena dopo aver scritto un articolo intriso di astio, di cui riporto testualmente la frase
“Da 30 anni i suoi articoli si ripetono sempre uguali, intrisi di ideologia e strampalati, densi di riferimenti e citazioni dei classici del pensiero liberale (forse per convincere se stesso e gli altri di essere un liberale? Oppure sdottoreggia solo per mostrare erudizione?).”
E’ questa la sua coerenza logica?
Se tutti gli articolo sono ripetitivi come è possibile che “talvolta” lei si trovi d’accordo? Delle due l’una, tertium non datur .. a meno che non si voglia scrivere tutto e il contrario di tutto un attimo dopo
Si Fabio, convegno con te sul fatto che le recenti iniziative di Renzi & C. Non vadano nella direzione di una maggiore democrazia nel paese ed il fatto che fossero gradite a Berlusconi dimostra che la direzione perseguita è quella di un sempre maggiore centralismo e di un potere concentrato nelle mani del partito più votato. Ragione di più per darsi una svegliata: le forze di centrodestra sono con ogni probabilità la maggioranza nel paese ma se non sono capaci di darsi una sola grande struttura credibile vuol dire che il PD di Renzi è il meglio che siamo capaci di esprimere come popolo.
Onestamente trovo questo attacco ad Ostellino totalmente ingiustificato ed anche eccessivamente carico di astio. Ovviamente ognuno può avere la sua opinione sulla persona e le sue idee, ma non credo gli si possa negare una franchezza ormai rara tra i “giornalai” nostrani. Personalmente ho sempre trovato le sue analisi lucide e puntuali. Davvero trovate così scandaloso che si definiscano i magistrati italiani incompetenti? Davvero pensate che sia così scandaloso dire che “siamo tutti puttane”. In fondo ognuno di noi usa le proprie doti per guadagnare e, finché ciò viene fatto in libertà di azione e coscienza, che male c’è ad ammettere che siamo un po’ puttane? Probabilmente ormai in Italia siamo talmente abituati a giornalisti intrisi di perbenismo ed “educazione”, che non riusciamo più ad accettare chi ha il coraggio di dire le cose come stanno.
Chi ha scritto l’artcolo ha colto una delle caratteristiche dei berlusconiani falsamente riluttanti: non parlare bene del soggetto, ma parlando male degli altri in modo che l’indifendibile B. ne uscisse ingigantito. Ostellino, en passant, é liberale quanto io sono buddista.
Senza lui, Battista e soci magari il Corriere non giungeva a tale numero di perdite. La gente in fondo non ama i Tigellini occulti.
La ringrazio. Concordo totalmente con quello che scrive. Cordiali saluti.
Alla fine della lettura mi sono chiesto quanto in novità di critica mi si sia riempito il mio salvadanaio dell’intelletto. Un articolo – poteva anche non essere mai stato scritto – che non lascia tracce in alcun senso se non di essere come tanti e di lotte polemiche fra le parti solo apparentemente opposte; questioni ripetitive e senza l’aggiunta di novità stimolanti.
Polemiche contro il nemico quando poi si cade nelle stesse condizioni di polemica ” il cane che si morde la coda”, le citazioni alle quali fa riferimento l’articolista sono altrettanto miserevoli di saccenza che critica nell’altro.
La monotonia del linguaggio sinistro non ha limiti ed é superiore a quella che si accusa di tale; quando mai abbia letto o ascoltato il Pasquino deliziare la platea con questioni di Diritto al di là della sua appartenenza ideologica; ha sempre e solo parlato male e contro Berlusconi, per fortuna che lo abbiano inventato, ma si astiene dal farlo oggi contro Renzi.
Cosa deprimente e patetica é leggere come l’elogio del Pasquino passi atraverso il suo essere stato allievo di Bobbio e Sartori. Chi lo dice che gli allievi abbiano la capacità di essere i loro professori? Non basta studiare per essere ciò che si studia.
Infine una sottolineatura sull’argomento anarchia che mi ritrovo spesso a leggere in termini spregiativi figuriamoci quando la si fa riferire ad anarcoide.
L’articolista sic critica l’Ottone che diventa anarcoide altro che liberale tra l’altro alla’acqua di rose, non concedendo di poter essere anarchico in alcuni momenti, così come lo siamo ognuno di noi, a volte e senza rendercene, forse non tutti, conto.
Non può esistere una società liberale senza avere almeno in parte pensieri anarchici.
Fra il critico e il criticato scelgo nessuno seppur condividendo alcuni passaggi del pensiero del criticato.
Alla fine della lettura mi sono chiesto quanto in novità di critica mi si sia riempito il mio salvadanaio dell’intelletto. Un articolo – poteva anche non essere mai stato scritto – che non lascia tracce in alcun senso se non di essere come tanti e di lotte polemiche fra le parti solo apparentemente opposte; questioni ripetitive e senza l’aggiunta di novità stimolanti.
Polemiche contro il nemico quando poi si cade nelle stesse condizioni di polemica ” il cane che si morde la coda”, le citazioni alle quali fa riferimento l’articolista sono altrettanto miserevoli di saccenza che critica nell’altro.
La monotonia del linguaggio sinistro non ha limiti ed é superiore a quella che si accusa di tale; quando mai abbia letto o ascoltato il Pasquino deliziare la platea con questioni di Diritto al di là della sua appartenenza ideologica; ha sempre e solo parlato male e contro Berlusconi, per fortuna che lo abbiano inventato, ma si astiene dal farlo oggi contro Renzi.
Cosa deprimente e patetica é leggere come l’elogio del Pasquino passi atraverso il suo essere stato allievo di Bobbio e Sartori. Chi lo dice che gli allievi abbiano la capacità di essere i loro professori? Non basta studiare per essere ciò che si studia.
Infine una sottolineatura sull’argomento anarchia che mi ritrovo spesso a leggere in termini spregiativi figuriamoci quando la si fa riferire ad anarcoide.
L’articolista sic critica l’Ottone che diventa anarcoide altro che liberale tra l’altro alla’acqua di rose, non concedendo di poter essere anarchico in alcuni momenti, così come lo siamo ognuno di noi, a volte e senza rendercene, forse non tutti, conto.
Non può esistere una società liberale senza avere almeno in parte pensieri anarchici.
Fra il critico e il criticato scelgo nessuno seppur condividendo alcuni passaggi del pensiero del criticato.
Se avessi saputo prima che i commenti passano attraverso la ” moderazione” non avrei commentato… É un offesa vergognosa….ma da dove venite? Ci scrivete fra di voi? E qualcuno di voi si definirebbe liberali? Per favore…me lo inviate il mio commento alla mia mail indicata per favore?
Gabriele, la moderazione è un’impostazione predefinita di wordpress. Il primo commento che una persona scrive deve essere approvato, mentre i successivi no. Abbiamo deciso di tenere questa opzione così da evitare i numerosi messaggi di spam che arrivano puntualmente. La finalità della moderazione è una questione pratica, mentre non abbiamo mai eliminato alcun commento che fosse relativo all’articolo (come può notare, non mancano le critiche né in questo articolo né in altri).
Grazie….così va bene…
[…] quanto le opinioni e convinzioni di Ostellino siano nel merito assolutamente opinabili (e su queste colonne in passato io l’ho duramente criticato), egli aveva tutto il diritto di pensarlo e di scriverlo, e non doveva dimostrare alcunché […]