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Speaker's Corner

Non fermeremo il declino abdicando ai nostri principi

John-Stuart-Mill-finishedCome i nostri lettori più fedeli già sapranno, uno dei motivi per i quali gli Immoderati sono nati e si sono radunati in questa piccola oasi virtuale di dibattito e di approfondimento, è quello – senz’altro ambizioso – di richiamare ad unità il frammentato, frastagliato e tormentato “universo” – consentitemi l’iperbole – composto da tutti coloro i quali si riconoscono nei – o provano affinità verso – i  valori e i principi del liberalismo.  Le ragioni per le quali sarebbe non solo auspicabile, bensì necessario, accantonare le arcinote diatribe sul “chi ce l’ha più liberale” e tentare di parlare con una sola voce, di lottare con un solo gladio, e di difenderci con un solo scudo, sono palmari e tristemente dinanzi agli occhi di tutti: il declino non si è fermato e, se non c’è più Fare, c’è ancora molto da fare. Perdonatemi, c’è troppo da fare, perché possa essere fatto da un’accozzaglia scoordinata di sigle autoreferenziali, buone solo a organizzare convegni e a riempire qualche fila di un teatro.

La pluralità di sfumature di pensiero del frammentato, frastagliato e tormentato “universo” citato poc’anzi è ben presente anche nel nostro piccolo blog: posso affermare senza timore di essere smentito che nessuno, tra i fondatori e i collaboratori de Gli Immoderati, ha un pensiero totalmente sovrapponibile a quello di qualcun altro. Nondimeno, nel nostro Manifesto Immoderato, abbiamo scolpito a chiare lettere qual è il filo rosso che lega le nostre penne e che ci fa sentire una comunità. La libertà o, meglio, la difesa della libertà dall’invadenza dello Stato.

L’individuo, le sue aspirazioni, i suoi desideri, i suoi diritti sono le stelle polari della nostra visione politica. 

Sono convinto che, nonostante gli sforzi tesi a stimolare il dibattito tra le varie anime della “galassia liberale” al fine di favorirne l’aggregazione, non sia corretto indulgere al punto di accettare di affidare il nostro consenso e di riporre le nostre speranze in politici che, pur avendo in comune con noi una certa sensibilità verso alcune problematiche – per fare un esempio “a caso”,  la sicurezza e l’immigrazione – per il resto rappresentano l’incarnazione del peggior populismo, quello “celodurista”, a tratti autoritario, condito di nazionalismo e imbastito di autarchia.

Affermare che, poiché nel nostro Paese è improbabile che venga ad esistenza una nuova formazione politica con i connotati che cerchiamo – laica, liberista in economia, attenta alla tutela dei diritti civili e delle libertà del singolo, etc – allora è giusto manifestare il nostro sostegno a personaggi dotati dei tratti citati appena sopra, non è un esempio di realismo politico. Significa soltanto gettare la spugna, alzare bandiera bianca, dichiarare la resa, rassegnarsi.

Con questo post voglio sostanzialmente dare una risposta a chi sostiene che gli Immoderati non sarebbero, in verità, immoderati, perché non sono pronti a sposare certe cause pur di opporsi all’attuale stato delle cose. Il modo migliore di farlo, a mio parere, è mostrare la lontananza di quelle certe cause dalla nostra, e lo farò citando una parte dell’introduzione del Saggio sulla Libertà di John Stuart Mill, che è stato uno dei primi testi a farmi riflettere sul valore della libertà dell’individuo all’interno della società.

«Il “popolo” che esercita il potere non coincide sempre con coloro sui quali quest’ultimo viene esercitato; e l'”autogoverno” di cui si parla non è il governo di ciascuno su se stesso, ma quello di tutti gli altri su ciascuno. Inoltre, la volontà del popolo significa, in termini pratici, la volontà della parte di popolo più numerosa o attiva – la maggioranza, o coloro che riescono a farsi accettare come tale; di conseguenza, il popolo può desiderare opprimere una propria parte, e le precauzioni contro ciò sono altrettanto necessarie quanto quelle contro ogni altro abuso di potere. Quindi, la limitazione del potere del governo sugli individui non perde in alcun modo la sua importanza quando i detentori del potere sono regolarmente responsabili verso la comunità, cioè al partito che in essa predomina. Questa impostazione, che soddisfa sia la riflessione intellettuale sia le tendenze di quelle importanti classi della società europea ai cui interessi, reali o presunti, si oppone la democrazia, non ha trovato difficoltà a imporsi; e il pensiero politico ormai comprende generalmente “la tirannia della maggioranza” tra i mali da cui la società deve guardarsi. Come altre tirannie, quella della maggioranza fu dapprima – e volgarmente lo è ancora – considerata, e temuta, soprattutto in quanto conseguenza delle azioni delle pubbliche autorità. Ma le persone più riflessive compresero che, quando la società stessa è il tiranno – la società nel suo complesso, sui singoli individui che la compongono –, il suo esercizio della tirannia non si limita agli atti che può compiere per mano dei suoi funzionari politici. La società può eseguire, ed esegue, i propri ordini: e se gli ordini che emana sono sbagliati, o comunque riguardano campi in cui non dovrebbe interferire, esercita una tirannide sociale più potente di molti tipi di oppressione politica, poiché, anche se generalmente non viene fatta rispettare con pene altrettanto severe, lascia meno vie di scampo, penetrando più profondamente nella vita quotidiana e rendendo schiava l’anima stessa. Quindi la protezione dalla tirannide del magistrato non è sufficiente: è necessario anche proteggersi dalla tirannia dell’opinione e del sentimento predominanti, dalla tendenza della società a imporre come norme di condotta e con mezzi diversi dalle pene legali, le proprie idee e usanze a chi dissente, a ostacolare lo sviluppo – e a prevenire, se possibile, la formazione – di qualsiasi individualità discordante, e a costringere tutti i caratteri a conformarsi al suo modello. Vi è un limite alla legittima interferenza dell’opinione collettiva sull’indipendenza individuale: e trovarlo, e difenderlo contro ogni abuso, è altrettanto indispensabile alla buona conduzione delle cose umane quanto la protezione dal dispotismo politico. […]» E ancora: «.In effetti, non vi è alcun principio riconosciuto sulla cui base venga valutata abitualmente la maggiore o minore opportunità dell’interferenza statale. Gli uomini decidono secondo le loro preferenze personali: alcuni, di fronte alla possibilità di realizzare un bene o di rimediare a un male, incitano volentieri lo Stato a prendersene carico, mentre altri preferiscono sopportare quasi ogni sorta di male sociale piuttosto che aumentare, fosse pure di uno, il numero dei settori di attività umane riconducibili sotto il controllo statale. E, in ciascun caso particolare, gli uomini si schierano in uno dei due campi, secondo quest’inclinazione generale dei loro sentimenti, o secondo il loro grado di interesse nella questione per cui è proposto l’intervento statale, o secondo le loro previsioni sul comportamento dello Stato, giudicato nei termini delle loro preferenze; ma molto di rado prendono partito in base a una loro opinione coerente su ciò che spetti allo Stato compiere. E mi sembra che, a causa di questa mancanza di una regola o principio, attualmente i due opposti campi errino nella stessa misura: l’interferenza dello Stato è, quasi con la stessa frequenza, auspicata a torto e condannata a torto. Scopo di questo saggio è formulare un principio molto semplice, che determini in assoluto i rapporti di coartazione e controllo tra società e individuo, sia che li si eserciti mediante la forza fisica, sotto forma di pene legali, sia mediante la coazione morale dell’opinione pubblica. Il principio è che l’umanità è giustificata, individualmente o collettivamente, a interferire sulla libertà d’azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri. Il bene dell’individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente. Non lo si può costringere a fare o non fare qualcosa perché è meglio per lui, perché lo renderà più felice, perché, nell’opinione altrui, è opportuno o perfino giusto: questi sono buoni motivi per discutere, protestare, persuaderlo o supplicarlo, ma non per costringerlo o per punirlo in alcun modo nel caso si comporti diversamente. Perché la costrizione o la punizione siano giustificate, l’azione da cui si desidera distoglierlo deve essere intesa a causare danno a qualcun altro. Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve rendere conto alla società è quello riguardante gli altri: per l’aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano».

2 comments

Franco Puglia 21/08/2015 at 10:26

Bellissimo articolo, mio giovane amico, e se io avessi il potere di conferirti una laurea IN NOMEN LIBERATIS lo farei adesso.
Mettere in evidenza la DITTATURA DELLA MAGGIORANZA significa aver capito dove stia il confine tra la LIBERTA’ e la sua perdita.
Nessuno di noi può essere INTERAMENTE LIBERO, perchè dipendiamo dagli altri per la nostra stessa sopravvivenza, tuttavia questa frase ” il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri” racchiude il senso stesso del confine tra libertà e sopraffazione.
Per inciso si tratta di uno dei famosi 10 comandamenti biblici, il “non fare agli altri ciò che non vorresti venire fatto a te”. Questo dovrebbe essere il solo limite alla libertà di ciascuno di noi.
Sappiamo da migliaia di anni CIO’ CHE E’ GIUSTO, ma facciamo esattamente il contrario.

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David Mascarello 21/08/2015 at 13:21

Grazie mille caro Franco per il gentile commento. Il tuo endorsement è sempre apprezzato!

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