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GovernoSpeaker's Corner

Non è il governo dei migliori, ma il miglior governo

Draghi Ministri

Sin dalle fasi preliminari della sua formazione, la retorica del “governo dei migliori” ha contornato ogni discorso – agiografico o critico che fosse – riguardante il gravoso compito affidato a Mario Draghi.
Già alla nomina dei Ministri molti avevano storto il naso: Draghi aveva si scelto personaggi di spessore per certi ruoli chiave, ma aveva anche riconfermato svariati elementi controversi (per usare un eufemismo) del precedente governo: Speranza al ministero della salute pareva non rappresentare l’agognata rottura con la vecchia gestione della pandemia; Di Maio, diventato ormai quasi un simbolo dell’impreparazione al potere, mal si prestava alla retorica di un governo dei competenti.
A ciò vanno aggiunti i tre ministri di Forza Italia, tre figure odiatissime che rimandano alla crisi del 2011 e alla defunta, ma non compianta, seconda repubblica: Brunetta, Gelmini e Carfagna. Figure di spicco del partito, ma che sono sicuramente invise a buona parte degli elettori degli altri partiti.
Infine la Lega, che con la sua svolta europeista tenta di saltare sul carro dei vincitori per sfruttarne il momento, ma che nonostante voglia presentare Giorgetti come “quello bravo” è ancora il partito di Salvini, lo stesso atroce Salvini del primo governo Conte.
È vero, Draghi si è anche circondato di “tecnici” di assoluta capacità: Franco, Cartabia, Cingolani, Bianchi, etc…, sono figure di spessore che ricoprono ruoli chiave, ma per molti ciò non era comunque sufficiente a garantire la qualità che ci si attendeva.

La situazione è sembrata addirittura peggiorare con le nomine, appena annunciate: un elenco esaustivo delle nomine grilline, che sembrano cozzare con l’aura di competenza del governo, è stato redatto da Salvatore Merlo in un articolo su Il Foglio, ed è perciò inutile citare Laura “questo lo dice lei” Castelli o Carlo “non siamo andati sulla luna” Sibilia. Un altro personaggio la cui nomina ha scatenato ilarità e proteste è la leghista Lucia Borgonzoni, sconfitta da Bonaccini alle regionali dell’Emilia Romagna, che ad “Un Giorno da Pecora” nel 2018 dichiarava di non leggere un libro da tre anni: ora è sottosegretaria alla cultura.
La delusione inizia a dilagare, le forze dell’opposizione accusano e se la ridono sotto i baffi, gongolando. “Era questo che volevate?” chiedono a quelli che avevano esultato e che pendevano dalle labbra di Draghi sperando che avrebbe trascinato il paese fuori dalla crisi coi suoi poteri taumaturgici. Le prospettive sembrano sempre meno rosee. Del resto, questo è un governo di discontinuità e continuità al tempo stesso, a seconda che lo si chieda ai nuovi venuti o ai membri del precedente governo, progressista e conservatore, che dimostra al contempo come il neoliberismo abbia preso il controllo del Paese contro la volontà del popolo (del suo Avvocato) e che l’unico potere sia sempre stato quello della finanza globalista. Tutto negli occhi di chi guarda, ovviamente, perché Draghi continua ancora imperterrito col suo operoso silenzio e gli altri, poco abituati sia al silenzio sia all’operosità, devono pur compensare.

Ma una riflessione, ispirata da una frase di Carlo Calenda intervistato da Oscar Giannino mi sorge spontanea: le lamentele e le accuse, sia le più sensate sia le meno, sono sempre rivolte alla componente politica o, per meglio dire, partitica del governo. Quasi tutti hanno fiducia in Draghi e molti stimano i “tecnici” che ha scelto: a far storcere il naso, a far dire “ah ve l’avevamo detto!” insomma sono i personaggi elencati sopra, scelti tra le correnti dei partiti e dei movimenti. Ma questa è proprio la componente che noi abbiamo votato. Sono loro quelli che abbiamo scelto! Draghi è stato chiamato a gran voce per evitare il disastro, Di Maio è stato votato. Non da me direttamente e credo neanche da chi leggerà queste righe, ma da un numero enorme di italiani. E così tutti gli altri, Sibilia, Borgonzoni, e il resto della classe dirigente che siede alla Camera, al Senato, negli uffici, nei ministeri: quella è la parte che abbiamo scelto. Draghi no. Draghi è arrivato da tutta un’altra via, dal fallimento della classe politica e si è portato con sé qualche aiutante per tentare di fare quel che può: ma quella parte non è dipesa da noi.
Tutti gli altri, invece, sì!

Sono dipesi da noi che riconfermiamo ogni cinque anni i sindaci, i consiglieri regionali e i parlamentari che ci hanno portato in questa situazione imbarazzante e drammatica e che si ostinano, tra incapacità e malafede, a trascinare il Paese nel baratro. Questo è il declino, di cui alcuni parlavano qualche anno fa. E da qui segue la amara conclusione: Draghi non poteva fare il governo dei migliori perché i migliori non siedono in Parlamento. Quello che ha tentato di fare è il miglior governo tra quelli possibili, barcamenandosi, da abile mediatore quale viene descritto, tra le richieste degli eletti Parlamento, dei quali deve avere l’appoggio. E il Parlamento, lo ripeto, non lo ha scelto Draghi. Ma noi.

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