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Natale: radici cristiane e origini pagane

Da Natale ad Halloween, tutte le feste cristiane hanno caratteri pagani molto forti che dovrebbero farci riflettere sulle nostre vere radici e sull’ipocrisia con cui sbandieriamo la nostra identità culturale nel mondo.

Nightmare Before Christmas è un film di Halloween o di Natale? È questo l’annoso dilemma mediatico che il web ripropone puntualmente tra il 31 ottobre e il 25 dicembre. Potremmo liquidare la questione capitolando che il capolavoro della stop-motion funge sia da preludio che da ponte tra la Notte delle Streghe (“Nightmare”) e la tanto agognata Natività (“Christmas”), ma ciò che importa è che le radici delle due festività, trapiantate nella modernità in chiave cristiana come tante altre, tradiscano una sopita appartenenza a culture precristiane. D’altronde, per quale motivo queste feste cadono proprio in certe date piuttosto che in altre e perché si praticano certe ritualità piuttosto che altre?

La realtà è che tutte le nostre celebrazioni annuali, in particolar modo quelle cattoliche, hanno chiare origini gentili (cioè pagane), tribali, imperiali e talvolta mitiche, e sono state rinominate e sostituite dalle nuove ricorrenze o da giornate dedicate ai santi nel corso dei secoli (o per decreto) per rimpiazzare le obsolete tradizioni locali precedenti con la promettente cultura cristiana. Altre festività di carattere socioculturale e non religioso, invece, hanno perso la loro intenzionalità predicativa originaria con l’ineluttabile trascorrere del tempo, a causa della rapida evoluzione della società.

In questo e in altri articoli proveremo a investigare meglio il viaggio e l’evoluzione delle festività nella storia, ma lungi da noi presumere di poter risolvere un tema così complesso in articoli così brevi, che non potranno mai considerare ogni elemento storiografico compiutamente. Se ci sono storici all’ascolto, prendete quest’articolo come uno spunto e commentate per permetterci di migliorare il nostro lavoro!

In hoc signo vinces

Nonostante il Cristianesimo si stesse già diffondendo tramite le minoranze da decenni, fu in seguito alla svolta costantiniana che tale religiosità pervase l’intera cultura più convintamente.

Nel 312 le vittoriose legioni capeggiate da Costantino I, imperatore romano d’Occidente, si schierarono a Roma contro quelle di Massenzio. Già dopo la morte dell’imperatore, Costantino si era orientato al monoteismo e prima di arrivare a Roma pregò a lungo la divinità. La storiografia riporta che insieme al suo esercito, poco dopo mezzogiorno, fu testimone dell’apparizione di una singolare croce luminosa sopra il sole e della scritta greca ἐν τούτῳ νίκα. La notte seguente gli apparve Cristo in sogno, che gli comandò di adottare come vessillo il segno visto in cielo, mentre nei giorni successivi Costantino si fece istruire sui contenuti di questa religione a lui ignota dai sacerdoti cristiani.

Nella battaglia decisiva di Ponte Milvio, le milizie costantiniane combatterono e vinsero sotto le insegne di un labaro recante il monogramma di Cristo, il simbolo Chi-Rho (XP, le prime due lettere greche della parola ΧΡΙΣΤΟΣ cioè ‘Christòs’)… o almeno questa è la versione che ci è pervenuta. Perché, se è vero che la storia la scrivono i vincitori, non è così difficile mistificare un tale evento per giustificare una scelta militare molto più pragmatica e strategica.

Quello di Costantino fu, infatti, un abile scacco politico alle controversie religiose dell’epoca: “cristiano, ma per convenienza“, come recita il titolo di un articolo di Giorgia Salicandro, Costantino era in verità un pagano come tanti; un pagano, però, che si rese conto del veloce aumento della percentuale di cristiani e che, politicamente, capì che conveniva accondiscendere alle loro richieste di legittimazione sociale e istituzionale, anche per accaparrarsi maggior consenso. Oltre, ovviamente, a evitare ulteriore malcontento e rivolte da più persone di quante i soli pagani non potessero fronteggiare.

Per conciliare la lunga e consolidata tradizione pagana greco-romana con l’emergente moda cristiana, Costantino dovette giungere a compromessi, come ogni bravo politico: pubblicamente si mostrò cristiano, sebbene palesasse un’educazione pagana, accogliendo anche quelli che fino poco tempo prima, con l’Editto di Galerio (311), erano stati i bersagli delle persecuzioni e fondando, attraverso l’Editto di Milano (313), un rescritto di tolleranza, un accordo sottoscritto con Licinio, imperatore romano d’Oriente, per concedere a tutti i cittadini, gentili e cristiani, la libertà di onorare le proprie divinità. Una svolta epocale, insomma.

Ma non solo: nonostante la parziale cristianizzazione dell’epoca post-costantiniana, la zecca continuò a produrre conii raffiguranti varie divinità del pantheon pagano, chiaro sintomo che tale cultura non poteva essere sradicata così facilmente, specie perché era alla base dell’identità e della formazione di una civiltà vasta ma ben amalgamata come quella imperiale.

Con la crescente influenza della Chiesa, che aveva ormai assunto una notevole importanza sociopolitica, era d’obbligo anche definire un calendario delle varie feste cristiane, che col tempo presero il posto di alcune festività pagane, inserendosi nei medesimi giorni (negli stessi slot potremmo dire) con nuovi nomi e aspetti ritualistici, camuffandone la natura pagana e infarcendola di elementi cristiani. In parte una scelta politica consapevole, in parte una dialettica spontanea e secolare, ciò si rivelò genialmente efficace per accontentare sia i cristiani che i gentili. Fu così facile abituarvisi, dato l’ottimo accomodamento, che nessuno s’accorse della gravità ideologica di quella che era, a tutti gli effetti, una clamorosa corruzione del paganesimo, una profanazione della precedente “religione ufficiale” del territorio imperiale.

Fu in questo modo che la nuova religione approfittò della precedente, rimpiazzando gradualmente i culti del passato con le credenze del presente e facilitando la transizione dei popoli convertiti; ed è così che le figure mitiche e tradizionali di ieri mutarono nel folclore di oggi, un folclore edulcorato e riadattato per conformità con il Cattolicesimo. È ironico che, volendo cristianizzare il paganesimo, alla fine si sia giunti a paganizzare il cristianesimo!

Ciò che, purtroppo, molti ignorano è che in tutte le festività oggi praticamente annualmente molto è rimasto delle ritualità originarie, persino in una festa iconica e “cristiana” come il Natale: un modo come un altro per dire che i nostri costumi sono essenzialmente ancora quelli, seppur eclissati dalla successiva sovrastruttura cattolica che è intervenuta sui significati della liturgia.

Il 25 dicembre e la natività

Uno dei problemi capitali del Natale e del periodo dell’Avvento, se di problema vogliamo parlare, è da sempre la fedeltà storica e la corrispondenza delle date: è davvero possibile che sappiamo con certezza quando nacque e quando morì Gesù Cristo (tralasciando la controversia tra storicità e mito)? Ed è davvero possibile che essa, guarda caso, coincida con importanti ricorrenze pagane romane? Per quale motivo queste festività cadono proprio in date specifiche? In base a cosa furono decise?

Premesso che re Erode il Grande morì nel 4 a.C. e che i Vangeli collocano la nascita di Cristo nei suoi ultimi anni di vita, gli storici e i biblisti datano tendenzialmente tale avvenimento tra il 7 a.C., dopo il censimento di Augusto dell’8 a.C., e ovviamente il 4 a.C., con una maggiore preferenza per il 7-6 a.C. La morte, invece, parrebbe essere avvenuta nel 30 d.C., secondo alcuni prima di compiere 36 anni. I celeberrimi 33 anni, dunque, altro non sarebbero che una forzatura clericale per dare alla biografia di Cristo coerenza con la Trinità, la quale è a sua volta un’aggiunta posteriore, un dogma desunto dalle interpretazioni delle Scritture (o inventato di sana pianta, per alcuni) e introdotto dai Padri della Chiesa, ma non esplicitato nel testo biblico, e poi integrato nella dottrina con il primo concilio di Nicea del 325 e il Simbolo niceno-costantinopolitano del 381. Successivi studi hanno portato alla luce le evidenze della datazione di nascita e morte del Cristo, mentre altre indagini sono in corso a proposito del giorno effettivo: se in alcuni culti cristiani viene attribuito al 6 gennaio, gli studi più celebri si contendono ipotesi come marzo, aprile o luglio-agosto.

Anche se recentemente è emersa una scuola di pensiero di differente avviso: “‘Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria…’ L’annuncio dell’angelo a Maria avviene nel “sesto mese” del calendario ebraico, Adàr, corrispondente a marzo, verso la fine (Lc 1,28), il 25, nei calendari bizantino e romano. Perché? Perché quel sesto mese è pure il “sesto mese” dalla concezione di Elisabetta. Dunque, quale ultima conseguenza, è attendibile la data del 25 di Kislèw (dicembre), nove mesi dopo il 25 di Adàr (marzo)” scrive infatti il teologo Don Nicola Bux in un interessante articolo sul tema a cui vi rimandiamo per completezza e in cui viene approfonditamente affrontato il tema, così come in un recente articolo di Immoderati del buon Federico Testa.

In ogni caso, nonostante vi siano anche alcune testimonianze di comunità cristiane che già prima avrebbero cominciato a celebrare il 25 dicembre, la prima menzione della Natività di Cristo in questa data risale al 336, e la si riscontra nel “Chronographus“, redatto intorno alla metà del IV secolo dal letterato romano Furio Dionisio Filocalo, ma bisogna precisare che molte celebrazioni provengono da popolazioni antiche che, durante periodi freddi o caldi, bui o soleggiati, gestivano in modo differente l’accensione dei fuochi e le attività tribali, e quindi le ritualità collettive e i riti propiziatori che, a lungo andare, hanno generato delle specificità liturgiche e delle vere e proprie funzioni sociali e cultuali.

Il solstizio invernale (circa il 21 dicembre) è il giorno con il dì più breve dell’anno e cade quando il Sole tocca il punto più basso rispetto all’orizzonte. Il 25 dicembre la durata del giorno rispetto alla notte ricomincia a crescere insieme alla sua altezza, secondo le osservazioni empiriche fatte nell’antichità (in realtà la crescita inizia già dal 22). Ovvio che le popolazioni antiche interpretassero tale evento astronomico come un rinnovamento della speranza, una festa della luce, una possibilità di sopravvivenza, pertanto fu mitizzato come la nascita del Dio-Sole, partorito dalla Dea-Vergine (personificazione della notte). Tale mito prese varie forme religiose: Horus (Ra) partorito da Iside in EgittoThammuz partorito da Mylitta (o Ishtar) nelle religioni iranico-caldee, ecc…

La tradizione giunse fino a Roma nel culto di Mitra. Ma nell’antichità romana anche un’altra festa si celebrava il 25 dicembre: quella del Deus Sol Invictus, discendente diretta del culto egiziano di Ra nonché divinità subordinata a Mitra. Il Sol Invictus di Aureliano richiama molte caratteristiche del mitraismo, compresa l’iconografia. L’imperatore consacrò il tempio del Sol Invictus verso la fine del 274, facendo del dio-Sole la principale divinità del suo impero e indossando egli stesso una corona a raggi. Si presume che a lui risalga la festa solstiziale del Dies Natalis Solis Invicti, “Giorno natale del Sole Invitto”. La scelta di questa data poteva rendere più importante la festa, in quanto la innestava sulla più antica festa romana dei Saturnali, di cui parleremo più avanti.

Che la celebrazione avvenisse il 25 dicembre è riportato nel “Cronographus” del 354 insieme alla testimonianza del Natale, ma anche più tardi, nel 386, Giovanni Crisostomo, in contrasto con le ricorrenze giudaiche, sostenne fermamente tale data. Quando il Cristianesimo dovette confrontarsi con le tradizioni radicate dei romani, la Chiesa riuscì ad appropriarsi della festa del Natale, proponendo Gesù Cristo come vero sole divino che nasce di notte da una vergine. Questa convenzione determinò una correzione della teologia cristiana nel senso di una progressiva deificazione di Gesù. Tra l’altro, fu proprio Costantino a ufficializzare il giorno 25 dicembre come la nascita di Cristo, all’inizio in aggiunta, e non in sostituzione, al preesistente natale di Mitra. Mentre rifletto sul fatto che sarebbe il caso di darsi gli auguri con “Buon Saturnatale” o “Merry Mitra’s“, vi rimando per trasparenza anche a chi sostiene l’esatto contrario.

Babbo Claus e i Saturnali

Babbo Natale, ossia il Santa Claus dei paesi anglofoni, si rifà in tutte le varianti a San Nicola di Myra (oggi Demre, in Turchia), che avrebbe ritrovato e riportato in vita cinque fanciulli rapiti ed uccisi da un oste, e che per questo fu considerato il “protettore dei bimbi”. Tale figura andò a sovrapporsi, apparentemente, con quella di San Nicola di Bari, un vescovo molto eloquente che noto per fare doni ai bimbi. Santa Claus, per l’appunto, deriva da Sinterklaas, nome olandese di San Nicola (letteralmente San Nicolaus).

Ma la sua genesi pare essere molto più antica e riguarda una festa della religione romana che ricorreva in questo periodo: i Saturnali. Parliamo di un ciclo di festività dedicate all’insediamento nel tempio del dio Saturno (importante divinità italica, patrono dell’agricoltura e dei defunti, poi associato al Kronos greco, padre di Zeus) e alla mitica Età dell’Oro. I Saturnali si svolgevano dal 17 al 23 dicembre (periodo fissato in epoca imperiale da Domiziano) e consistevano di convivi dai tratti orgiastici e sacrificali, i cui commensali solevano scambiarsi l’augurio “io Saturnalia“, per celebrare l’abbondanza ricevuta durante l’anno.

Si credeva che tali divinità provenissero dalle profondità del suolo e, uscendo d’inverno, errassero in corteo per tutta la stagione, quando la terra riposava incolta a causa delle condizioni atmosferiche. L’unico modo per placare il tristo vagare di questi dei del freddo e indurli a tornare nell’aldilà era offrire doni simbolici, detti strenne, e feste in loro onore, affinché dall’altro mondo favorissero i raccolti estivi.

Alcuni esperti ritengono che il personaggio del dio Saturno finì per essere assimilato, a lungo termine, a quello di Babbo Natale: con l’avvento del Cristianesimo, infatti, la figura di Saturno finì per coincidere con quella San Nicola, mentre le usanze eccentriche di questa festività vennero assorbite dal Carnevale. La faccenda dei folletti, invece, risale al folclore islandese, in cui pare fossero 12 o 13. Ricordiamo infatti che la casa di Babbo Natale è posta dalla tradizione in un villaggio in Lapponia, ma la cultura americana tende a trasferirla al polo nord, per l’occasione in Alaska.

L’albero di Natale e lo scambio dei doni

Perché dobbiamo comprare tutti questi regali per Natale? Beh, sappiate che si tratta di una tradizione molto antica, solo presa in prestito dalle moderne economie di mercato: sappiamo, infatti, che nei Paesi del Nord Europa era consuetudine scambiarsi i doni il giorno del solstizio d’inverno come forma d’augurio per l’inizio della stagione invernale.

L’albero di Natale, invece, deriva da varie tipicità culturali del nord: l’abete era sacro, ad esempio, per gli dèi germanici, mentre i Vichinghi dell’estremo Nord Europa, dove il sole spariva per settimane nel periodo invernale, nella settimana precedente e successiva al giorno con la notte più lunga officiavano le solennità per auspicare il ritorno dell’astro e credevano che l’abete rosso fosse foriero di poteri magici, poiché non perdeva le foglie nemmeno se sottoposto a temperature estremamente rigide. Alberi di abete venivano tagliati, portati a casa e decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe restituito agli alberi.

Così nacque anche l’uso di decorare con addobbi e luci l’albero: già i Celti lo facevano con gli alberi sempreverdi per celebrare il solstizio d’inverno, mentre alcune popolazioni più antiche decoravano i cosiddetti “alberi del paradiso” con ornamenti colorati, creaturine folcloriche e tante fiaccole quante erano le anime da commemorare.

Il presepio romano e i Sigillaria

Ma se pensate che almeno il presepe sia prettamente cristiano, vi sbagliate di grosso: alcuni studiosi, infatti, ne riconducono gli albori ai Lari (lares familiares), spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni etrusca e latina, vegliavano sulla famiglia e venivano rappresentati con delle statuette di terracotta o di cera, chiamate sigilla (plurale di sigillum, da signum, segno, effigie, immagine). Questi “santini ante-litteram”venivano collocati in apposite nicchie e onorati con l’accensione di una fiammella. Il 20 dicembre, in prossimità del solstizio d’inverno, si teneva la festa dei Sigillaria, durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l’anno.

La rappresentazione dei Lari, visti talvolta come divinità, sopravvisse nella cultura rurale mantenendo parte del significato originario almeno fino al XV secolo e mutando, si suppone, nei moderni presepi cristiani, risultanti dal miscuglio delle due usanze.


«In attesa della festa, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura. Nella vigilia della festa, dinnanzi a tale recinto, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati” dai loro trapassati nonni e bisnonni». Coincidenze? Io non credo.

Ci sono ovviamente numerosissime altre tradizioni legate al Natale da tutto il mondo, ma a noi interessa approfondire quelle che sono sopravvissute fino ad oggi e grazie alle quali è possibile intuire quanto ci sia di “non direttamente cristiano” e fin dove arrivi lo zampino del paganesimo, che ne denota le origini e che va ammesso in quanto concausa della fondazione di una cultura, la nostra, che si maschera di monoteismo ma celebra ancora, forse inconsapevolmente, gli dei del passato.

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