Chi si ricorda del maresciallo dei Carabinieri Roberto Mandolini? Nel 2009 a Roma era vice comandante della Stazione Appia, presso cui prestavano servizio i carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro che, pestandolo, così dice la sentenza della Corte d’Assise di Roma, furono all’origine della morte di Stefano Cucchi. Il maresciallo Bucceri, comandante della Stazione, era in licenza ed il maresciallo Mandolini approfittò subito dell’occasione per mettersi in mostra (“È un classico”, dirà Bucceri al processo), invitando i suoi uomini a compiere il più alto numero di arresti possibile. In questo modo i suoi superiori avrebbero potuto notarlo e la carriera ne avrebbe avuto giovamento.
Cambiamo ambientazione: Piacenza, dal 2017 al 2020. Dalle intercettazioni risulta che il maggiore Bezzeccheri, comandante della Compagnia Piacenza, abbia premuto -assecondato volentieri- sull’appuntato Giuseppe Montella, in servizio alla Stazione Levante, per compiere il maggior numero di arresti possibile e, in tal modo, “fare un culo così a Rivergaro e Bobbio“, cioè le Compagnie limitrofe che “fanno i figurini col colonnello, il comandante di Legione, eccetera“. “Vediamo di farne il più possibile” -risponde l’appuntato Montella- rassicurando il maggiore e meritandosi i suoi elogi. Come riusciva la Stazione Levante a mantenere la promessa è un capitolo purtroppo a parte.
Sia chiaro, non ho nessuna competenza in fatto di strategie per la lotta alla criminalità, quindi non mi metto a fare il saputello; quella che segue è la mia visione, ma fin d’ora mi piacerebbe confrontarla con chi il mestiere lo fa sul serio e ha l’esperienza vera. Non di meno viene il sospetto, e mi pare assai fondato, che in generale venga data una rilevanza notevolissima alla dimensione quantitativa dell’arresto, del mettere gente in prigione, nel fare “pulito” nelle strade, che sia realmente funzionale oppure no ad interrompere le catene criminali che le affliggono.
Certo che compito precipuo dei Carabinieri, e delle forze dell’ordine in generale, è quello di occuparsi della fase repressiva: ma è appunto questo il nodo. Loro compito è reprimere, ma cosa? Gli atti che attraverso precise procedure, accertamenti, e responsabilità appaiono come reati. Prevenire, certo. Ma cosa? Il formarsi e il consolidarsi dei presupposti per la commissione di reati. Ma ciò significa qualità, non quantità. La pratica dell’arrestare per arrestare, per far numero, lasciando peraltro ad una già affaticatissima giustizia penale il problema di separare il grano dal loglio, è una violazione del proprio giuramento e, insieme, un segno dei tempi. Il fatto che più persone arresti più “fai bella figura” significa che viene interpretato come valore positivo non il mantenimento dell’ordine pubblico -che in quanto tale ha regole e confini che lo Stato di diritto garantisce ad ogni cittadino- ma il mantenimento di un ordine si direbbe “privato”; è la linea che ispira concetti quali “deve marcire in galera”, “butta via la chiave”, “stia zitto e digiuni”, “giro di vite”, “aumentiamo le pene”: ha lo stesso odore.
Lo scivolamento progressivo di una parte della società, titillata e sfrucugliata in ogni modo possibile, verso pulsioni tribali in materia di ordine pubblico alimenta, incoraggia e per certi versi autorizza questa visione puramente contabile dell’attività operativa, fa perdere un mucchio di tempo e di risorse al sistema giudiziario, avvilisce la professionalità e la qualità del lavoro dell’Arma, marginalizza ancora di più fasce crescenti di cittadini “deboli”, apparentemente tranquillizza ma in realtà ancor di più eccita le comunità che, infatti, a fronte di reati in calo, sono sempre più giustizialiste e presto o tardi vedranno loro frange “impazzite” passare ai linciaggi, al farsi giustizia da sè, al salutare con favore tortura e pene di morte.
Con la complicazione che quando, in nome di una cosa qualunque, dalla difesa della razza alla tranquillità delle periferie, si tollera, accetta, autorizza o magari si organizza un ordine pubblico interpretato privatamente, il passo da lì alle milizie rischia di essere drammaticamente corto.
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#nonaveteideadichecosaavetemessoinmotoil21maggio