Sistematicamente ricorrono sui giornali notizie di ragazzi che arrivano al suicidio dopo aver mentito sull’università. Un ultimo, probabile, caso, meno di due settimane fa, avrebbe ripercorso almeno secondo la famiglia del ragazzo questo tragico copione, nei pressi di Padova. Ogni suicidio naturalmente rispecchia una storia peculiare, che va rispettata nello specifico dolore, e dunque una dimensione individuale impossibile da sondare. Tuttavia esiste anche una dimensione sociale del fenomeno che non può non suscitare dibattito.
Le reazioni su social e stampa portano quasi sempre a colpevolizzare la pressione sociale dell’università e la concezione agonistica che questa trasmetterebbe, inducendo molti ragazzi a cedere. A mio parere, tuttavia, queste riflessioni, benché necessarie, non colgono la specificità del fenomeno, mentre c’è un messaggio molto più puntuale e diretto che andrebbe trasmesso agli studenti per prevenire simili tragedie.
Suicidarsi perché si è arrivati a mentire per anni sull’università, spesso appena prima di dover rivelare la verità alla propria famiglia (magari addirittura in procinto di una festa di laurea già organizzata) è molto diverso dal suicidarsi perché non si è (ancora) riusciti a laurearsi. In questi casi la principale leva del suicidio non è data dalla mancata accettazione delle difficoltà universitarie (magari peraltro in età ancora giovani), bensì dall’enorme pressione psicologica provocata dall’aver mentito a parenti e amici in modo così gravoso.
L’obiezione più semplice poggia sull’idea che questi stessi ragazzi non sarebbero arrivati a mentire se non avessero avvertito la pressione di cui sopra. Il tema non vuole essere obliterato con faciloneria da questo articolo (né in un senso né nell’altro) e riguarda un fondamentale aspetto dell’educazione alla gestione delle difficoltà proprie e degli altri. Ma il dato di fatto è che la menzogna è un fenomeno diffuso in qualsiasi ambito, su qualsiasi aspetto possa comportare un vantaggio sociale. Mentire è una scorciatoia molto semplice che porta a illusori (o effettivi) vantaggi sociali adottata nei contesti più disparati, che si tratti di millanterie o di consapevoli rimozioni.
Vivere in società comporta sempre e inevitabilmente qualche forma di pressione sociale: la vita sociale è di per se stessa fondata su una fitta rete di incentivi e disincentivi che trovano il proprio perno nei feedback e nelle aspettative degli altri. In questo senso, la falsificazione come scorciatoia sociale porta a mentire su tutto: sulla propria condizione economica, sulle proprie esperienze lavorative, su quelle sessuali, sulla propria capacità di influenza, sull’età, sui titoli di studio…
Nella maggior parte dei casi, anche quando si viene scoperti, ciò non comporta gravi conseguenze, se non temporanee. Sono recenti anche i casi di influencer arrivati a mentire in modalità scellerate su valori tra i più importanti. Imen Jane, per aver mentito sul proprio titolo di studio anche in un atto pubblico; Iconize, per aver raccontato di aver subito una aggressione omofoba sulla base di un livido sul volto autoprovocato forse con una confezione di surgelati proprio a questo fine; Disperatamentemamma, per aver mentito quantomeno sulla paternità del figlio. E’ chiaro che, per chi vive di autonarrazione, l’incentivo a mentire è particolarmente forte. E per quanto sul breve periodo tutti i protagonisti di queste vicende ne siano stati danneggiati, allo stesso modo hanno potuto continuare a svolgere le proprie attività, magari anche crescendo, socialmente assolti da centinaia di migliaia dei loro follower.
Invece mentire sul proprio percorso universitario, all’interno del proprio nucleo familiare o ristretta cerchia di conoscenze, comporta un peculiare livello di pericolosità, perché farlo è facilissimo e potenzialmente devastante. La classica china scivolosa nella quale è facile cadere e dalla quale è complicatissimo e progressivamente più difficile uscire.
Un ragazzo che trovasse difficoltà all’università nei primi anni, oltre a essere molto giovane e quindi spesso più fragile e insicuro, può trovare molto conveniente nel breve periodo mentire su un esame. Ha l’impressione di non essere troppo controllato (come spesso non è), di avere 4 o 5 anni davanti a sé per rimediare, di dover ancora crescere… Cosa sarà mai un esame, dei tanti che ha davanti e nei quali potrà riuscire in futuro affinando il proprio metodo di studio, rispetto alle prime pressioni psicologiche che potrebbe cominciare a soffrire? E una volta che mentire su un esame si è rivelato uno stratagemma efficace, capace di liberare dalla immediata morsa delle aspettative dei parenti (e magari anche degli amici) donando mesi di serenità e ossigeno per riprovare con più calma, perché non farlo anche con un secondo o un terzo esame?
In un periodo di tempo molto più breve di quanto si possa ritenere all’inizio, si arriva a una annualità di esami “sostenuti” solo nella narrazione spacciata a parenti e amici. Una caduta rapidissima, eppure una enormità per chi incontra difficoltà nel percorso universitario, e un macigno da confessare alla propria famiglia. Conseguenze che prima sembravano lontane cominciano a presentarsi spaventose. Quasi senza accorgersene, ci si avventura in un mondo di solitudine in cui la potenziale disapprovazione per le difficoltà universitarie da parte di chi ci circonda diventa un pallido ricordo rispetto all’attanagliante paura di essere scoperti. Ogni aspetto dell’università diventa una potenziale minaccia, l’ansia per qualsiasi discorso o domanda sul proprio percorso è accresciuta esponenzialmente.
Naturalmente, e per fortuna, la maggior parte delle persone che cadono in questa catena riescono a spezzarla, rimediando in tempo più o meno utile con gli esami o trovando prima o poi il coraggio di affrontare la questione in famiglia. Ma per coloro che non riescono, la disperazione può diventare schiacciante, e rimandare l’appuntamento con la verità diventa l’unica illusione di vita che non fa altro che stringere ulteriormente la rete in cui si è strangolati. L’unica via per reggere la sistematica menzogna con gli altri diventa la menzogna a se stessi, ricacciando ostinatamente nel buio della propria coscienza un pensiero sempre più spaventoso da affrontare.
E’ necessaria una straordinaria pressione sociale per arrivare a mentire sugli esami? Niente affatto: è sufficiente che appaia una scappatoia efficace sul breve periodo, come accade per tutte le condotte di cosiddetto autosabotaggio, e per tutti i casi in cui si ritiene più conveniente mentire. Per questo, pensare di impostare la discussione di questo fenomeno solo sul più ampio tema della pressione sociale, della (fondamentale) gestione dei cosiddetti fallimenti e del rapporto con le scadenze rischia di portarci su una prospettiva troppo elevata per essere utile.
C’è un messaggio molto più diretto che dovrebbe essere veicolato a ogni studente che comincia l’università: non mentire sul tuo percorso universitario. E ancora meglio sarebbe trovare strumenti di trasparenza che rendano molto più complesso mentire sul lungo periodo, accumulando pericolose falsificazioni e non detti, quantomeno rispetto a un nucleo familiare generalmente ancora importantissimo, soprattutto in Italia, nei primi anni universitari.
Mentendo si diventa soli, ed è fondamentale che nessun ragazzo si barrichi in uno spazio di separatezza potenzialmente mortale nel corso della propria formazione. La verità è l’unica via per affrontare gli ostacoli o eventualmente trovare altre strade.
1 comment
però si GODE!!! meno umani = più felicità ;)