Che Vester Lee Flanagan, il killer della strage in Virginia, non avesse tutte le rotelle a posto lo si evinceva dal curriculum.
Anzi, potremmo anche dire che gli innumerevoli direttori di rete che l’avevano licenziato in passato probabilmente hanno seguito saggiamente il proprio istinto.
Del resto, un paranoico in fissa con le discriminazioni razziali, che uccide due giornalisti bianchi perché due mesi prima un malato di mente ha fatto strage di nove afroamericani, si mette alla pari dei peggiori terroristi che il suo paese stesso combatte in tutto il mondo.
Eppure, nonostante l’indignazione istituzionale e dell’opinione pubblica sulla tragedia, seguita dalle solite polemiche relative al fatto che negli States si acquistino armi come se si comprassero Vigorsol, il punto focale della discussione sembra essersi spostato sul veicolo dell’accaduto, e non sull’omicidio in sé.
A tal proposito lo psicologo Piero Bocchiaro, nel saggio Psicologia del male, rammenta come non sia il chi a dover essere posto al centro dell’attenzione nell’analisi di ricerca dell’aggressività, ma piuttosto il dove, asserendo l’assoluta situazionalità di quest’ultima.
Non siamo cattivi per natura, o per una predisposizione genetica. Lo siamo a seconda della situazione nella quale ci troviamo.
Il nostro dove, in questo caso, è il web. Più precisamente i social network come Facebook e Twitter. Un mare magnum di opinioni, commenti e dissacranti prese di posizione nel quale chiunque si crede attendibile, chiunque pensa di poter avere voce in capitolo riguardo ogni tipo di argomento, dalla politica monetaria europea all’inquinamento globale, passando per le inchieste giudiziarie e le tattiche del proprio allenatore preferito. Un mondo di tuttologi, nel quale l’astrattezza di internet permette di poter infierire verbalmente contro il vicino, una star, il marito o il figlio, senza realmente realizzare le conseguenze dell’accaduto.
In questo contesto pubblicare il video di un omicidio diventa leggero come uccidere i passanti di San Francisco a GTA, con l’aggiunta di poter godere di un pubblico, anch’esso oramai anestetizzato dallo spettacolo-tragedia al quale ci hanno abituati i tagliateste dell’Isis, e prima ancora Al Qaeda con i suoi attentati.
Ma ora le cose sono cambiate: l’utente non subisce passivamente lo show imposto dai barbari. L’utente si rende conto di poter essere anch’esso un barbaro. Di avere gli stessi strumenti di propaganda, di poter acquisire dei fan, di credere di avere qualcosa da dire ai propri seguaci e di farlo seguendo la morale più corretta al mondo: la propria.
Come accennato da Aldo Grasso sul Corriere, ci troviamo di fronte ad una soggettiva nuova, quella dell’assassino. Segno dell’ennesimo tabù infranto, teatro di una prospettiva che non guarda la tragedia, anzi, ne fa parte. Di un pubblico, a volte, complice e autore di questa stessa tragedia.
E se la mente di un qualsiasi quarantenne potrebbe andare alla disgrazia del piccolo Alfredo di Vermicino, dove la cronaca nera è diventata spettacolo e le televisioni si sono riscoperte crudeli sciacalli emozionali, quella di un ventenne accetta di buon grado la morte che il web offre nella sua quotidianità.
Il vero guaio sta nel fatto che non si limita ad accettarla: la cerca, la condivide e la commenta. Come se fosse perfettamente normale. Come se fosse equiparata ad un’escursione, una giornata al mare, una canzone o una sciata con gli amici. Un brivido che senza un video sarebbe difficile da raccontare. Una storia tanto cinematografica da non sembrare reale.
1 comment
Articolo interessante, perchè mette il dito in una piaga sempre più profonda, frutto della cultura della comunicazione di massa, amplificata da strumenti sempre più potenti e “user friendly”, per dirla all’americana.
Chi come me ha i capelli molto bianchi è forse più ancorato alla realtà di quanto possano esserlo adolescenti e giovani di oggi, grazie alla mia provenienza dal giurassico della comunicazione di massa. Ma chi in questo mondo ci nasce, ci cresce, e si esprime attraverso gli strumenti di questo nuovo mondo in cui reale e virtuale si confondono, di che strumenti dispone per distinguere il reale dal virtuale, in cosa consiste la differenza di percezione, se esiste ?
E in un mondo in cui è sempre più difficile distinguere tra informazioe e disinformazione, cosa è vero e cosa non lo è ? Questo vale per i giovani ed non più giovani. Io mi difendo con la diffidenza nei confronti di qualsiasi informazione, ma i giovanissimi sono in grado di difendersi ? E come si difendono quelli che filtrano l’informazione attraverso la griglia di una ideologia preconfezionata ?
Tutti TUTTOLOGI ? Si, perchè in rete c’è TUTTO a disposizione, ogni sapere, ed il suo contrario e serve molta capacità critica per credere di poter sapere qualcosa ed essere consapevoli di ciò che non si sa.