La microbiologia, si sa, è un argomento di studio importante nel mondo di oggi, e così abbiamo deciso di occuparci dei liberali italiani. Non ci vengono in mente definizioni abbastanza cattive, così abbiamo pensato di ricorrere alla più offensiva che conoscessimo: i liberali sono peggio dell’Inter di Cuper. Almeno quelli arrivavano secondi e lottavano fino alla fine, avevano un presidente che spendeva tanti soldi, avevano alla guida un “hombre vertical“. Per non parlare delle rose chilometriche e dell’infoltimento a centrocampo: quanto ci farebbero comodo i voti dei panchinari di quell’Inter. Che poi Van der Meyde e Kili Gonzales uno spirito non dico libertario, ma almeno libertino l’avevano pure. Se solo fossero stati cittadini italiani. Noi non abbiamo niente di tutto questo; niente leader, soldi o militanti che svolgano il loro ruolo. Ma abbiamo scelto di incarnare quanto di più metafisico e quintessenziale quell’Inter avesse da offrire. Non si tratta dell’anima: noi parliamo della sfiga.
C’è in comune quella frustrazione rassegnata e di gruppo, quello spogliatoio sfasciato, quell’assenza di progetti, quel trattare allo stesso modo i Ronaldo e i Ventola, quell’approccio agli psicodrammi della nostra storia. Quella consapevolezza di essere, per masochismo e per destino, perdenti. Ma le analogie sono anche tecnico-tattiche: un ammasso di giocatori senza capo né coda che cercano di giocare individualmente. Un insieme di individui che credono di indossare la stessa maglia, ma che certamente non costituiscono una squadra. Quante sigle, nomi, colori, volti. C’era chi proponeva, vista l’incapacità di incidere politicamente, di sfruttare questo stormo di simboli almeno dal punto di vista ludico: perché non creare un campionato di calcio, magari a più gironi, fra tutte le sigle liberali? Perché quasi nessuna delle squadre arriverebbe a undici giocatori, risposero in coro.
C’è ancora chi è convinto che esista una “galassia liberale” più o meno analoga a quella dei Radicali. Chissà quanti anni dovranno passare prima di accorgersi che non esiste niente, che questa idea di “riunire i liberali” è già da anni una barzelletta che non fa ridere. Tutte le pur piccole associazioni radicali hanno in comune una storia, un ruolo politico, soprattutto una visione del mondo. I cosiddetti “liberali”, mettetevelo in testa, no. Non esiste nessuna area politica, nemmeno irrilevante, che vada dall’ALDE al Tea Party Italia, e per fortuna. Perché le visioni opposte esistono, e così anche le diverse stature intellettuali, e non può essere l’ennesima pizzata d’associazione o un liberal camp a nasconderle. Ragion per cui, se solo esistesse un minimo progetto politico, bisognerebbe scegliere, discernere, separare la seta dagli stracci. O una visione seriamente riformista dalle schiumate antitassaiole.
Una volta c’era il fronte dei “partiti laici“: liberali, repubblicani, radicali, socialdemocratici… e si poteva scegliere. Altissimo in un campo diverso da Spadolini. Come è successo che oggi una combriccola di attivisti ha deciso che liberali, libertari, anarcocapitalisti, grillini incosapevoli, fascistelli che non vogliono pagare le tasse debbano tutti marciare sotto la stessa bandiera “liberale”? Che Popper sia parente di Rothbard o, più semplicemente, Michele Boldrin collabori allo stesso libro cui partecipa Leonardo “Evaso” Facco? Di modo che se mi azzardo a dire che le leggi si rispettano finché ci sono (oppure ci si denuncia e si fa disobbedienza civile) invece che “fottere lo stato sempre e comunque!”, devo pure rispondere della mia coerenza nell’essere liberale. Cominciamo a mettere le cose in ordine.
Popper, personaggio che ha dato un contributo intellettuale alla libertà paragonabile, o persino superiore, a quello di Giacomo Zucco, diceva ne “La lezione di questo secolo” che abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l’abuso della libertà. Solo uno dei tanti che avremmo potuto citare (e lungi da noi farne teologie) ma, ecco: disquisiva di società aperta e di stato di diritto più che di “statoladro” e “fallitaglia”. Sarà per questo che non gli hanno dato il Nobel. Fatto sta che nella sua visione lo Stato ha un ruolo fondamentale, non esiste una concezione di “libertà assoluta” (che per la verità non è proprio mai esistita, ma i sogni son desideri). Ambiva alla massima limitazione della violenza (non proprio alla liberalizzazione delle armi) e auspicava la fine di una politica basata sulle ideologie. Lui, il più acuto e importante avversario del marxismo, riteneva ugualmente demenziale una ideologia fondata solo sull’anti-marxismo. Ecco, io credevo che il liberalismo andasse compreso su tanti autori come lui, che fosse un ragionamento nutrito di umile apertura mentale più che un rosario di slogan da recitare su Facebook. Anzi, lo credo ancora.
Quindi: tenetevi pure per voi gli slogan da cerebrolesi, il Reagan che avete ridotto a santino da venerare come vecchiette pugliesi con Padre Pio, ignorando le critiche che gli vengono mosse proprio dagli ambienti libertarian statunitensi (I e II giusto come esempi) come David Stockman. Voi che fate gli intolleranti su chiunque ritenga necessaria una pur bassa tassazione ma avete sostenuto a lungo i governi di Berlusconi perché apprezzavate proprio il suo lato peggiore: l’assoluta mancanza di senso delle regole. Che avete fatto degli evasori fiscali un modello politico, più o meno come fece la sinistra anni ’70 con troie e pederasti. Che avete trasformato i dibattiti sui social in una grande fase orale freudiana del liberalismo: mamma/papà, buono/cattivo, liberista/socialista. A posto così. Però, per favore, accomodatevi fuori: la parola “liberale” è già abbastanza sputtanata di suo.
Detto questo, è evidente che non sono solo questi piccoli talebani la causa del fallimento dei liberali italiani. Molti altri hanno storie diverse e individuali: sarebbe insensato provare a riassumerle in un solo articolo. Tanti ci hanno messo la faccia e hanno pagato per i loro errori sui quali è inutile anche tornare, e che anzi andrebbero superati proprio come si esce da uno psicodramma. Personaggi che abbiamo scoperto inaffidabili, soggetti troppo chic e paraculo, borghesucci molto legati ai loro interessi di bottega, caratteracci litigiosi e intolleranti: soprattutto piccoli personaggi in cerca di autore che si muovevano nel sottobosco micropartitico. E, certo, anche tante persone fra le più care. A queste va tutta la mia gratitudine. Tutte in ogni caso hanno commesso un grande errore, in parte dettato dalla necessità: pensare che potesse esistere un solo grande liberalismo “di sottrazione“. Cioè che in fondo tutti, dal radicale illuminato al clericale gretto, volessimo semplicemente “meno Stato”, e bastasse solo essere “contro le tasse”. La politica degli “anti“, basata su pochi temi, è l’autostrada degli estremisti, degli intolleranti, dei reazionari: ovviamente (ma in fin dei conti mi interessa poco) degli illiberali. Scoperta tardiva ma ormai assodata.
Ciò che però importa capire è che, a mio parere, non si può ricavare assolutamente niente di buono dal piccolo mondo che confluì in Fare, dalle attuali associazioni liberali, dai reduci della prima repubblica e soprattutto dai talebani e pseudo-leader da social network (che andrebbero lasciati a se stessi, non continuamente coinvolti). Che è bene e meglio per tutti che ognuno torni a fare il proprio mestiere, con gratitudine autentica per chi si è speso di più e altrettanta stima per chi è diventato un’ecceĺlenza nella propria professione. Perché non tutti sono uguali di fronte al fallimento. Ma siccome di fallimento (anzi di catastrofe) si tratta, è bene riconoscerlo, non insistere oltre, e tornare a dare il proprio contributo alla società in altro modo.
Quindi, cari liberali italiani: disgregatevi. Perché la mia generazione non se ne accorgerebbe nemmeno, ma, chissà, in futuro altre persone potrebbero anche trarne vantaggio e riuscire a combinare qualcosa.
4 comments
1) http://stradeonline.it/istituzioni-ed-economia/1673-quello-liberale-e-prima-di-tutto-un-vuoto-di-creativita
2) http://www.stradeonline.it/istituzioni-ed-economia/1697-o-radicali-o-irrilevanti-non-ha-senso-fare-i-liberali-nel-mainstream-illiberale
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Non condivido. Il tuo è un pessimismo adeguato ad un un vecchio deluso dalla politica e dalla vita e non ad un ventenne. La tua soluzione è’ chiudersi nel proprio privato e non provare nemmeno a combattere lo status quo? Non condivido, sei rinunciatario.
Caro Stefano, questo tuo articolo è una PERLA che voglio incorniciare.
Il tuo atto d’accusa, che condivido in pieno, è il più bel manifesto liberale che io abbia mai letto, perché denuncia la nostra pochezza diffusa e la non consapevolezza delle differenze che si nascondono sotto un cappello ormai stinto e consunto.
Il tuo gesto è un atto di LIBERTA’ che ammiro e che io stesso non ho mai avuto il coraggio di esprimere con tanta risoluta chiarezza, consapevole delle reazioni scomposte che avrebbe suscitato.
Occorre in quest’area che si dice liberale uno scatto di UMILTA’ , non di orgoglio, perché non c’è nulla di cui si possa essere fieri. Grazie di cuore per questo tuo scritto che faccio integralmente mio.
Forse per vincere bisognerebbe avere l’istinto dell’appropriazione indebita e i liberali non ce l’hanno. La mancanza di questo tipo di difetto é un difetto in politica.