Francesco Fronterotta è stato un mio professore alla Sapienza, uno tra quelli che ho più apprezzato. Mi ha sorpreso, perciò, leggere sul Riformista un suo intervento a proposito dell’Ucraina che risulta, a mio parere, filosoficamente debolissimo.
La posizione di Fronterotta, ben riassunta dal titolo, è che sarebbe “vietato riflettere” su “perché sia scoppiata la guerra in Ucraina”. L’argomentazione è grossomodo questa:
- Lo schema aggressore-aggredito sarebbe “troppo semplicistico” per permetterci di “comprendere” l’evento storico al quale stiamo assistendo: trascurerebbe infatti una gran quantità di “cause dirette e indirette, prossime e remote, esplicite e implicite”.
- Che cosa significa? Fronterotta lo chiarisce subito con un esempio: tra le “cause” della seconda guerra mondiale non andrebbe annoverata solo l’espansione della Germania nazista, ma anche l’umiliazione inflitta ai tedeschi vent’anni prima con le riparazioni di Versailles.
- E chi sarebbe in grado di fare un ragionamento “non semplicistico”? Di certo non gli ucraini aggrediti, che a suo parere “non possono ragionare” ma solo fare “la scelta primordiale tra difendersi e fuggire”. Per lui siamo noi occidentali, al sicuro nelle nostre case, a trovarci “in una posizione favorevole al ragionamento”, per cui abbiamo il dovere di accantonare l’istintiva simpatia per gli ucraini e di “giungere a una visione delle cose che permetta di prospettare una via d’uscita dalla guerra”. Quale sia questa via d’uscita, poi, da Fronterotta non ci è dato saperlo.
- Con tali premesse, comunque, Fronterotta demonizza la scelta di “parteggiare” per uno dei due fronti, che sarebbe “incompatibile con il compito della pace”. Suppongo che, per contrasto, “compatibile con il compito della pace” sarebbe invece una sorta di contemplazione distaccata e imparziale degli eventi dalla cima di una torre d’avorio.
L’articolo si conclude con una polemica contro i sedicenti “filosofi” analitici all’americana, sempliciotti e banalizzanti, accompagnata da un elogio del profondo pensiero continentale europeo. Su quest’ultimo punto concordo in pieno con l’autore. Ma se davvero ammiriamo il pensiero continentale, a cominciare da Kant, allora ci sono due o tre princìpi cardine che non possiamo ignorare.
Da appassionato di Kant e del pensiero continentale, quando mi chiedo “Perché c’è la guerra in Ucraina?” non mi sto chiedendo “Per quali cause c’è la guerra in Ucraina”, ma: “Per quali fini c’è la guerra in Ucraina?”
La guerra in Ucraina infatti non è un fenomeno naturale come la gravitazione o il magnetismo. È l’insieme delle scelte fatte da centinaia di migliaia di esseri umani come noi, che decidono ogni giorno di dare ordini, guidare carri armati e premere grilletti in una terra straniera. È situata nel “regno dei fini”, non nel “regno delle cause”.
“Comprendere perché ci sia la guerra”, perciò, non significa ricostruire una catena di urti automatici che dalle “cause remote” o “implicite” arriverebbero a mettere in moto quelle “prossime” o “esplicite”. Significa invece ricostruire gli scopi che si sono proposti gli aggressori, poi quelli che si sono proposti gli aggrediti, vagliarne l’eventuale legittimità, e alla fine, su questa base, domandarsi: “E io, quale scopo dovrei propormi?” “Qual è il mio dovere?” o, al massimo, “Qual è il mio interesse?”.
“Comprendere perché c’è la guerra” non è un atto della ragione pura e astratta, come comprendere che la combustione c’è per via dell’ossigeno. È un atto della ragion pratica, che consiste nel valutare cosa vogliono soggetti liberi (da Putin all’ultimo coscritto di Lugansk) per decidere come reagire da soggetti liberi.
Una volta posta questa premessa, cioè spostato l’intero ragionamento dal regno delle cause al regno dei fini, e dal piano della natura al piano della libertà, tutti gli altri argomenti di Fronterotta cadono come foglie d’autunno.
L’esempio di Hitler e di Versailles gli si ritorce addirittura contro. Ammettiamo pure che le riparazioni di Versailles avessero ridotto i tedeschi in una condizione tale per cui fu per loro più facile convincersi a scegliere Hitler e la guerra mondiale: non mancò chi già all’epoca sposò questa teoria. Ma quale ne fu l’utilità pratica? Chamberlain, Halifax e altri la usarono per dare un’attenuante al comportamento di Hitler ed accordargli alcune concessioni “ragionevoli”. Questa mossa non lo fermò, perché evidentemente, fra i tanti moventi che spingevano il führer a fare quel che stava facendo, lavare l’onta di Versailles non era quello prevalente. Tutti intenti a cercare nel passato “cause remote, implicite o indirette” che rendessero scusabile il comportamento di Hitler, Chamberlain e soci persero del tutto di vista i fini che Hitler perseguiva nel presente.
Ancora meno senso ha affermare che gli ucraini aggrediti “non ragionano” o “non riflettono”. Sono, anzi, quelli che riflettono di più, se come riflessione si intende quella etica di fronte a una scelta difficile. Soccorrere un compagno ferito, o provare a salvare almeno sé stessi? Salire sul bus dell’evacuazione col rischio che venga bombardato, o restare in trappola in una città assediata? Accettare 33.000 dollari per dichiarare ai media russi che un proprio familiare è stato ucciso dagli ucraini, o continuare a raccontare la verità?
Non si tratta di una “scelta primordiale tra difendersi e fuggire”, ma di una scelta che mettendo in gioco quanto si ha di più prezioso – la vita, la libertà, la dignità – richiede una riflessione profonda e una lettura lucida del comportamento degli invasori e delle loro motivazioni. Alla domanda “perché c’è la guerra?”, cioè “cosa vogliono gli invasori?”, risponde con molta più lucidità un ucraino che se sbaglia risposta viene ucciso o deportato, rispetto a un occidentale fuori pericolo che pensa tanto per pensare.
Nelle grandi città russofone che hanno scelto di schierarsi in massa con Zelensky, come Kharkiv e Odessa, gli abitanti hanno senz’altro pesato sulla bilancia tutte le colpe “remote, implicite e indirette” degli ucraini e dei russi, molto più accuratamente di qualsiasi occidentale. Ma alla fine hanno scelto. E in modo niente affatto “primordiale”.
Infine, bisogna rilevare che la contrapposizione tra “parteggiare” e “compito della pace” è tutta da dimostrare. Qualsiasi teoria del negoziato insegna che si negozia per raggiungere i propri fini con l’assenso della controparte, quando ci si rende conto che non è possibile raggiungerli senza il suo assenso.
La pace, quindi, si può costruire solo quando si verificano queste condizioni:
1) i fini di ciascun contendente sono chiari;
2) ciascuno dei contendenti ha almeno un fine giudicabile legittimo;
3) nessuno dei contendenti è in grado di raggiungere i suoi fini senza l’assenso dell’altro.
Ad oggi 17 maggio, tutte e tre le condizioni si trovano soddisfatte dall’Ucraina, mentre nessuna delle tre si trova soddisfatta dalla Russia.
Che cosa accadrebbe se domani l’Occidente smettesse di parteggiare per l’Ucraina e di aiutarla a resistere? Semplice: la Russia perderebbe presto ogni possibilità di soddisfare sia la terza condizione (potendosi prendere quel che vuole con la forza) che la seconda (avendo mano libera, potrebbe a quel punto raggiungere fini che qualsiasi occidentale in buona fede ritiene illegittimi, come i massacri e le deportazioni ai quali abbiamo già assistito nelle zone occupate).
Anche qui, se scegliessimo di chiuderci in una torre d’avorio per ragionare sulle “cause” del passato, allontaneremmo la pace invece di avvicinarla. Soltanto attivandoci e parteggiando abbiamo una chance di obbligare i contendenti a perseguire fini legittimi attraverso il negoziato, ossia di svolgere “il compito della pace”.
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2 comments
Il Fronterotta è l’ennesimo ingrossatore delle fila, in Italia nutritissime, di chi, tra le cause principali della Seconda Guerra Mondiale annovera:
– l’espansionismo polacco
– il complotto ebraico internazionale
– la democrazia come corruzione dello spirito, nonostante gli sforzi purificatori di Hitler e Mussolini
– le aspirazioni di benessere dei popoli non ariani e non italici
Un’argomentazione è tanto più convincente quanto minore è il numero di premesse che consentono di arrivare alle stesse conclusioni. Ha tutto il diritto di elogiare il profondo pensiero continentale europeo e ritenere gli analitici dei sempliciotti (ma li ha letti?). Tuttavia, tale premessa non è necessaria al suo ragionamento. Allora perché alienarsi le simpatie di chi , come me, non la pensa come lei su questo punto, ma concorda pienamente con la sostanza della sua analisi? Corre poi anche il rischio di trovare un continentale più puro che la epura.