“Debito pubblico” è il libro che ogni greco deve leggere. Non solo loro, ma anche noi italiani e gli altri PIGS. È un’analisi spietata della crisi del debito sovrano: dalle politiche scellerate degli anni ’80 agli sprechi degli anni 2000, passando per i tre memoranda, per finire con i consigli per il futuro.
L’autrice è Miranda Xafà, economista greca, in passato membro del Fondo Monetario Internazionale, docente a Princeton e alla Pennsylvania University e direttrice dell’ufficio economico dell’ex premier Konstantinos Mitsotakis (1991-1993).
La crisi greca è l’ineluttabile fallimento di decenni di populismo e statalismo. Una crescita basata su prestiti e spesa pubblica a go-go destinata a finire in lacrime amare. Questo è il modello della Grecia degli anni ’80, quando i socialisti del PASOK hanno portato il debito pubblico dal 22,5% del 1980 al 73,1% del 1990, ma anche dell’”età dell’oro” pre-2008, in cui il dividendo dell’euro è stato gettato alle ortiche, come in Italia.
A inizio anni ’90 il governo di Konstantinos Mitsotakis (padre dell’attuale premier) ha iniziato alcune fondamentali liberalizzazioni, ma i greci si sono stretti a difesa dei loro privilegi. Alla fine la resistenza al cambiamento ha trionfato su ogni fronte, e nessuno ha messo in discussione il modello che la Xafà chiama “economia corazzata”: un Paese inaccessibile per gli investitori e inchiodato allo status quo. Il governo Karamanlìs (2004-2009) ha reso famosa in tutto il mondo la “Greek statistics”: manipolare gli indici economici per dare l’apparenza di un Paese sano. La Grecia, però, rimaneva debole. Uno studio di Hausmann e Hidalgo (2008), docenti rispettivamente ad Harvard e al MIT, mostrava che Atene aveva il maggior divario fra esportazioni ad alto tasso di capitale umano e reddito pro capite nel campione di 128 economie.
La caccia al capro espiatorio
Quando con Lehman Brothers è scoppiata la grande crisi, l’ “economia corazzata” si è trovata senza armatura. I Memoranda, la ristrutturazione del debito e l’austerità sono stati la logica conseguenza. Tuttavia, anche negli anni della Troika nessun governo ha mai osato dire la verità ai Greci. È partita la caccia al capro espiatorio: l’esempio più tragico è il caso Georgiou, il presidente dell’ELSTAT (l’ente statistico greco) che, dopo aver rivelato che il deficit del 2009 era stato truccato (15,4% invece del 6% del PIL dichiarato da Karamanlis prima delle elezioni di ottobre), è stato a sua volta accusato di aver gonfiato il deficit per consegnare il Paese alla Troika. Le clausole dei memoranda venivano descritte non come un’opportunità per rendere più competitiva l’economia, ma come prezzo da pagare per evitare il default e continuare così le solite politiche clientelari. L’apogeo è stato raggiunto sotto il governo Tsipras, che in pochi mesi ha distrutto i pochi risultati ottenuti dai governi post-2010 e, dopo il referendum-farsa, ha costretto il Paese a ripartire da una posizione molto peggiore.
Le prospettive per il futuro restano nebulose. I governi greci, a partire dall’attuale, dovranno adottare un nuovo modello di sviluppo. L’obiettivo numero uno sarà creare un Paese competitivo e aperto a nuovi investimenti e opportunità. Si dovrà migliorare la pubblica amministrazione, che resta la peggiore d’Europa, ridurre il perimetro dello Stato, tagliare la spesa pubblica e privatizzare le aziende pubbliche inutili. Non si potrà non tagliare la spesa pensionistica, che toglie ai giovani per dare agli anziani improduttivi. Secondo le statistiche OCSE, infatti, nel 2015 la Grecia aveva la più alta spesa per pensioni in rapporto al PIL: 16,9% contro una media OCSE del 7,5%.
Ci sarebbe molto altro da dire, ma bisogna prima di tutto ribadire che queste non sono “opinioni liberali”, ma l’unica speranza per la Grecia di domani. E quanto sopra vale anche per l’Italia e tutti i Paesi in crisi. I governi futuri sono chiamati a una grande sfida: capiranno la lezione del passato o ripeteranno gli stessi errori?
2 comments
godo, generally speaking ;)
Ma sto schifo è stato asserito dalla signora Miranda Xafà? dice di tagliare ulteriormente le pensioni, bene , se accoglierà tutti i pensionati in casa sua, ok….”queste non sono opinioni liberali, ma l’unica speranza di domani”
No signora, queste sono opinioni criminali, non liberali…e la lezione, a differenza di quanto lei dice e alla luce dell’ esperienza greca ed europea, che l’unica speranza per questi paesi e riappropriarsi della propria sovranità economica……lei dice che gli anziani non producono…perchè lei cosa produce se non opinioni inquinanti? il problema non è suo, ma di chi le dà voce