Dopo 19 anni e 6 mesi di direzione, Ezio Mauro lascia la guida del quotidiano la Repubblica a Mario Calabresi (qui un mio commento all’indomani della nomina).
Prima di procedere a una disamina della sua direzione, è opportuno riepilogare, ancorché per cenni, la storia professionale di Mauro.
Classe 1948, nel 1972 muove i primi passi nel mondo del giornalismo a la Gazzetta del Popolo, dove si mette in mostra per le qualità di cronista di razza occupandosi di terrorismo.
In La Repubblica di Barbapapà, Giampaolo Pansa ricorda che allora “Mauro risultava un concorrente molto temibile. Scovava sempre la notizia o il dettaglio che nessuno aveva. E arrivava sui servizi assai prima degli altri”. Per questo, oltre che per la bassa statura, gli venne affibbiato da subito il nomignolo di Topolino.
Quasi dieci anni dopo, nel 1981, approdò a La Stampa; dapprima come cronista parlamentare e successivamente come responsabile della politica interna e poi inviato negli Stati Uniti.
Fu Scalfari in persona a chiamarlo a Repubblica nel 1988 affidandogli l’incarico di Corrispondente da Mosca, negli anni di Gorbaciov e della dissoluzione del regime comunista.
Due anni dopo fece ritorno a La Stampa, scelto da Paolo Mieli per affiancarlo come condirettore. Allorché Mieli andò a dirigere il Corriere della Sera in sostituzione di Ugo Stille, Mauro, l’8 settembre del 1992, divenne direttore de La Stampa; vi rimase quattro anni, “continuando” – scrive Pansa – “a mettere in mostra le sue qualità di fondo: la tenacia professionale, la curiosità per i fatti, l’estrema cura nello studio delle questioni che non si conoscono a fondo”.
Ha un “carattere molto forte”, è talmente sicuro di sé da risultare borioso. Pansa lo descrive efficacemente come un “tipo intransigente e ben poco incline ai compromessi”, “che non guarda in faccia nessuno” e “nasconde dentro di sé l’asprezza del giacobino”. Ideologicamente è un uomo di sinistra, di tendenza azionista, considera Norberto Bobbio come proprio maestro.
Giancarlo Perna, che lavorò con lui negli anni a La Stampa, individua nella “capacità di adattamento all’interlocutore” una delle ragioni del suo successo: “se intervistava l’allora sindaco comunista di Torino, Diego Novelli, gli dava l’impressione di essere un compagno”, “se parlava con Guido Bodrato, allora potente dc piemontese, quello avrebbe giurato di trovarsi di fronte a un chierichetto”.
È risaputo che Scalfari avrebbe preferito Mieli come erede, o in alternativa Bernardo Valli, perché più malleabile, e che invece De Benedetti aveva Mauro come unica preferenza.
L’unica condizione che Scalfari impose fu di poter scrivere un editoriale ogni domenica; e aggiunse una clausola: Mauro non avrebbe dovuto superarlo per quanto riguardava gli anni di direzione.
Il 6 maggio del 1996 Ezio Mauro venne quindi nominato direttore, il secondo nella storia del giornale, all’età di 48 anni.
Secondo la ricostruzione che ne dà Mauro, i fatti andarono così: “Una sera di primavera del 1996 mi arrivò la telefonata di Eugenio. “Ho bisogno di vederti”. “Va bene, quando vengo a Roma”. “No, domani”. Capii e ne parlai con Gianni Agnelli, che volle accompagnarmi in aereo a Roma. Sul volo del rientro gli dissi che sceglievo di andare a Repubblica. Se ci ripenso oggi, ero in uno stato di totale incoscienza. Finii di lavorare a Torino il 30 aprile e il 2 maggio ricominciai a Roma”.
Non era facile succedere a un personaggio ingombrante come Eugenio Scalfari, che è stato, comunque la si pensi, uno dei più grandi giornalisti italiani del 900.
Pur non possedendo il carisma di Scalfari né la sua notorietà, Mauro vi è riuscito brillantemente, rivelandosi da questo punto di vista un professionista eccellente.
Da un lato ha innovato il giornale. Lanciando un settimanale femminile (D la repubblica), vari mensili di scarso successo (Velvet e Xl), l’allegato domenicale, disponendo una parte del giornale dedicata all’approfondimento e alle inchieste (R2), creando il sito online del giornale, che “si è poi affermato come il principale sito d’informazione”, ed è ancora oggi il più letto in Italia.
Nel 2004 Repubblica è il primo giornale in Italia ad abbondare la stampa in bianco e nero e ad adottare quella a colori; tutti gli altri giornali concorrenti subito la emuleranno.
Nel 2013 nasce il festival di Repubblica, una serie di incontri ed eventi culturali organizzati in diverse parti d’Italia con le firme più importanti del giornale; si rivela un’iniziativa di grande richiamo, utile a stabilire un legame identitario più forte tra lettori e quotidiano (Panorama, Il Fatto Quotidiano, Il Giornale seguiranno anch’essi la stessa strada).
Dall’altro lato ha mantenuto intatta la tradizione del giornale e i suoi caratteri peculiari di giornale-partito (definizione che Angelo Agostini, storico del giornalismo che su Repubblica scrisse un libro, invero agiografico, rifiuta, ma che invece ben si attaglia al giornale fondato da Scalfari).
Fin dalla sua nascita, Repubblica, ha influito nella vita politica italiana, non solo e non tanto nei confronti di una parte limitata ma significativa – perché la più acculturata – dell’opinione pubblica di sinistra (in questo Scalfari ha svolto un ruolo speculare a quello rappresentato da Indro Montanelli a destra), ma esercitando un grande potere di condizionamento in particolare nei confronti della sinistra partitica contigua alla linea di Scalfari.
Negli ultimi 20 anni di direzione di Mauro, quello che pareva un vezzo di Scalfari è divenuto una prassi, e la tendenza a pretendere di dettare (fino a imporre) la propria linea politica sui partiti di sinistra, dai ds al pd, si è addirittura accresciuta.
La capacità (o il potere) di Repubblica di eterodirigere la sinistra è stata tanto più forte quanto maggiori erano le difficoltà che essa attraversava.
Il quotidiano col tempo ha finito quindi per assumere, a sinistra, non solo un ruolo egemonico ma “una funzione di vera e propria supplenza identitaria”.
Non corrisponde al vero, pertanto, l’idea che Repubblica sia stata appiattita sulle posizioni della sinistra; è vero il contrario: i leader che si sono avvicendati a sinistra, almeno fino all’avvento di Renzi alla guida del Pd, sono stati pressoché tutti succubi di Repubblica.
E questo è potuto avvenire per la sostanziale debolezza e afasia della sinistra italiana, occorsa a seguito della dissoluzione del PCI; ed è valsa al giornale l’accusa – o la fama – di essere politicizzato e di fare politica in maniera indiretta, surrettizia; come fosse un partito (da qui la definizione coniata a suo tempo da Ugo Intini).
È significativo in questo senso che alle ultime elezioni politiche nazionali ed europee quattro tra gli editorialisti e i giornalisti del quotidiano – Miguel Gotor, Michela Marziano, Barbara Spinelli, Curzio Maltese – si siano candidati come parlamentari nelle assemblee legislative.
Le intromissioni del giornale fondato da Scalfari nelle faccende politiche della sinistra sono state frequenti.
All’epoca delle primarie del 2011, quelle che videro contrapposti Renzi e Bersani, Repubblica appoggiò senza riserve l’allora segretario del Pd. Scalfari invitò a votare Bersani, come già aveva fatto nelle precedenti primarie. Contro Renzi, all’epoca sindaco di Firenze, fu imbastita un’offensiva di inusitata virulenza, volta a delegittimarlo, presentandolo come, berlusconiano, estraneo alla sinistra e ai suoi valori.
Nel 2013 avviene la svolta: l’inaspettato insuccesso elettorale di Bersani instilla nella sinistra la definitiva convinzione che è Renzi l’unico politico del Pd che possa vincere le elezioni politiche. Alle primarie del 2013 stavolta Repubblica si schiera apertamente con lui; lo sostiene, pur con qualche distinguo, anche quando giunge al governo dopo aver estromesso Enrico Letta. Tuttora Repubblica è un giornale filo-renziano.
Non sono stati comunque passaggi indolori e il quotidiano ha perso un numero consistente di lettori scontenti di tali scelte.
Come detto, non tutti i leader della sinistra hanno gradito le ingerenze di Repubblica.
Quando nel 2009, in un’intervista rilasciata a L’Espresso, Mauro invocò la necessità per il Pd di dotarsi di un “Papa straniero”, cioè di un nuovo leader appartenente alla società civile, D’Alema lo accusa esplicitamente di voler spodestare la dirigenza con l’intento di diventare egli stesso il leader della sinistra. Da più parti – lo stesso Scalfari lo propone – si risponde a quell’appello facendo il nome di Roberto Saviano come futuribile leader del Pd.
I vent’anni di Mauro a Repubblica hanno coinciso politicamente non solo con le vicende del centrosinistra ma soprattutto con la lunga stagione del berlusconismo. Nei confronti di Berlusconi Repubblica ha dato al contempo il meglio e il peggio di sé. È stato un giornale di fiera e implacabile opposizione, spingendo la sinistra, a fare altrettanto: l’antiberlusconismo è divenuto l’unico elemento aggregante, un collante identitario, per i partiti di centro-sinistra.
Repubblica ha ingaggiato contro Berlusconi una vera e propria guerra politica, il cui apogeo è stato raggiunto nel 2010 con la campagna delle “10 domande” stilate da Giuseppe D’Avanzo, sui suoi rapporti con Noemi Letizia. Berlusconi reagì facendo causa a Repubblica e invitando gli industriali a non fare pubblicità sui giornali ostili al governo.
In quell’occasione Repubblica lanciò diverse raccolte di firme in sostegno della propria iniziativa, e, “trasformando i suoi lettori in attivisti” – hanno osservato Ferdinando Giuliano e John Lloyd -, “ha ripetuto, in scala ridotta e dall’atro lato dello spettro politico, l’esperienza americana di Fox News e della mobilitazione dei Tea Party. Così facendo ha sottratto ai partiti di centrosinistra la leadership nella battaglia contro Silvio Berlusconi, acquisendo una visibilità politica che va ben oltre quella di un semplice quotidiano”.
Da lì in poi iniziano a susseguirsi una serie di inchieste e processi sugli scandali sessuali che coinvolgono Berlusconi e Repubblica avrà ancora una volta un ruolo di primo piano.
Era giusto contrastare Berlusconi, stigmatizzare l’anomalia del suo abnorme conflitto di interessi, i metodi di gestione del potere e i comportamenti pubblici e privati del tutto incompatibili con una democrazia avanzata, come ha fatto il quotidiano di Mauro (e ha reso molto in termini di copie, come dimostra il successo che ha avuto Il Fatto Quotidiano nei primi anni).
Non sono però mancati, in questo scontro veemente, eccessi ed errori: l’avversione a Berlusconi si è accompagnata anche a quella, sprezzante, quasi antropologica, nei confronti degli italiani che per Berlusconi votavano e simpatizzavano, considerata l’Italia peggiore, composta da individui incolti, reazionari e facilmente manipolabili. Repubblica (ma il discorso è estendibile alla sinistra in generale) non ha mai provato seriamente a capire il fenomeno Berlusconi, i valori che egli interpretava presso il ceto medio, le ragioni del suo successo e delle ripetute sconfitte della sinistra.
Quest’idiosincrasia di Repubblica per Berlusconi è stata in parte pregiudiziale: in tempi recenti, con Renzi Presidente del Consiglio, è stata acquiescente o blanda rispetto a provvedimenti (come la modifica dell’articolo 18 o la riforma costituzionale) simili nella sostanza a quelli che in passato aveva duramente contrastato quando a proporli era stato Berlusconi.
Non sono mancanti inoltre errori di valutazione. Repubblica lo ha dato per finito diverse volte ed è sempre smentita dai fatti. Nel 2008 Scalfari arrivò addirittura a dirsi certo della vittoria di Veltroni su Berlusconi “perché con avversari di questo livello non si può perdere”.
Con Berlusconi Repubblica è stato un giornale aggressivo, non gli ha fatto sconti, interpretando appieno il suo ruolo di contropotere, ma ciò è avvenuto unicamente nei riguardi della destra (con l’eccezione Fini nel 2010); nei confronti della propria parte politica, continuamente fiancheggiata, è stata invece oltremodo compiacente (anche se talvolta non sono mancate critiche anche molto severe verso i dirigenti della sinistra).
Questo atteggiamento partigiano discende anche dal fatto che Repubblica, a differenza de il Corriere della Sera che ha un pubblico più eterogeneo, deve tenere conto di un lettorato composto quasi esclusivamente da persone di sinistra (e nella fattispecie da elettori del Partito Democratico).
Repubblica, e con Mauro questa caratteristica si è accentuata, ha sempre praticato un giornalismo di parte, militante. Scalfari (come Montanelli del resto) riteneva che i giornali nom dovessero essere imparziali, neutrali; né che potessero perseguire come fine l’obbiettività.
Il Corriere della Sera, benché sia stato eccessivamente timido e moderato nei confronti di Berlusconi, “è comunque rimasto” più imparziale, “cauto ed equilibrato di Repubblica“. Non per caso, negli ultimi 20 anni, “il Corriere ha conservato di misura il primato sia nelle vendite sia nel prestigio e nell’autorevolezza” (cit. Oliviero Bergamini).
Si è sostenuto spesso, Pansa in primis, che la Repubblica di Mauro fosse un giornale-caserma, dove vigeva il pensiero unico e non era ammesso il dissenso dalla linea impartita dal direttore. Lo stesso Pansa ha aggiunto che quando era direttore Scalfari, Repubblica era al contrario un foglio molto più liberale, che amava contraddirsi e ospitare opinioni diverse tra loro.
È una tesi in massima parte vera; purtuttavia, ad eccezione del caso di Pansa, che ha lamentato di essere stato impossibilitato a scrivere perché non allineato all’ortodossia di sinistra, Mauro ha garantito nei suoi anni di direzione un discreto pluralismo. Alcuni editorialisti erano poco o per nulla consentanei alle idee di sinistra come, per rimanere in ambito economico, Tito Boeri, Alessandro de Nicola, Luigi Guiso, Alberto Bisin, Alessandro Penati (la linea economica seguita dal giornale è rimasta liberal-progressista, con qualche ammiccamento alla sinistra più radicale); e, per un certo periodo, un intellettuale di destra, seppur sui generis, come Pietrangelo Buttafuoco ha discettato di questioni attinenti all’Islam sulle pagine culturali (e per questo è stato allontanato da Panorama).
Giornalisticamente parlando, Repubblica con la direzione di Mauro si è connotata per alcuni aspetti encomiabili: ha riportato notevoli scoop, come quando ha rivelato che un dossier sul presunto acquisto di uranio africano da parte dell’Iraq finito tra le prove utilizzate dalla Casa Bianca per giustificare l’attacco contro Saddam Hussein fosse un falso trasmesso agli Usa attraverso canali italiani oppure quando ha ottenuto la prima intervista pubblica (non si sa quanto attendibile) rilasciata da Papa Francesco a Eugenio Scalfari, e che ha avuto risonanza mondiale; le interviste-conversazioni domenicali di Antonio Gnoli ai grandi vecchi di questo paese che sono le migliori del genere; Repubblica negli anni ha potuto vantare la collaborazione di illustri intellettuali, il meglio dell’intellighenzia di sinistra, da Pietro Citati a Umberto Eco, da Sabino Cassese a Stefano Rodotà, Timoty Garton Ash, Angelo Bolaffi, etc.
Oggi Repubblica attraversa una fase di crisi, che per la verità inizia a manifestarsi nel 2011, quando, caduto il governo Berlusconi, il paese vive una fase di depoliticizzazione, di decantazione dello scontro politico tra destra e sinistra. Inizia a scemare, fino a scomparire, anche la centralità di Berlusconi sulla scena politica e mediatica.
Repubblica non è più il secondo giornale più diffuso dopo il Corriere, dal momento che è stato scalzata da Il Sole 24 Ore (grazie alle copie digitali).
In più, come altri giornali, risente di un’impostazione troppo politicista (molto spazio alla politica per lo più attraverso retroscena e alle interviste a politici rispetto all’analisi dei fatti).
Nel complesso risulta un giornale polveroso, sussiegoso (soprattutto nelle pagine della cultura), poco attrattivo per un pubblico più giovane o che non sia di sinistra
Ezio Mauro rimarrà a Repubblica in qualità di cronista ed editorialista. Scriverà più spesso di quanto non gli consentisse il ruolo di direttore, ed è ciò che gli riesce meglio, al netto degli eccessi retorici.
Spetterà a Calabresi, che si insedierà il 15 gennaio, far fronte a questi problemi, e cercare di porvi rimedio. Ma questa è una storia ancora tutta da scrivere.
2 comments
Grazie Elia. Personalmente ho smesso di leggere Repubblica ben prima dell’assunzione della direzione da parte di Mauro. Quindi mi ha fatto piacere leggerne la storia.
Speriamo che Calabresi sappia risollevare le sorti di un giornale il cui “peso”, a mio modesto parere, si lega oggi soprattutto dall’esagerato numero delle pagine che lo compongono.
Meno pagine e più notizie. Non so però se avrò voglia di tornare a leggerlo.
Ritratto approfondito, lucido, obiettivo. Articoli come questo costano molto e valgono altrettanto.