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La Pandemia è un Processo: Conte in Parlamento

Giovedì trenta aprile si è svolta l’Informativa di Giuseppe Conte, presso i due rami del Parlamento, sulle iniziative del Governo per la ripresa delle attività economiche.

Il Premier si è rivolto prima alla Camera e poi al Senato. Con il suo solito tono pacato e fumoso ha ribadito l’eccezionalità del momento che stiamo vivendo: “Stiamo affrontando un’emergenza che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana”.

il tema dell’eccezionalità della vicenda ha contraddistinto gran parte del suo lungo intervento, richiamandola di volta in volta a ragione principe delle sue decisioni e delle sue azioni: il criticato utilizzo smodato dei DPCM e un atteggiamento poco democratico e di dialogo.

Allo stesso tempo si è più volte giustificato sottolineando che le decisioni fossero state prese in maniera corale con “gli altri membri del governo, ma anche con i capi delegazione che rappresentano le forze politiche di maggioranza, con le parti sociali e con i rappresentanti degli enti territoriali”.

A ciò ha aggiunto un altro contenuto fondamentale che ha caratterizzato l’intervento: la rigorosa osservanza dei pareri degli scienziati e dei tecnici, soprattutto per quanto riguarda la questione dell’apertura.

Infatti il Presidente, nonostante avesse coscienza della varietà di posizioni che contraddistinguono il dibattito scientifico e, talvolta, anche le incongruenze messe in campo dagli esperti (molto interessante è stato il richiamo ai media, ci fa capire che il Premier è molto attento anche a questo mondo), ha ritenuto fondamentale agire secondo pareri scientifici “ufficiali” e non per tentoni con riaperture immediate e sconsiderate.

La linea è chiara: il Governo è chiamato ad affrontare questa emergenza e “proteggere la salute, la vita stessa dei cittadini di fronte una minaccia così concreta, così letale”.

Nella conclusione ha inoltre sottolineato come l’immagine dell’Italia all’estero sia migliorata e “non certo per merito del Governo, quanto per il comportamento dei cittadini italiani”.

Il presidente Conte si sente padre della Patria, che ha assunto il dovere di proteggere i suoi cittadini, ed ammette che il lustro all’estero sia merito della loro obbedienza (quindi dei loro comportamenti) alle direttive del Governo.

Non ci si stupisce quindi se da più parti sia emersa la critica all’atteggiamento paternalistico del Premier. Non sarebbero bastate regole semplici e chiare? Non si potrebbe fare maggiore affidamento sulla responsabilità individuale dei cittadini? Di fatto assistiamo alla criminalizzazione da parte del Governo di libertà inalienabili di tutti, fino a normare i propri “affetti stabili”.

Queste questioni sono state affrontate anche da vari esponenti del Parlamento. I quali hanno proposto soluzioni e linee maggiormente “liberali”, anche i più inaspettati. Cosa si cela dietro ogni intervento? Come vedremo, si è trattato maggiormente di specchietti per le allodole.

La prima è Giorgia Meloni alla Camera.

La deputata di FDI ha commentato piuttosto negativamente l’azione generale del Premier. Ne ha sottolineato in particolare l’inefficienza, la lentezza e l’inadeguatezza dei provvedimenti presi. Ha utilizzato termini come “Stato di Diritto” e la solita chiamata alle elezioni per evidenziare l’attività solitaria del Presidente.

Molto interessante è stato il richiamo al termine “congiunti” comparso nell’ultimo DPCM, che a detta dell’On., avrebbe introdotto il concetto di “discrezionalità nell’utilizzo della norma, la discrezionalità nell’interpretazione della norma, la discrezionalità sui diritti dei cittadini”.

Se in prima battuta un discorso del genere poteva apparire sensato, ha di lì a poco rivelato i suoi veri intenti, criticando la presunzione dell’esecutivo nel valutare le priorità degli italiani, facendo riferimento in particolar modo alla manifestazione del venticinque aprile (che per lei è tutt’altro che prioritaria).

Non si è in inoltre risparmiata nell’attaccare il dualismo del governo che reclude forzatamene gli italiani mentre mette a piede libero i mafiosi (per motivi sanitari, non dimentichiamolo).

Tutto ciò ha fatto cadere immediatamente il castello di carte meloniano, facendo emergere la sua vera natura securitaria e autoritaria.

Molto divertente è stata la sua battuta finale nella quale ha affermato “Pensate a come state messi se vi devo dare io lezioni di democrazia”. Più chiara di così non poteva essere.

Passando dalla Camera al Senato il primo intervento di maggior interesse è stato quello di Matteo Renzi.

Anche il senatore non ha risparmiato critiche al Premier, pur facendo parte della maggioranza. Da subito ne ha sottolineato il “Paternalismo Populista” e ha ribadito il concetto “nessuno le ha chiesto di riaprire tutto”, richiamando così la necessità di una apertura graduale, differenziata, ma certamente più coraggiosa di quella proposta.

Non ha comunque dimenticato di dare tutto il proprio appoggio alla comunità scientifica, anzi si dice rincuorato del fatto che adesso la maggioranza faccia grande affidamento agli esperti e che dunque siano superati i tempi dei No-Vax, con chiaro riferimento ai 5Stelle.

Adesso invoca maggiore coraggio da parte della politica, a questo concetto si legano i due passaggi successivi.

Da un lato, per quanto riguarda il mondo del lavoro, il Senatore ha posto una distinzione tra “i garantiti e non garantiti”. Ha sottolineato le difficoltà dei lavoratori autonomi, delle partite IVA e di tutto il mondo produttivo, in cui vede i primi colpiti dalla crisi. Dall’altro, si è soffermato anche lui sulle ambiguità terminologiche del DPCM e in particolar modo sul lessico utilizzato dal Premier durante l’ultima conferenza: Il “Noi Consentiamo” di Conte.

Renzi non ha mancato di ricordare al Premier un concetto che dovrebbe essere ben consolidato in una democrazia matura: le libertà costituzionali vengono prima del Presidente.

Ha concluso con due citazioni colte, una di Seneca “Non licet tibi quiquam arbitrio tuo facere” e una di Mino Martinazzoli (più volte Ministro della Repubblica nelle file della Democrazia Cristiana).

Infine l’ultimo intervento di rilievo è stato quello del Senatore Salvini, maestro trasformista, munito di occhiali da pentapartito, improvvisamente di fede liberal-liberista (“Quosque tandem…” per rimanere in tema di citazioni).

Dà sfoggio della propria erudizione utilizzando come fonte principale per criticare il Governo non autori del passato, ma Tweet del Premier.

Anche il Senatore Salvini inizia col sottolineare l’atteggiamento paternalista del governo che sta “trattando gli italiani come un popolo di bambini dell’asilo”.

Sul tema del lavoro non si risparmia e si lascia andare ad un’affermazione piuttosto forte “Il Governo deve scegliere tra la Burocrazia e lo Statalismo e la libertà e i produttori” (senza virgole). Dopo una serie di richiami patriottici di vario tipo, immancabile nel proprio intervento il suo cavallo di battaglia legato al tema dell’immigrazione (perché lo Stato Italiano garantisce 25€ al giorno agli immigrati di Lampedusa e non ai bambini italiani?).

Conclude citando un estratto della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, che recita: “Tutti gli uomini sono creati uguali, (che essi sono) dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”. Un Maestro di coerenza.

In conclusione, l’unica cosa da aggiungere, è che certamente non abbiamo bisogno del Premier Conte per accorgerci dell’eccezionalità che caratterizza questi giorni di pandemia.

Un elemento, però, in particolar modo è da evidenziare: la differenza temporale che c’è tra una qualsiasi calamità naturale, che non perdura nel tempo, e il Corona virus.

“La Pandemia è un processo” ha sottolineato il Premier.
Spero che questo non coinvolga anche la nostra già fragile e mortificata democrazia.

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