Giovedì 25 luglio, nella consueta conferenza stampa, Mario Draghi ha dichiarato che il tasso di interesse sulle principali operazioni di rifinanziamento rimarrà stabile sullo 0.00%, mentre i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rimarranno invariati rispettivamente sullo 0,25% e -0,40%. La BCE intende mantenere questi valori almeno fino a metà 2020 affinché si possa convergere verso l’obiettivo inflazione. In questi ultimi anni, seppur ci sia stata una massiccia politica espansiva, il livello dell’inflazione è rimasto al di sotto del target del 2%. A tal proposito, il consiglio direttivo intende attuare tutte le politiche monetarie necessarie per osservare un aumento dei tassi di inflazione; ma, badate bene, se il tasso dovesse aumentare al di sopra del 2%, la BCE attuerebbe immediatamente politiche restrittive.
Draghi ha precisato, dopo una domanda posta da una giornalista, come tali politiche abbiano avuto un effetto benefico sulla liquidità dell’intero sistema economico, sulla stabilità e sulla crescita; ma come, in realtà, ad oggi, gli stimoli servano a poco. Bisogna combinare politiche fiscali in grado di generare aumenti della domanda aggregata, diminuire i costi nel mercato del lavoro e ottenere una spirale salariale positiva generata dalle stesse politiche. Draghi le chiama, in breve: riforme strutturali. A quanto pare la politica monetaria, diversamente da quanto sostenuto dai vari sovranisti, non può fare miracoli.
Draghi ha evidenziato come il sistema manifatturiero lasci presagire un andamento dell’inflazione non in linea con gli obiettivi. Le aspettative negative sull’aumento dei prezzi sarebbero generate da tensioni geopolitiche come il protezionismo. Date queste tensioni commerciali, le aspettative sull’inflazione, da parte del mercato, devono aumentare: ragion per cui la BCE tende ad insistere con politiche non convenzionali. Inoltre, le politiche di bilancio dei vari Stati devono essere razionali e rassicuranti. “Una politica fiscale essenziale”.
Se da un lato il numero uno della BCE lascia intendere il «whatever it takes», chiesto a gran voce dai sovranisti nostrani per ridurre, ad esempio, lo spread; dall’altro lato, il solito Draghi, spiega come siano fondamentali le riforme del mercato del lavoro, essenziali le politiche fiscali e come debbano essere prudenti le politiche di debito.
Ad oggi abbiamo osservato politiche di debito insostenibili. Dalla diatriba sullo zero virgola, alle politiche assistenziali in deficit. Il primo designato per la poltrona di via XX settembre, Paolo Savona, fortunatamente saltato grazie al Presidente della Repubblica, ma uomo di spicco del governo sovranista e presidente CONSOB, ha dichiarato “Potremmo avere un rapporto debito/PIL al 200%, come il Giappone”. Sebbene si limitino alle sole dichiarazioni – tra l’altro, nel caso di Savona, poco concernenti con gli obiettivi della Consob – queste uscite poco brillanti possono minare la fiducia verso il Paese, allontanandosi dalle raccomandazioni della BCE.
Per quel che sono state, le riforme per combattere l’evasione non hanno avuto grosso impatto; mentre si aspetta di capire l’effettiva volontà per attuare una flat tax. Se le riforme del mercato del lavoro prevedono l’implementazione dei centri per l’impiego, o leggi che riguardano i contratti di lavoro, osserviamo come, in realtà, quello che si augura Draghi sia in Italia soltanto un sogno.
Speriamo che prima o poi anche il fronte sovranista comprenda che la partita della crescita non la gioca solo la BCE, ma, soprattutto, il governo centrale.