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Politica interna

Italicum e dintorni

Bisognerà aspettare il passaggio in aula al senato per conoscere l’assetto definitivo della nuova legge elettorale.

Per adesso si può affermare tranquillamente che, dopo infiniti rimaneggiamenti, la versione attuale dell’ Italicum è migliore del testo licenziato dalla Camera a marzo.

Tre sono le modifiche più significative apportate al testo: il premio di maggioranza viene assegnato ad un unico partito, e non più all’intera coalizione; esso scatta al raggiungimento del 40% dei voti (invece del 37) e prevede l’assegnazione del 55% dei seggi (invece del 52) – rimane comunque il doppio turno tra i due partiti più votati se nessuna lista raggiunge questa percentuale; la soglia di sbarramento – unica – è prevista al 3%.

Sono tutti aspetti che conferiscono maggiore linearità e razionalità alla legge elettorale in discussione.

Come ha scritto Roberto D’Alimonte su Il Sole 24 Ore, l’italicum ora “garantisce la rappresentatività senza compromettere la governabilità”.

Nel testo rivisto vi sono tuttavia ancora difetti vistosi.

Innanzitutto la modalità di selezione dei candidati alle cariche parlamentari (che i critici del testo tacciano di incostituzionalità, sulla base della recente sentenza della costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il porcellum).

Al posto delle sole liste bloccate si introduce un sistema misto in cui all’interno dei 100 collegi plurinominali (in ciascuno dei quali si eleggono in media 6 deputati), i capilista sono “bloccati” (cioè automaticamente eletti), mentre gli altri candidati rimanenti verrebbero selezionati con le preferenze.

Per l’effetto distorsivo del premio di maggioranza però quasi esclusivamente il partito vincente avrebbe una parte dei suoi deputati eletti con le preferenze: in totale solo 240 (su 630) eletti attraverso il voto di preferenza, e tutti all’interno del partito “vincitore”.

Allo stato attuale sarebbe una mera contesa all’interno del pd, con tutti gli altri partiti che eleggono i loro candidati mediante le liste bloccate.

Sia le preferenze che i collegi (uninominali o plurinominali) sono invisi ai maggiori partiti perché diminuiscono la capacità di controllo sugli eletti, per cui si è prediletto un sistema misto che accontenta un po’ tutti.

Le preferenze, come dimostra anche la vicenda romana, sono uno strumento improponibile: alimentano notevolmente la corruzione, aumentano i costi delle campagne elettorali e indeboliscono la struttura dei partiti, trasformandoli in comitati elettorali.

Nessun sistema elettorale europeo, tranne la Grecia, le contempla.

Le tanto vituperate liste bloccate in sé non sono lo strumento peggiore di selezione della classe politica. Tra le funzioni precipue di un partito politico c’è quella, essenziale, di selezione del personale politico (altrimenti a che servono?).

Purtroppo in Italia i leader di partito prediligono quasi sempre candidati inadeguati e mediocri, ma fedeli.

La soluzione migliore sarebbero quindi i collegi, ma nessuno pare prendere quest’opzione davvero in considerazione.

In più nel testo attuale in discussione in parlamento vengono mantenute le pluricandidature, cioè la possibilità per i partiti di presentare propri candidati non in un unico collegio ma addirittura in 10.

Se “le candidature multiple” limitate a pochi collegi servono per ovviare all’algoritmo della legge elettorale che provoca forti distorsioni nell’assegnazione dei seggi per i piccoli partiti, così congegnate risultano unicamente un tentativo di aggirare le scelte degli elettori. Un modo surrettizio per i leader dei partitini di garantirsi l’elezione e scegliere quali candidati promuovere.

Un altro aspetto problematico dell’italicum è quello della sua entrata in vigore.

Renzi ha promesso l’ introduzione nel testo di una clausola temporale che la procrastina al 2016, per garantire sulla continuazione dell’attuale legislatura.

Calderoli si è spinto oltre, promuovendo un ordine del giorno in cui si stabilisce l’entrata in vigore della nuova legge elettorale solo a seguito dell’ (eventuale) approvazione delle riforme costituzionali.

Se la proposta avanzata da Calderoli non avesse seguito si rischierebbe di avere una nuova legge elettorale in vigore per la Camera e un vuoto normativo al senato, in attesa delle modifiche istituzionali.

La legge elettorale rientra per definizione nell’alveo delle norme obbligatorie: deve essere sempre in vigore dato che le due camere del parlamento possono essere sciolte in qualsiasi momento.

Il punto qui non è solo formale, ma di sostanza, e su questa questione si sono scontrati aspramente, attraverso i rispettivi giornali, il costituzionalista Michele Ainis e il politologo Roberto D’Alimonte.

Di fronte all’ opposizione trasversale che suscita questa nuova legge elettorale e alla possibilità di uno stallo, il ministro Boschi ha fatto circolare l’ipotesi di un ritorno alla legge Mattarella, per 3/4 maggioritaria e per 1/4 proporzionale, adottata dal 94 al 2005.

Sarebbe forse la soluzione più accettabile per i vari partiti e quella più funzionale al sistema politico italiano, purché si ridisegnino i collegi e si elimini lo scorporo, cioè quel meccanismo perverso che sottraeva ad ogni partito i voti dei candidati vittoriosi nei collegi, provocando a suo tempo l’uso spropositato delle liste civetta.

Rimane tuttavia da segnalare l’anomalia di un governo che si occupa di materie istituzionali e legislative che pertengono esclusivamente all’attività del parlamento.

Su materie così delicate, che investono tutti i partiti, è necessario evitare ogni tipo di forzatura e arrivare alla maggior condivisione possibile delle nuove regole del gioco da parte delle forze politiche (se non si vuole correre il rischio di dover adottare un’altra legge elettorale, l’ennesima nel giro di pochi anni,  una volta modificatosi il quadro politico).

1 comment

Massimo 21/12/2014 at 14:25

Ottimo articolo e soprattutto ottima analisi d Elia Dall’Aglio. Complimenti. La chiarezza della prosa mi ha fatto comprendere aspetti del dibattito sulla legge elettorale che avevo sottovalutato. Grazie Elia.
Massimo

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